La politica siciliana diventa ogni giorno meno comprensibile. Giovedì 30 luglio, per esempio, nella seduta del Parlamento siciliano, il governo era in minoranza, perché i deputati che avrebbero dovuto sostenerlo erano in buona parte assenti. Il governo di Rosario Crocetta poteva contare su una trentina di deputati su 90. In discussione c’era il disegno di legge sulla riforma delle Province. Sono stati i deputati del Movimento 5 Stelle a salvare, ancora una volta, il governo regionale di Rosario Crocetta, assicurando in Aula l’approvazione di una pessima legge criticata dagli stessi grillini. Di fatto, i seguaci di Beppe Grillo in Sicilia, oltre a salvare il governo, hanno anche tutelato una maggioranza di centrosinistra che non c’è. Incredibile. Vediamo, per sommi capi, cosa è successo giovedì scorso nel Parlamento dell’Isola.
Al momento del voto, a Palazzo Reale, sede del Parlamento siciliano, erano presenti 53 deputati su 90. Di questi, 36 hanno votato in favore della legge, 11 contro, mentre 6 si sono astenuti. Erano assenti le opposizioni di centrodestra: Forza Italia, Lista Musumeci, il Cantiere Popolare-Pid e via continuando.
A votare contro la legge, come già accennato, sono stati gli 11 deputati del Movimento 5 Stelle. Normale, visto che hanno dichiarato di essere contrari alla riforma delle Province siciliane. Ma il punto è proprio questo. E si sintetizza nella seguente domanda: come mai, giovedì scorso, gli 11 deputati del Movimento 5 Stelle sono rimasti in Aula? Se fossero usciti dall’Aula – e se fossero stati non soltanto contrari alla legge, ma anche contrari il governo – avrebbero dovuto approfittare di questo momento per mettere in grande difficoltà il governatore Crocetta. Invece…
L’artimetica è una delle poche cose che la politica non può mettere in discussione. Se gli 11 deputati grillini, al momento del voto, fossero usciti dall’Aula, sarebbero saltati agli occhi due fatti incontrovertibili.
Primo: che il governo regionale di Rosario Crocetta non ha una maggioranza, perché i deputati presenti in

Palazzo Reale di Palermo
Aula, da 53, sarebbero diventati 42 su 90. E poiché, per avere la maggioranza, il governo dovrebbe avere almeno 46 deputati su 90, ancora una volta, si sarebbe dimostrato, con i numeri, che il presidente Crocetta, in Aula, non ha una maggioranza. Se, poi, consideriamo che dei 42 deputati che sarebbero rimasti in Aula, 6 sono del Nuovo centrodestra Democratico del Ministro Angelino Alfano – forza politica formalmente all’opposizione – il governo Crocetta avrebbe potuto contare su 36 deputati su 90.
Secondo: con l’eventuale assenza degli 11 deputati grillini il Parlamento siciliano non avrebbe potuto approvare una legge così importante come la riforma delle Province. Magari forzando avrebbe anche potuto farlo: ma sarebbe stato assai sconveniente per 42 deputati su 90 approvare una riforma di portata storica: ricordiamo che si tratta pur sempre della riforma delle Province.
Di fatto, giovedì scorso, i parlamentari del Movimento 5 Stelle non hanno salvato solo il governo di Rosario Crocetta, ma – fatto politicamente ancora più incredibile! – hanno tutelato le ragioni politiche di una maggioranza di centrosinistra che non c’è.
Se gli 11 deputati grillini fossero usciti dall’Aula, sarebbe venuto fuori anche i deputati che sostengono il governo Crocetta sono trenta o giù di lì su 90! Infatti, tra i 42 che sarebbero rimasti in aula, i deputati del PD, dell’Udc, del Megafono e i neo socialisti (un gruppo di deputati di maggioranza che, da qualche giorno, si autodefiniscono socialisti: nel Parlamento siciliano succede anche questo…) erano, sì e no, una trentina. Gli altri dieci fanno capo al già citato Nuovo Centrodestra Democratico di Angelino Alfano (6 se non facciamo male i conti) e al Pdr, due formazioni politiche che, ufficialmente, stanno all’opposizione.
