Questa rubrica si occupa di Italia. Lo farò quindi anche stavolta ma parlando di … Irlanda. Lo spunto mi viene da una breve ma – secondo me – giustissima analisi e comparazione fatta da Cesare De Carlo sul quotidiano Il Giorno. Riferendo che Dublino, finita dopo anni di boom in serissime difficoltà economiche assieme a Grecia e Portogallo, adesso si sta riprendendo molto bene e con grande sorpresa di tutti, il giornalista spiega che non si tratta di un miracolo di S.Patrizio. No, la rinascita dipende dalla ricetta azzeccata l’anno scorso dal governo irlandese. Che è in totale contrasto con quella, francamente punitiva e – credo – poco produttiva che vorrebbe adottare la nostra maggioranza guidata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. «Di fisco nella manovra irlandese ce n’è poco» premette De Carlo. Insomma: le mani nei portafogli dei cittadini e dei lavoratori non ce le mettono. «Sono invece molti i tagli alle spese pubbliche, alle retribuzioni e negli organici dell’amministrazione… Ma, soprattutto, c’è un trattamento estremamente vantaggioso per le imprese. La corporate tax, a dispetto dell’irritazione di Sarkozy e della Merkel, è rimasta invariata. Dunque, ha attirato e non scoraggiato gli investimenti». La conclusione è che: «In tempi di austerity e bilanci pubblici da risanare, la politica dei tagli alla spesa e delle tasse basse è la cura migliore». Ne trarrà qualche insegnamento il governo italiano? È la domanda che si pone il giornalista del foglio milanese e che, in realtà, ci poniamo tutti. Temo che la risposta sia un desolante: no. Perché il nostro ineffabile capo del governo (che, come dice Pierluigi Bersani leader del Pd, il quale ogni tanto riesce ad azzeccarne una, sta facendo capire al mondo che l’Italia è un Paese senza nessuno al timone) si è già dichiarato soddisfatto della manovra messa in piedi dalla sua maggioranza. Tanto a lui cosa importa? A pagare saranno come sempre i lavoratori italiani e i giovani sempre più senza speranza per il proprio futuro.
IL PD, PIUTTOSTO, È SEMPRE di più nella bufera per il caso Penati. L’ex braccio destro di Bersani, alla fine, si è dovuto arrendere: come ogni persona normale “accetta” di farsi processare. Meno male. Non credo che la cosa servirà a ridare un po’ di fiducia dell’elettorato nei confronti di un partito che da troppo tempo sembra senza proposte e senza idee, tranne le proteste di facciata. Ma è già qualcosa. Rispetto, per esempio, a quanto avviene nella maggioranza. Dove l’ex ministro Claudio Scajola (ricordate? È quello della casa miliardaria con vista Colosseo che lui non sa come ha avuto: “Se qualcuno l’ha pagata per me, io non lo so”) forse riuscirà a scapolarla. Complice la solita e scandalosa lentezza della giustizia e della burocrazia italica. Le indagini a suo carico, infatti, rischiano di cadere in prescrizione, perché stanno per scadere i tempi massimi previsti. Questa è l’Italia di oggi. C’è altro da aggiungere?