Guardate questa foto, l’ho scattata io per di più dal finestrino dell’automobile e quindi come qualità lascia molto a desiderare. Ma credo che riusciate a scorgere che cosa c’è scritto sulla collina in fondo. C’è scritto: Dux. Siamo nelle vicinanze di Antrodoco sulla statale 17 che da Rieti porta a L’Aquila. Le tre fatidiche lettere sono formate da alberi, per la precisione: 20mila pini.
La notizia non è certo nuova, molti di voi ne saranno a conoscenza, ogni tanto torna a galla. E navigando in rete ci si imbatte in vecchie e nuove missive e email indignate ai giornali, proteste di fuoco e denunce di apologia del Fascismo, ma anche difese infastidite (“Beh, che c’è di male?”).
Confesso che la prima volta che la vidi, rimasi a bocca aperta, pensai a un errore dei miei occhi. Si stagliava contro un cielo azzurro appena incapricciato da qualche nuvola, più o meno come quando – alcuni giorni fa – mi sono finalmente decisa a fare la foto che vi propongo. La pineta, di circa otto ettari, ha una storia: fu realizzata dalla Scuola Allievi Guardie Forestali di Cittaducale nel 1939, con il contributo in braccia di numerosi giovani del posto. Un evidente omaggio a Benito Mussolini, il Duce.
Anche la scelta del posto non fu casuale: ad Antrodoco, infatti, nel 1821 venne combattuta – e persa contro gli austriaci – quella che è considerata la prima battaglia del Risorgimento che porterà all’unità d’Italia. L’enorme scritta è visibile nelle giornate di poca foschia anche da Roma. Fin qui, la storia. Sappiamo che un popolo e un Paese non devono certo rinnegare la propria storia, anche i suoi capitoli più difficili, perché è solo essendo consapevoli da dove si viene che si può, ragionevolmente, tracciare un percorso per il proprio futuro. Posso quindi capire le ragioni che, per esempio, hanno portato alla scelta di lasciare al suo posto al Foro Italico di Roma la grande stele bianca con la scritta Mussolini che corre in verticale.
Ma, sbaglierò, mi sembra che la pineta di Antrodoco sia un caso un po’ diverso. Perché qui c’è un intervento continuo di manutenzione, ovviamente a carico delle casse pubbliche. A quanto pare “l’opera arboricola” è catalogata come “patrimonio artistico e monumento naturale unico in Italia e nel mondo”. Ma quello che colpisce è che, alcuni anni fa, per la precisione nell’estate 2004, è stata restaurata con i fondi regionali. Cioè con i soldi dei contribuenti. Da trentennale frequentatrice di quei luoghi, ricordo infatti che la controversa scritta stava svanendo: la natura faceva il suo corso, altri pini erano nati spontaneamente e stavano riprendendo il controllo della fiancata della montagnola. Mi dissi: “Meno male”. Ma durò poco. Una nuova generazione di solerti Forestali salì l’impervio colle e, con asce e seghe, provvide a rendere nuovamente imperituro quel nome. Poi si dice che gli stranieri fanno fatica a capirci….