Il mio primo importante bacio romano l’ho dato nel dicembre del 1967 al Cinema Capranichetta, in piazza Montecitorio, dove c’è la sede del Parlamento. Era importante perché era proprio il primo vero. Avevo sedici anni e in effetti ero un po’ indietro rispetto allo standard odierno, ma all’epoca, state tranquilli, ero nella media più assoluta. Lei invece era molto più avanti rispetto alla media, perché di anni ne aveva solo tredici. Avevamo appena messo piede in sala dopo aver pagato il biglietto, anzi dopo che io avevo pagato entrambi i biglietti, per fare il cavaliere, come si usava da gentiluomini, con il risultato che ero rimasto completamente senza una lira, vista la paghetta settimanale da fame che mi davano i miei.
Al buio, in piedi, stavamo cercando il posto per sederci.
"Vuoi che ci mettiamo lì?", le avevo domandato, indicando due posti liberi in penultima fila. Invece era arrivato quel coso, anzi quella cosa che si chiamava bacio. Ma a me sembrò invece un coso, un orrendo improvviso coso senza nomi né aggettivi. Erano due labbra grandi e morbide che sembravano però due ventose appiccicaticce che mi aspiravano fuori l’aria, catapultandomi nella confusione più totale. Le insaziabili ventose continuarono il loro incessante lavoro per l’intera durata del film, tanto che alla fine, oltre a non aver visto assolutamente nulla di quanto avvenuto sullo schermo; avevo la bocca dolorante, la lingua sanguinante, la mandibola allo stremo e un mal di testa da paura. Era stato quello il mio primo bacio.
Lo avrei preferito diverso. Lo avrei voluto dolce, romantico e delicato. Invece no. Fu un devastante tornado senza scampo, un vortice agghiacciante.
Un secondo importante bacio romano l’ho dato ad una compagna di scuola al Giardino degli Aranci, in cima al colle dell’Aventino. Il vero nome di quel meraviglioso posto in realtà è Parco Savello, in nome della famiglia Savelli che lo fece costruire intorno al 1285, presso la chiesa di Santa Sabina.
L'attuale giardino, a pianta rettangolare, fu realizzato invece nel 1932 dall’architetto Raffaele de Vico con un'impostazione simmetrica, con un viale mediano in asse con il belvedere. C’è un bel prato all’inglese su cui ti puoi stendere a guardare le stelle oppure, meglio, dove puoi abbracciare il tuo partner. E poi ci sono alberi traboccanti di grosse e succose arance che ti puoi mangiare oppure, se preferisci, le puoi prendere in mano e poi tirare contro qualche fastidioso scocciatore. Al centro c’era in quegli anni la storica fontana realizzata da Giacomo della Porta. Non ho mai capito perché poi l’hanno voluta spostare in via dei Coronari, perché lì stava davvero bene, era bellissima, sonnecchiava come una mamma buona al centro del giardino e tutti i bambini c’andavano a far navigare le proprie barchette di plastica o di legno nelle sue calme acque. D’estate ti potevi bagnare la testa se faceva caldo o bere l’acqua freschissima che sgorgava dai suoi “nasoni”. I ragazzini più scatenati costruivano le cosiddette bombe d’acqua per tirarle addosso ai coetanei, innaffiando naturalmente anche tutti gli altri adulti presenti.
Al parco c’era e, per fortuna, c’è ancora, una terrazza da cui si può ammirare un panorama grandioso, spettacolare.
Sotto di te scorre lento il fiume Tevere e, alle sue spalle, sale lentamente la collina di Monteverde, mentre sulla destra spunta la grande cupola di San Pietro. Le macchine e le persone, viste da lassù, sembrano piccole piccole, come tante formichine distanti e silenziose. Quante coppie andavano lì a sbaciucchiarsi la sera, complici le stelle luminose e la scarsa illuminazione fornita dai grandi lampioni dalla luce fioca e complice !
Io, dopo quel bacio, ricordo che presi la mia partner sottobraccio e la portai a passeggiare e a tubare ancora un po’ lungo le dolci viuzze dell’Aventino, passando davanti alla chiesa di Santa Sabina e a quella di Sant’Anselmo e arrivando infine davanti al cosiddetto “occhio al buco” e cioè la serratura del grande portone del Priorato dei Cavalieri di Malta, nella piazzetta omonima. Mettendo l’occhio nel buco della serratura si vede, e poi si fotografa, il cupolone, ovvero la celebra basilica di San Pietro.
Ricordo che quando ci girammo vedemmo uscire dal cancello della villa su via di Sant’Anselmo il celebre attore Vittorio Gasmann, altra colonna romana. Lui ha vissuto in quella casa per tanti anni e nel 1969 c’ha anche girato il film “L’alibi” , autofinanziato con gli amici Adolfo Celi e Luciano Lucignani.
Il terzo importante bacio romano l’ho dato un paio d’anni dopo in via di San Saba, davanti al Bar Egidi, quello dove il proprietario era soprannominato Er Ciambella a causa della sua impressionante rotondità. Lì si potevano mangiare i marron glaces più buoni di tutta Roma e anche i gelati artigianali non erano affatto male. Il mio amico Adriano, oggi noto architetto, abitava lì davanti, in una bellissima casa in cui adesso si trova invece l’ufficio del famoso regista Nanni Moretti. Ricordo che io e la mia fidanzatina dell’epoca eravamo appena usciti dal bar e c’eravamo diretti verso la sua Vespa parcheggiata lì davanti. Ma, prima di salire e mettere in moto, c’era stato un abbraccio e infine quel bacio lungo e appassionato. Me lo ricordo ancora, non ci staccavamo più. Così non ci accorgemmo dell’auto della Polizia Municipale che si era accostata e del vigile urbano che dall’interno diceva: “Documenti, per favore”. Furono mille lire di multa che all’epoca non erano per niente poche, se pensate che una tazzina di caffè costava solo 70 lire e un litro di benzina appena 160 lire. Li pagai sull’unghia, uno sull’altro, in tante monete da cento lire tirate a fatica fuori dalle tasche, mentre lei piangeva, vergognandosi perché il nostro gesto spontaneo d’amore era stato profanato non solo dalla multa ma soprattutto da quella ignobile frase: atti osceni in luogo pubblico. Provate a immaginare la stessa cosa oggi. Non vi viene un po’ da ridere?