L’Italia è allergica ai meccanismi istituzionali della politica come Hollywood è allergica alla realtà. Così come è molto facile che in un film prodotto in quel sobborgo di Los Angeles ci si imbatta in paesi stranieri dove tutti parlano inglese, in piatti "tipici" che non esistono, in situazioni che fanno a cazzotti con la logica, allo stesso modo è pressoché fatale che una crisi politica italiana venga affrontata "all’italiana", che vuol dire il contrario di ciò che è istituzionalmente, e logicamente, contemplato. L’ultima volta che si è visto quel sistema girare al meglio (che vuol dire al peggio) è stato un po’ di anni fa, durante il primo governo guidato da Romano Prodi.
A sostenerlo in Parlamento c’erano le forze politiche del centrosinistra e il partito di Rifondazione Comunista, nato da una scissione del Partito comunista dopo che si era trasformato in Pds (Partito democratico della sinistra) seguendo lo sfacelo avvenuto nell’Est europeo e poi nell’Unione Sovietica. Il sostegno parlamentare era abbastanza ampio per realizzare il programma che Prodi si era dato per procedere alla modernizzazione dell’Italia. Ma a un certo punto Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione Comunista e sostenitore di Prodi, si rese conto che le cose stavano andando tanto bene che il suo partito rischiava di (parole sue) "identificarsi troppo con il governo, perdendo la sua identità rivoluzionaria". Detto fatto. Al governo vennero a mancare i voti di Rifondazione Comunista e Prodi dovette dimettersi. Fu uno sconquasso. Bertinotti fece infuriare praticamente tutti, compresi parecchi di quelli che avevano votato per lui, tanto che già tutti si aspettavano che alle nuove, ormai inevitabili nuove elezioni la sua mossa infantile sarebbe stata sonoramente punita.
Ormai inevitabili? Troppo semplice. Dal ventre dello stesso centrosinistra uscì un signore di nome Massimo D’Alema secondo il quale le nuove elezioni non erano quella cosa normale e regolarmente contemplata dalla prassi e dalla logica che tutti immaginavano, ma una soluzione "irresponsabile" da scongiurare a tutti i costi. E tanto era importante, scongiurarla, che in quattro e quattr’otto, con l’aiuto un po’ sinistro di Francesco Cossiga, allora presidente della Repubblica, mise in piedi una maggioranza "di rincalzo", sostituendo i voti del fatuo Bertinotti con quelli del mestierante Clemente Mastella, in modo da sostenere il governo guidato non più da Prodi ma da lui, D’Alema. Quella volta, il morbo "all’italiana", da sempre considerato invenzione geniale e patrimonio sacro della Democrazia Cristiana, si estese anche alla sinistra.
Questa volta sembra estendersi ancora di più. Succede che si vota a Milano e Napoli e Berlusconi viene sconfitto. Si vota per quattro referendum, uno dei quali riguarda direttamente il "legittimo impedimento" col quale Berlusconi vuole fare marameo ai giudici ed è un’altra sconfitta. Gli italiani si mostrano stufi del fumo che Silvio Berlusconi si ostina a tentare di vendere, le sue barzellette non funzionavano più e la sua maggioranza parlamentare – con lo sconcio e ridicolo voto sulla "nipote di Mubarak" – è come se finalmente abbia deciso di confessarsi apertamente: non sono un movimento politico ma una banda dedita a tenere il capo al riparo dai giudici. Nei sondaggi i consensi di Berlusconi precipitano, nello stesso Pdl cominciano a fiorire i transfughi.
Vuoi vedere che sta per finire lo strano andazzo per cui tutti i voti sono contrari al governo tranne i voti di fiducia?
Qualcosa di simile accade, o almeno pare. Una maggioranza contraria al governo si palesa sul voto del rendiconto, ma il modo che sceglie di esprimersi è decisamente bizzarro. La minoranza a favore del governo vota, la maggioranza contraria si astiene e così il rendiconto "passa" lo stesso. E’ il contorto morbo del sistema "all’italiana" che viene fuori, ma quello è solo un aperitivo.
Il morbo vero è che Berlusconi prende atto che "non ha più la maggioranza" e "accetta il consiglio" del presidente Napolitano di dimettersi. Lo fa misterioamente dopo il passaggio di una legge che chissà quanti paracadute per lui ci saranno, ma il punto essenziale è che le norme e la logica vogliono che le dimissioni di un governo avvengano dopo un voto di sfiducia in Parlamento, non in seguito a un "consiglio", per autorevole che sia.
Berlusconi si è dimesso senza che la fine della sua maggioranza sia stata verificata con un voto. In teoria, dunque, il suo partito è ancora maggioranza. E’ probabilmente per questo che lui si mostra sempre sorridente e ripete continuamente che il governo Monti "durerà finché lo vorremo noi". Il sistema "all’italiana" è da sempre una schifezza, ma mai aveva raggiunto traguardi luciferini come stavolta.