Insomma, i parlamentari grillini hanno combinato un vero e proprio imbroglio parlamentare. Perché? E serve veramente a poco il chilometrico comunicato stampa inviato ai giornali dagli stessi deputati grillini dopo la votazione: “Un'occasione mancata per l'affermazione con i fatti del nostro Statuto speciale – si legge nel comunicato dei grillini -. La maggioranza ha scelto la via più breve, seguendo il dettato della legge Delrio che di fatto ripristina quasi in toto l'istituto delle Province. La ratio di questa legge è solo conservare il sistema di potere e permettere al PD di dire a Renzi che il partito è ancora in vita. L''unica nota positiva della legge – aggiungono i deputati del Movimento 5 Stelle – è la fine dell'agonia per i dipendenti (supponiamo delle Province ndr). Per il resto, è quasi tutto da censurare. La discussione del disegno di legge è partita male sin dalle prime battute, quando la maggioranza di governo ha deciso di disegnare la geografia dei liberi consorzi secondo lo schema delle ex Province. Sei liberi consorzi e tre città metropolitane al posto delle nove ex Province. E a peggiorare la situazione è stata la norma con la quale si è stabilito che i confini delle città metropolitane coincidessero con quelli delle ex Province. Città metropolitane che, lungi dal limitare i propri confini con quelli stabiliti dal DPR del 1995 all'area metropolitana, mettono insieme pezzi di territorio che già non avevano nulla in comune, quando erano contenuti negli stessi confini delle Province e che a maggior ragione mal si sposano con le ragione dell'istituzione di una città metropolitana. Anche in questo contesto l'istinto di conservazione ha prevalso su quello dell'innovazione. Paradossale – dicono sempre i deputati grillini – appare peraltro la condizione posta per l'adesione alla città metropolitana di Catania dei comuni di Gela, Piazza Armerina e Niscemi che, nonostante un referendum popolare, dovranno confermare la loro volontà di permanervi, solo se una delibera del consiglio comunale ratificherà positivamente la volontà già espressa dai cittadini. Ecco, dunque, i giochi politici che il MoVimento, aveva tenuto fuori dalla porta, attraverso l'approvazione della norma che a suo tempo impose sul referendum, adesso rientrano dalla finestra. I giochi politici ora li faranno i soliti partiti al chiuso delle stanze di un consiglio comunale, dal quale dipenderà la sorte di comunità molto grandi come quelle, per esempio, di Gela”.
Tutto quello che scrivono i grillini è condivisibile, dalla prima all’ultima parola. Ma se credono veramente in

Il presidente del Parlamento siciliano, Giovanni Ardizzone
quello che dicono perché non hanno incasinato il governo Crocetta uscendo dall’Aula? Certo, la dignità parlamentare, a Palazzo Reale, ormai è un optional: e l’ha dimostrato ieri, ancora una volta, il presidente del Parlamento siciliano, Giovanni Ardizzone, che invece di astenersi dal voto – come fa un presidnete del Parlamento che si mantiene al di sopra delle parti – per rafforzare una maggioranza che non c’è è tornato a votare in favore del governo. Una caduta di stile che dimostra la pressoché totale assenza di bon ton istituzionale da parte del presidente Ardizzone (che non è nuovo a questi scivoloni, se è vero che ha votato anche in occasione della mozione di sfiducia a Crocetta, naturalmente in favore del presidente della Regioe: dunque il personaggio è recidivo).
Vogliamo dire come stanno veramente le cose, anche se i grillini siciliani ci odieranno per la vita? Giovedì sera, a Palermo – non casualmente – è arrivato il vice segretario nazionale, Lorenzo Guerini. Stretto collaboratore di Matteo Renzi, Guerini è venuto in Sicilia – anzi, era venuto in Sicilia – per prendere atto del fallimento del governo Crocetta nell’attività amministrativa (cosa che il presidente della Regione e i suoi assessori hanno già abbondantemente dimostrato: a certificarlo, per chi ha ancora dubbi, è stata la Svimez che, proprio ieri, nella relazione annuale, ha descritto un Mezzogiorno d’Italia disastrato, con la Sicilia di Crocetta ultima tra gli ultimi!) e, anche, del fallimento del governo Crocetta in Aula. Insomma, i 30 deputati favorevoli al governo sui 90 del Parlamento siciliano avrebbero dato a Guerini una ragione politica in più per mandare a casa Crocetta, senza bisogno di intercettazioni malandrine. La Sicilia è già in grande ritardo sulla riforma delle Province. Senza questa riforma Crocetta sarebbe stato mandato a casa di corsa. Guerini era a Palermo per questo? Chissà.
