La Onishi Gallery (Chelsea, 521 west 26th Street) ha presentato fino a ieri una mostra d’arte contemporanea a cura di Stefania Carrozzini dal titolo “Journey into a Secret Garden”. La rassegna ha coinvolto dodici artisti internazionali che hanno interpretato la tematica del giardino segreto utilizzando diversi linguaggi espressivi: dall’installazione alla fotografia, dalla pittura alla scultura.
Il giardino, inteso come metafora e simbolo di percorso vitale, attraversa l’intera mostra. Le opere sono evocative di un percorso interiore che vede nell’azione creativa l’atto di semina e di raccolto dell’ispirazione. Ed è un processo che va oltre facili estetismi e che assorbe e rivela le problematiche della cultura contemporanea.
Gli esiti espressivi sono diversi: nei dipinti di Robert Dill la luce e il colore lasciano affiorare sulla tela diafane atmosfere, impalpabili memorie di luoghi immaginari; per Amy Beth Cohen Banker il giardino è soprattutto il luogo delle emozioni. Vigorose pennellate definiscono uno spazio in cui il colore è l’assoluto protagonista. Anche Amanda Morie cattura l’istante in cui il colore definisce un’emozione prediligendo un linguaggio astratto-informale. I giardini di seta di Kathryn Glowen sono costruiti con un particolare medium: stoffe di kimono che riutilizzate compongono sulla tela forme floreali, mentre Susanne Dieroff Hay si sofferma sulla macro di un fiore rendendoci partecipi della bellezza e dell’armonia delle forme naturali. I lavori di Gio Marchesi rievocano esplosioni di frattali e le forze creative della vegetazione: sulla superficie s’innescano una serie d’inedite concatenazioni formali. Mentre Susi Lamarca con i suoi lavori dal titolo “Inquietudine” traccia nuove possibilità di dialogo tra fotografia e disegno: finestre circolari lasciano intravedere rose, viole e glicini. Lo sguardo spazia verso l’esterno mentre lo sfondo è un disegno che ben si amalgama con l’immagine. Ci sono opere come quelle di Barbara Bachner ed Ellen Brous che riflettono sui fenomeni dell’identità e che pongono l’accento sul desiderio di tenere aperto il campo delle possibilità che l’arte ha di difendere il nostro diritto di non consegnarci e non allinearsi tout court con un “pensiero unico”. La scultura di Ellen Brous “Hard To Swallow” è un intreccio di fili colorati ed ogni coppia di fili corrisponde ad un dosaggio ormonale.
Un particolare
di un’opera di Gio Marchesi
E. Brous visualizza la struttura chimica di ciò che può interferire con gli equilibri biologici, il corpo, in questo caso, è visto come un giardino di cui prendersi cura. L’installazione di Barbara Bachner dal titolo “Circle of Life I” è al centro dello spazio espositivo. Si tratta di una piattaforma circolare, cosparsa di chiodi, sfere, pietre, ghiaia e gusci d’uovo che dal punto di vista simbolico rappresentano gli ardui percorsi dell’esistenza. Le opere che sono state presentate in questa esposizione sondano varie ricerche che includono la figurazione, con i soggetti floreali di Zuzana Skaliarik, o i giardini acquatici illuminati con Led dell’artista Inna Timokhina, simbolo di risveglio dell’energia spirituale, fino alla sperimentazione della fotografia digitale di Pauline van de Ven. “La grande avventura dell’arte – scrive la curatrice nel testo del catalogo – è la capacità di vedere oltre i limiti del conosciuto e l’arte da sempre indaga i territori dell’interiorità. Il giardino è dunque per metafora lo scenario dello spirito e della crescita, della coltivazione dei fenomeni vitali e interiori. Viaggiare al centro di noi stessi significa incontrare questa dimensione di cui solo noi abbiamo la chiave di accesso. E’ allegoria del luogo creativo, dove si attingono idee, immagini e ispirazioni. Il giardino segreto siamo noi, un giardino che mai sfiorirà se saremo sempre in grado di sorprenderci e di aprirci alla bellezza del mondo”.