A lato, Tony Vaccaro con la sua foto più famosa, "The Kiss"; sotto, il ritratto di Sophia Loren.
Si chiuderà oggi la retrospettiva sponsorizzata dall’Associazione Culturale della Regione Molise in America che spazia su ben 60 anni di carriera di Tony Vaccaro. Fotografo americano di nascita ma con chiare radici italiane, Vaccaro iniziò il suo lavoro come fotoreporter dietro le fila dell’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale. L’esposizione ospitata al The Buzzeo Building Gallery (31-16 36th Avenue, Long Island City, NY; dalle 2 alle 7pm), originariamente doveva chiudersi la settimana scorsa ma è stata prolungata in seguito alle molteplici richieste.
Tony Vaccaro non è sconosciuto alle nostre pagine, lo avevamo già incontrato in occasione di una sua mostra a New Rochelle (vedi Oggi7 del 23 marzo 2008). Nato in Pennsylvania nel 1922 da genitori provenienti dalla piccola cittadina di Bonefro (Campobasso), ancora bambino perde la mamma mentre la famiglia si trovava in Italia. Il papà decide di affidarlo alle cure dei nonni così il piccolo Antonio trascorre la sua prima gioventù in Molise. Quando scoppia la guerra nel ‘39, viene richiamato in patria e successivamente arruolato nell’esercito americano.
Inizia a farsi conoscere per le fotografie scattate in Europa tra il ’44 e il ’45 e subito dopo la fine della guerra. In seguito abbandona la fotografia di guerra e, quasi agli antipodi, si dedica alla fotografia di costume e società, realizzando splendidi ritratti di icone quali Sophia Loren, Pablo Picasso, Frank Lloyd Wright, Georgia O’Keefe.
Quando entro nella galleria dove si tiene la retrospettiva non ho un appuntamento, ma vi trovo il signor Vaccaro che conversa amabilmente con un amico anch’egli fotografo. Stanno osservando una fotografia titolata “Black Death” che ritrae il corpo carbonizzato di un soldato – si dirà poi tedesco – ai piedi di un carro armato: «Non ho detto che l’ho ucciso, ho solo sparato», ascolto raccontare Vaccaro, «tempo fa poi sono tornato a Hemmerden, in Germania e in quel luogo c’è ora un monumento con il suo nome perché era un eroe tedesco, si chiamava George Bauer. Ho pianto quando ho saputo, non me lo aspettavo che fosse un eroe, era stato nella battaglia d’Africa sotto il comando di uno dei più grandi generali nella storia della guerra: Rommel. Quando è uscito (dal carro armato, ndr) era coperto di benzina a causa dell’esplosione e i miei commilitoni hanno iniziato a sparare. Io non volevo sparare ma in guerra se non spari pensano che sei un traditore e un soldato americano mi avrebbe sparato; dovevo sparare, che mi piacesse o no. Io volevo farlo prigioniero per estorcere informazioni, in guerra l’informazione è la cosa più importante. Quando era ormai a terra, praticamente bruciato, ancora diceva: “Mutter, mutter” (in tedesco madre, ndr)».
Nella saletta sul retro vediamo il poster di una precedente esposizione. L’immagine ritrae un soldato che bacia delicatamente una bimba sulla guancia in un momento della liberazione da parte degli Alleati di St. Briac in Francia, sullo sfondo due donne danzano in un gioioso girotondo. Vaccaro ricorda: «Il soldato si chiama Jim Costanzo, quello è l’elmetto americano ed era un sergente. Due ore prima della liberazione il posto era deserto ma non appena abbiamo liberato la città dai tedeschi, la gente ha iniziato a scendere in strada e festeggiare. Ero a circa 20 yards da questa scena che ho visto con la coda dell’occhio e sono corso indietro senza fermarmi perché quando un momento sta accadendo devi lavorare in fretta. Le donne sono francesi, Simone e Marie Therèse che è sposata con un italofrancese di nome Civetta, quindi ora è Madame Civetta. Simone mi aveva raccontato che appena un’ora prima del nostro arrivo aveva detto a un soldato tedesco della sua età, 17 anni, che a breve sarebbero sopraggiunti gli americani. Lui rispose: “Noi siamo così forti che gli americani non prenderanno mai questa città e tu, francese, continuerai a mangiare erba come le tue vacche!” Il Nazismo era orribile».
Quanto tempo è stato al fronte? Gli chiediamo.
«Sono stato in contatto con il nemico 272 giorni. Ogni giorno mi avrebbero potuto uccidere, sono stato fortunato. Io non credo in Dio, non credo nella religione. A causa della guerra. Se ci fosse un Dio, non dovrebbe permettere che esistano le guerre. Credo in Darwin e che ci stiamo evolvendo. Che in mezzo milione di anni ci assomiglieremo tutti e non ci saranno più guerre. Risolveremo il problema delle guerre nei prossimi 20 anni».
Tony Vaccaro nasce come fotografo di guerra ma dalle sue parole e dalle scelte di una vita capiamo che le immagini vissute e scattate al fronte hanno segnato un solco profondo e doloroso che egli ha cercato di attenuare dedicandosi a fotografie più “leggere”, se il termine si presta alla giusta interpretazione. Abbiamo così una serie di ritratti di personaggi eminenti nella sfera sociale, dall’arte al cinema, dallo sport all’attivismo civile, dalla politica alla moda.
Come sceglie i suoi soggetti?
«Avevo fatto una lista di più di mille nomi e poi li suggerivo volta per volta a “Life”, “Look”, “Flair”. Ho iniziato con “Life” poi sono passato a “Flair” poi “Look” e poi di nuovo “Life”».
Per ovvie ragioni ci colpisce la fotografia di una giovanissima Sophia Loren di cui Tony Vaccaro sorridendo ci racconta il retroscena: «Poco prima di scattare questa foto mi trovavo nel mio appartamento dove avevo appuntamento con la Loren. Ero appena uscito dalla doccia e sento suonare alla porta. Vado ad aprire con solo un asciugamano intorno alla vita e trovo Sophia Loren che in anticipo di una ventina di minuti mi fa: “Signor Vaccaro, sempre pronto!”».
Torna spesso in Italia? Vi sono dei progetti in un vicino futuro?
«Sono solito tornare due volte l’anno e sciare sulle Alpi. Sto preparando una grande retrospettiva a Roma per il prossimo anno. Lo scorso giugno-agosto ne ho presentata una alle Scuderie del Quirinale. È venuto anche Berlusconi ma non ero presente a causa di un appuntamento a Firenze con un’amica. Onestamente preferisco passare il tempo con lei piuttosto che con Berlusconi! Le Scuderie del Quirinale sono il posto migliore per esporre. Ho dovuto aspettare due anni per questa esposizione perché Rembrandt e Picasso erano in attesa prima di me! Mi hanno messo dopo Rembrandt, sono stato il primo fotografo a essere rappresentato in questa galleria».
Se deciderete di visitare la retrospettiva il perché vi balzerà facilmente agli occhi: Tony Vaccaro non scatta semplicemente delle fotografie, ma insieme alla sua Leica, costruita e firmata appositamente per lui, ritrae visi, momenti, emozioni come fossero dipinti.