Certo, come già accennato, il Parlamento siciliano avrebbe potuto approvare la legge anche con 42 deputati. Ma sarebbe scoppiato un ‘casino’, perché, come già sottolineato, non si approva una legge così importante con meno della metà di deputati presenti in Aula.
Insomma, giovedì scorso sarebbe dovuto scoppiare il ‘caso’. Invece gli 11 deputati grillini hanno coperto tutto, andando incontro a Crocetta e a quella parte del centrosinistra che appoggia lo stesso governo Crocetta. Atteggiamento politicamente incomprensibile, quello dei grillini, perché tutti sanno che i renziani vogliono mandare a casa Crocetta per andare alle elezioni. E tutti noi immaginiamo che a vincere le eventuali elezioni potrebbero essere gli stessi grillini. Forse questi ultimi hanno paura di andare al voto? E’ per questo che hanno aiutato Crocetta e il PD di Antonello Cracolici e del senatore Giuseppe Lumia, grandi sponsor del presidente della Regione?
I grillini siciliani hanno tanti meriti. E noi siamo i primi a riconoscerli. E' il caso della trazzera di Caltavuturo, realizzata, in buona parte, con i risparmi dei deputati regionali del Movimento 5 Stelle del Parlamento siciliano (come vi abbiamo raccontato qui). Ma certe volte fanno cose che non è facile comprendere.
Che i renziani siciliani vogliano mandare a casa Crocetta lo conferma l’ex vice segretario regionale del PD siciliano, Mila Spicola, vicina da sempre a Renzi e al suo braccio destro in Sicilia, Davide Faraone, in un post pubblicato oggi su facebook.
“Servili siano i verbi – scrive Mila Spicola -. No, io no. Tre cose. Io sono renziana, Renzi lo è poco

Mila Spicola
ultimamente. Con tutto il bene che gli voglio, è proprio perché gliene voglio, torni Renzi, sennò si perde non solo le minoranze PD, ma i renziani, quelli veri. Secondo. No, non scatenatevi con commenti beceri. Sono fedele a me stessa, penso quel che dico e dico quel che penso, quando mi va e con chi mi va”.
Il terzo punto del post di Mila Spicola è, forse, il passaggio politico più importante: “Terzo. Crocetta no. Si vada a votare in Primavera, risolto qualche problema di conti. Ma si vada a votare, chi nasce tondo non diventa quadrato. Adoro, stimo, apprezzo, l'uomo Crocetta. Lo trovo onesto, irrituale, unico. Ma il politico no”.
Insomma, per Mila Spicola Crocetta deve andare a casa. E, forse, senza l’intervento dei grillini ieri, Crocetta, a casa ci sarebbe andato per davvero. Invece, per la seconda volta, viene salvato. Un paio di settimane fa era spacciato. Poi è arrivata un’intercettazione tra lui e il dottore Matteo Tutino, nominato primario di Villa Sofia nel 2013 dallo stesso governo Crocetta (assessore regionale alla Salute era Lucia Borsellino che a noi non risulta si sia opposta a tale nomina). Quest’intercettazione avrebbe dovuto seppellire Crocetta. Invece l’intercettazione non si è mai materializzata e Crocetta è diventato una vittima. Oggi è ancora in sella e si è pure rafforzato in quanto ‘vittima’, benché il suo governo sia disastroso sotto tutti i punti di vista.
Giovedì sera l’ 'impiombata' del presidente Crocetta era nelle cose. Senza l'inspiegabile 'soccorso' degli 11 deputati grillini Crocetta sarebbe rimasto in Aula con 42 deputati su 90. Come già accennato, il “sì” alla legge sulle Province sarebbe potuto arrivare: ma sarebbe scoppiato lo stesso il ‘caso’ di un governo senza maggioranza.

Toto Cordaro
Raccogliamo al volo – via telefono – un parere di Toto Cordaro, parlamentare di centrodestra. “Ieri, nel Parlamento siciliano, è tornata l’armonia di inizio legislatura tra il presidente Crocetta e i grillini. Nel 2013, com’è noto, il governatore e i parlamentari del Movimento 5 Stelle filavano d’amore e d’accordo. Dopo qualche incomprensione hanno finalmente trovato il modo per tornare a capirsi…”.
