“Maionese italiana”: così il Corriere della Sera ha titolato alcuni giorni fa un editoriale con il quale Piero Ostellino ha tentato di spiegarci (e forse, prima di tutto, di spiegare anche a se stesso) che cosa sta succedendo nel nostro Paese. In effetti sta succedendo di tutto. O, se la si guarda in un altro modo, non sta succedendo un bel niente perché, ormai, ciò che doveva succedere è successo. Siamo al caos o, per dirla con un’altra giornalista – Concita De Gregorio su Repubblica – alla “confusione totale”. Non c’è un partito che stia mandando un qualche segnale accettabile dalle persone di buon senso. Il ritorno in campo di Silvio Berlusconi, oltre a far vedere che in questo annetto di assenza dai riflettori deve essersi fatto un nuovo lifting (gli occhi, a furia di essere tirati, sono diventati due fessure: ci vedrà o, come sempre, gli basta guardare soltanto a se stesso?), anziché chiarire le cose, le ha peggiorate. Il Cavaliere sa che perderà e sa che tutti lo sanno: le ragioni del suo rientro, che ha costernato la comunità internazionale e fatto riprecipitare il livello di credibilità dell’Italia, sono altre. Tant’è che, nell’ennesimo balletto di contraddizioni a cui ci ha abituati, a poche ore dall’annuncio della sua ridiscesa in campo si è detto pronto a fare marcia indietro se Mario Monti si candiderà a capo di una coalizione che comprenda anche la Lega. Bella pretesa, quella di dettare le regole in casa altrui; tra l’altro in un momento in cui chiaramente non si riesce nemmeno a tenere sotto controllo casa propria. Il Pdl, che il Cavaliere ha fondato a sua immagine e somiglianza e per i suoi scopi, si è sfasciato non appena allontanato dalla stanza dei bottoni: non è mai stato un partito – che è una cosa che implica idee, pensieri, ideologie, progetti, proposte, sogni e non solo la difesa incondizionata del Capo e delle sue olgettine. Ora dovrebbero averlo capito anche i più incalliti berluscones. Ma servirà? Perché non è che dagli altri partiti e movimenti arrivino notizie più incoraggianti. Il Pd, in nome dell’autodifesa delle proprie gerarchie e nomenclature interne, ha buttato a mare l’occasione di presentare un candidato giovane e forte – Matteo Renzi – che, continuano a ribadire tutti i sondaggi, avrebbe avuto il voto di una larga maggioranza di elettori (sì, forse anche non di tradizionali elettori del centro sinistra: e allora? Obiettivo di un partito non sarebbe quello di allargare il consenso attorno a sè?). A Palazzo Chigi i democratici manderanno il segretario: persona degnissima ma “minestra scaldata”. In questo momento in cui, per sperare di riprenderci, avremmo invece bisogno di una bistecca fresca e sostanziosa.
IN QUANTO AL “NUOVO CHE AVANZA” che spettacolo! Del nuovo c’è bisogno, eccome. Ma se il nuovo è il Movimento 5 Stelle del comico Beppe Grillo siamo messi malissimo. Intendiamoci: capisco benissimo le ragioni che hanno spinto l’anno i cittadini di Parma a votare per il Sindaco grillino. E capisco che in tanti stiano guardando al Movimento. Ma Grillo è uscito allo scoperto. O, per dirla in gergo, “l’ha fatta fiuori dal vaso”. Il suo scomposto messaggio televisivo – se ve lo siete persi è su Tou Tube, vale la pena vederlo – è un capolavoro di dittatura e di regime, altro che democrazia. Chi non la pensa come me viene cacciato subito: questa la sintesi del diktat urlato con gli occhi di fuori. E allora, via: è chiaro che non si può nemmeno votare per questo nuovo che sa tanto di – pericoloso – vecchio.
COSI’, NELLA CONFUSIONE GENERALE, il sistema politico può permettersi di non fare due cose richieste a gran voce da tutti: la legge elettorale resta quella scandalosa del Porcellum (sta bene anche al Pd). E le Province che tutti sanno essere fonte di sprechi non verranno ridotte perché – ci spiegano pensosi dalla Commissione affari costituzionali del Senato – non c’è tempo per esaminare il disegno di legge.
MA IL SEGNALE CHE TUTTO È PERDUTO viene dalle Ferrovie. Quelle del Nord. Da giorni i poveri pendolari di Trenord, in Lombardia e nelle altre giorni settentrionali che dovrebbero essere il motore del Paese, stanno vivendo un incubo: ritardi di ore, convogli mai arrivati, gente al gelo nelle banchine. È successo che un software di Trenord semplicemente non funziona. Peccato che, come ironizza La Stampa, sia lo stesso software che funziona benissimo per i treni di Madrid, Bogotà e dell’Arabia Saudita.