Mi dispiace, ma sono assolutamente convinta che la proposta di affidare ai privati il museo di Brera sia giusta. Qualcuno si potrebbe chiedere perché, se sono certa della bontà dell’idea, poi dica che “mi dispiace”. Il motivo è semplice: perché se l’Italia fosse un Paese normale (cosa che non è mai stato e, a questo punto appare chiaro, mai sarà) avendo a disposizione il più ricco e straordinario patrimonio artistico e culturale del pianeta ne avrebbe fatto la propria fortuna e cercherebbe in tutto i modi di difenderlo e valorizzarlo. Lo Stato, in tutte le sue forme e istituzioni – governi, ministeri, enti locali, sovrintendenze eccetera – non permetterebbe a nessuno di metterci le mani ma lo gestirebbe in proprio.
Siccome, invece, in Italia ci vivono gli italiani e purtroppo non i tedeschi, gli inglesi o gli americani, ecco che tutto ciò che è pubblico è sostanzialmente lasciato andare in malora o, e forse è ancora peggio, soffocato da pastoie burocratiche e inutilmente velleitarie, tra continui litigi politici. E il museo milanese di Brera ne è una perfetta dimostrazione, alla faccia della presunta efficienza lombarda. La sua raccolta di capolavori è davvero notevole, anche l’antico palazzo che li ospita è molto bello. Ma il tutto è malcurato, da sempre e, da sempre, presentato in maniera sciatta. Questo, ben inteso, quando viene presentato: ovvero nelle non molte ore in cui è aperto, e nei giorni in cui qualche sciopero o altre rivendicazioni sindacali dei dipendenti non lo tiene chiuso. Una volta dentro, poi, lo spettacolo non è dei migliori: le opere sono accatastate alle pareti e negli angoli.
Avete presente che cosa fanno al Louvre i francesi con l’italianissima e celeberrima Gioconda? Le dedicano praticamente una sala intera, illuminata nel modo giusto: insomma, prima ancora che si arrivi alla “fruizione” del capolavoro, creano un evento.
Tutto il contrario di quanto avviene a Brera e, per la verità, nella stragrande maggioranza degli altri 450 musei gestiti dalla cosa pubblica, quasi tutti pieni di tesori inestimabili che all’estero ci invidiano. In quanto poi alle opere che i caparbi turisti e amanti dell’arte riescono alla fine a vedere quando faticosamente ce la fanno ad accedere a Brera, si tratta soltanto di una minima parte di quanto sarebbe a disposizione: nelle cantine del palazzo, ovviamente chiuse al pubblico, sono ammassati quadri e sculture altrettanto importanti con i quali si potrebbe tranquillamente allestire un altro museo e forse due. Manca lo spazio, è vero, dicono gli amministratori e i commissari straordinari che si sono succeduti (da noi il commissario straordinario è una figura che piace tanto anche se, di solito, quando il suo mandato finisce il problema non è stato risolto).
Ma è possibile mai che in decenni e decenni nessuna giunta comunale, nessuno ministero, sia mai riuscito a trovare un altro palazzo, un altro spazio espositivo? E allora, ben vengano i privati.
Ovviamente, la “casta” è insorta. Da una parte sono subito partiti all’attacco i sindacati: temono, giustamente dal loro punto di vista, che una fondazione privata sia una controparte molto più difficile da condizionare e sottomettere alle più diverse e spesso risibili rivendicazioni, come è invece l’amministrazione pubblica.
Dall’altra, e questo francamente mi irrita ancora di più, si sono inalberati anche i cosiddetti intellettuali. Fior fiore di storici, scrittori, critici – la lista è lunga: da Carlo Ginzburg ad Alberto Asor Rosa, da Bruno Zanardi ad Alessandro Nova, Tommaso Maddalena, Paolo Montanari, Sandra Bonsanti e via dicendo – hanno addirittura firmato un appello accorato e indignato al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e per conoscenza al capo del governo Mario Monti e al ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi. Noncuranti, i nostri pensatori, degli ancora troppo pochi esempi che dimostrano il contrario. Non penso soltanto ai gioiellini della musealità privata, primo fra tutti il mio amatissimo e curatissimo Poldi Pezzoli che è pure lui a Milano. Penso a strutture pubbliche un tempo fatiscenti e che sono risorte quando sono state finalmente lasciate in mano ai privati: la Venaria Reale di Torino e, sempre nel capoluogo piemontese, il Museo egizio.
A questo punto spero soltanto che la proposta, di cui erano pieni i giornali nei giorni scorsi ma di cui adesso, brutto segno, non si parla più non venga lasciata cadere. Dopo 35 anni di polemiche, la riqualificazione di Brera è pronta a decollare. I soldi ci sono, fatto non da poco in questi tempi di crisi: 23 milioni di euro di fondi Cipe sono stati bloccati. Ce la faremo o anche questo piccolo tentativo di fare dell’Italia un paese normale finirà affogato nel mare della demagogia cultural-politica, del conservatorismo sindacale e del menefreghismo pubblico?