Cordaro spara a zero anche sul presidente dell’Ars, Ardizzone, il già citato presidente del Parlamento siciliano che non dovrebbe votare e invece vota: “Ardizzone, ancora una volta, ha dimostrato di non essere il garante del Parlamento, ma il garante degli interessi, peraltro di bottega, del governo Crocetta. Ardizzone, con una forzatura che ha travolto lo stesso regolamento d’Aula, ha dichiarato inammissibile un emendamento che proponeva l’elezione diretta dei presidenti delle città metropolitane e dei Consorzi di Comuni. Una follia. La verità è che abbiamo un presidente del Parlamento che fa parte della maggioranza. Prendiamo atto e buona notte ai suonatori”.
Ps
I nostri lettori – soprattutto quelli siciliani – ci chiederanno cosa ne pensiamo della legge sulla riforma delle Province approvata dal Parlamento siciliano. Ve lo diciamo subito: è una buttanata stratosferica. I liberi Consorzi di Comuni sono previsti dall’articolo 15 dello Statuto autonomistico siciliano. E’ un articolo complesso, politicamente ‘forte’, che punta al superamento delle Province siciliane che ricordano le repressioni di casa Savoia all’indomani di quel grande imbroglio passato alla storia come unità d’Italia (con la u miniscola).
Ora, a parte il fatto che presuppongono anche l’abolizione delle prefetture, va detto che i Consorzi di Comuni debbono essere “liberi”: cioè vouti dai Comuni e non dal Parlamento siciliano! Insomma, giovedì scorso, in occasione dell'approvazione di questa legge, è stato tradito lo Statuto siciliano.
Di più: nella legge approvata i confini dei Comuni coincidono con quelli delle vecchie Province (a parte alcuni casi). Di fatto, la legge calpesta l’articolo15 dello Statuto sotto tutti i punti di vista. Anche la legge regionale n. 9 del 1986 sulle nuove Province regionali tradisce lo Statuto: ma lo fa con più dignità, se è vero che, allora, le nuove Province hanno avuto nuove competenze. La legge approvata giovedì scorso, invece, è una presa in giro 'istituzionale', degna di chi ha approvato tale aborto.
Non va meglio per le città metropolitane, previste dalla legge nazionale n. 142 del 1990. Arriviamo 25 anni dopo. E arriviamo con una follia. Come per i Consorzi di Comuni (che non sono affatto liberi!), anche per le Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina si prevedono le elezioni di secondo grado. E questo già è antidemocratico, perché non possono essere i sindaci e i consiglieri comunali ad eleggere i presidenti dei Consorzi di Comuni e delle tre città metropolitane siciliana, perché questo compito, in democrazia, spetta ai cittadini! Invece la legge approvata dal Parlamento siciliano prevede proprio l’elezione (truffaldina) di secondo grado. Siamo davanti a un errore di ‘sintassi’ democratica.
Tra l’altro, il compito di presidente di un Consorzio di Comuni o di Città metropolitana è gravoso. E, a rigor di logica, non può essere esercitato in contemporanea al ruolo di sindaco. E invece la legge prevede che un soggetto faccia, contemporaneamente, il sindaco e il presidente del Consorzio di Comuni e della Città metropolitana: un’altra follia!
Ancora. Nella fase di transizione sarebbe stato auspicabile che i sindaci di Palermo, Catania e Messina diventassero, automaticamente, “Sindaci metropolitani”, per usare il termine della legge n. 142 del 1990. Invece, per fare un dispetto al sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e al sindaco di Catania, Enzo Bianco, hanno creato i presupposti per affidare le Città metropolitane a sindaci di Comuni che, magari, con le Città metropolitane non hanno nulla a che spartire. Insomma, confusione su confusione.
Ci chiediamo e chiediamo: il Parlamento siciliano, su un argomento delicatissimo come le Città metropolitane (che, ricordiamolo, dovrebbero svolgere un ruolo strategico nella nuova Programmazione dei fondi europei), può legiferare contro i sindaci di Palermo e Catania? La speranza è che il governo nazionale impugni ‘sto papocchio e mandi a casa tutti, chiudendo una legislatura tutta da dimenticare.