Questa primavera, alla Casa Italiana Zerilli-Marimò va in scena la personale di Luisa Gardini che resterà aperta al pubblico fino al 20 Maggio. La scelta è della curatrice storica delle mostre della Casa, Isabella Del Frate Rayburn: “Ho conosciuto il lavoro dell’artista attraverso l’editore Stefano De Luca e sono rimasta immediatamente colpita dalla freschezza del suo tratto, dallo spirito giovane che è espresso anche dalle opere più recenti. Non è un caso che Luisa Gardini spesso abbia partecipato a delle collettive di giovanissimi”.
In effetti, a guardare le opere di Luisa Gardini tutto ci si aspetta, tranne che siano state realizzate da un’ottantunenne. Certo, è un’ottantunenne davvero sui generis: Luisa Gardini ha degli occhi vivacissimi e una parlantina e un’energia che annientano immediatamente ogni pregiudizio sulla sua età. D’altronde lei sfugge alle definizioni: non importa quanti anni abbia, se sia donna o uomo, importa solo quello che fa.
È un’artista che certamente ha dovuto scontrarsi con i pregiudizi di genere nel Dopoguerra, ma non per questo vuole essere appiattita su alcun movimento, tantomeno su quello femminista. “Sì, certo, sono anche una donna, ma quando lavoro sono un’artista e non importa se dietro alla mia arte c’è un uomo o una donna, è arte”, così dice Luisa Gardini, raccontando anche con una punta d’orgoglio, di quando per la prima volta le fu riconosciuto un grande talento. Si trovava ancora al Liceo Artistico di Ravenna, la sua città natale e ebbe la fortuna di incontrare un insegnante fuori dall’ordinario, Luigi Varoli, che riconobbe subito nel suo segno veloce un valore e la incoraggiò ad andare oltre le regole. L’insegnante le disse: “Lei lavora come un uomo. Deve dipingere”.
E Luisa Gardini seguì il suo consiglio e dipinse, ma non solo. La pittura le andava stretta, era alla ricerca di qualcosa che nelle scuole d’arte in Italia ancora non esisteva. Terminato il òiceo, si trasferì, infatti, a Roma per frequentare l’Accademia, ma anche quell’ambiente le andava stretto. Tuttavia fu lì che fece l’incontro che le cambiò la vita, quello con il grande pittore e poeta Toti Scialoja che al tempo insegnava e che la spinse a coltivare quel suo tratto nervoso e deciso.
Questa era la direzione che voleva prendere. Niente che avesse a che fare con l’Accademia, che lasciò, restando però in ottimi rapporti con Sciajola. Proprio a casa dell’artista venne a contatto con un altro personaggio chiave per la sua formazione da “cane sciolto”, come lei stessa ama definirsi: Cy Twombly. Prima di conoscerlo di persona, conobbe la sua opera. Entrò a casa si Sciajola e vide un’opera di Twombly che decise di acquistare. Aveva solo 22 anni e non aveva mai acquistato un’opera d’arte prima, eppure in quel caso l’impulso fu irresistibile e fu una sorta di atto propiziatorio, dettato dal riconoscimento di un’affinità.
Luisa Gardini si stava liberando e stava capendo di non essere sola. Pur mantenendo ben chiara e separata dagli altri la sua identità artistica, il fatto che esistessero artisti come Twombly, Burri e Pollock che vide per la prima volta nel 1958 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, la legittimava a sentirsi libera. Libera di sperimentare e giocare con i segni. Ha usato ogni tipo di materiale, spesso mischiandoli in veri e propri collage o dando vita a sculture o anche lavorando su una superficie vuota che, fosse di carta o di gesso, diventava essa stessa parte significativa dell’opera. Ha sperimentato tante e diverse tecniche, sempre mantenendo un tratto energico, vivace, spesso graffiante.
Molte delle sue opere ruotano attorno alla scrittura. Una scrittura come segno, il cui valore è solo ed esclusivamente estetico. Lettere deformate, cancellate, riscritte, tratteggiate. Lettere senza un messaggio. Quando le si chiede che cosa volesse comunicare, lei risponde decisa: “Un bel niente. Non c’è un messaggio. È una ricerca estetica”. È un’esaltazione della forma, delle forme. È una esasperazione dei segni, di più. “Quelli di Luisa Gardini sono segni veloci, acuti. Sono segni come musica”, dice l’editore De Luca, che ha curato il catalogo della mostra e che segue il lavoro dell’artista fin dagli esordi. Ed è vero: i lavori di Luisa Gardini fanno pensare al jazz o anche al contrario. I lavori di Luisa Gardini più di ogni cosa esprimono un valore, quasi gridato: la libertà più estrema. Luisa Gardini ha sempre lavorato libera: libera da ogni stereotipo o classificazione, libera nell’espressione, libera nella sperimentazione, libera dalle leggi del mercato tanto che fece la sua prima personale nel 1981 dopo più di 20 anni di lavoro. E prima? “Prima lavoravo”, dice trasmettendo una sicurezza e una forza uniche. Quanti artisti e quante artiste, soprattutto della generazione di Luisa Gardini, non conosceremo mai perché non hanno avuto la stessa forza d’animo, la stessa costanza, lo stesso coraggio nel proteggere la propria libertà? Ed eccola qua, invece, Luisa Gardini, ottantunenne con uno spirito che potrebbero invidiarle tanti ventenni di allora e di oggi, eccola qua a New York, per la prima volta con una personale, a riscuotere il successo che merita.
Guarda la video intervista della Casa Italiana Zerilli Marimò a Luisa Gardini: