Sulla grande palla di neve che il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha lasciato cadere sui suoi piedi si sono già sbizzarriti tutti: i cronisti che raccontavano senza riuscire a non sghignazzare; i commentatori che cercavano sgomenti di analizzare i fuggevoli perché di Alemanno; i romani che praticamente di sfottò vivono e perfino i suoi amici politici che in gran parte gli hanno voltato le spalle. Cosicché non mi pare il caso di insistere sull’Alemanno smarrito che non sa che fare, né sull’Alemanno bugiardo che accusa altri per salvarsi lui e neanche sull’Alemanno che si arrende senza sparare neanche un colpo e dice alla popolazione "spalate se potete".
Per non parlare dell’Alemanno che ordina agli automobilisti l’uso delle catene senza rendersi conto di essere in ritardo doppio: perché le catene non si usano più, specialmente in città, e perché le automobili erano impossibilitate a muoversi, catene o non catene, e lasciamo perdere anche l’Alemanno 007 che smaschera il "complotto del Nord" per far fallire la candidatura di Roma ai Giochi Olimpici del 2020. (Se pensavate che i buffoni nella disastrata politica italiana fossero solo i leghisti, ora dovete estendere le vostre osservazioni).
Lasciamo dunque da parte le tante ragioni che indurrebbero ad un calcetto sul sederino per aiutare Alemanno a intraprendere la discesa della scalinata del Campidoglio e lasciare la guida di Roma. (Oddio, avete inteso la parola oscena? LA GUIDA, che solo a pronunciarla si cade in una barzelletta talmente triste da superare perfino quelle vecchie e squallide con cui Silvio Berlusconi ha ammorbato la politica per tanti anni).
Lasciamolo dunque e concentriamoci su un aspetto specifico di questa epopea di Alemanno. Tutto ciò che lui ha detto e (non) ha fatto, si è manifestato non – diciamo così – nella vita vissuta, ma esclusivamente al chiuso, negli studi televisivi della RAI, di Sky e di La7, per cui lo si immagina correre a mo’ di salta picchio da un polo televisivo all’altro, ansioso di arrivare in tempo e inviare il suo messaggio.
E qui casca l’asino. Che c’era nel messaggio? Istruzioni alla cittadinanza? Indicazioni di luoghi di assistenza, magari allestiti proprio da lui, magari!, dove ci si potesse recare? Numeri di telefono che si potevano chiamare per avere informazioni? Alcune parole "calde" che un leader dovrebbe saper pronunciare quando un’intera cittadinanza non sa cosa fare?
Niente di tutto questo.
I salti frenetici dagli studi della Rai a quelli Sky e da quelli di Sky a quelli di La7 cui lui si era dedicato con grande tenacia, avevano solo ed esclusivamente uno scopo: la difesa del suo operato. E quello scopo lo ha perseguito negando con tutta l’anima ogni colpa sua, fosse minima, impercettibile o magari del tutto inevitabile. Mentre in altri luoghi, con altre facce, con altri nomi ed altri incarichi c’erano un sacco di colpevoli, cui lui lanciava attacchi furibondi.
Come si dice quando uno picchia qualcun altro che non è in grado di difendersi? Vigliacco? Maramaldo? Non saprei. Ma di sicuro il correre frenetico di Alemanno da un’emittente a un’altra era dovuto proprio alla circostanza che solo e unicamente lui sarebbe stato lì a parlare e a dare la colpa ad altri, mentre ai tapini che lui attaccava sarebbe toccata la sola possibilità di starlo ad ascoltare.
Così lui ha parlato tutto solo, sciorinando tutte le sue giustificazioni, passibili o balorde, tutte le colpe degli assenti, verosimili o ridicole, sentendosi un po’ come una specie di "Berlusconi per un giorno", pensando a quando il suo "maestro" non ha mai risposto alla domanda di un giornalista che non fosse "suo", non si è mai confrontato con nessuno e l’unica volta che dovette affrontare un dibattito elettorale con Romano Prodi, ne uscì malissimo e dette la colpa… indovinate a chi? Alla formula del dibattito. Chi si stupirebbe se qualcuno dicesse di aver sentito Alemanno gridare, dentro la sua auto blu, "Viva la TV?".