
Come diceva Aristotele, “Una grande città non dovrebbe essere confusa con una popolosa”. Nessun altro luogo al mondo è così grande per la sua bellezza come le tante piccole e medie città, e i mille e più villaggi d’Italia. Viaggiando tra uno di questi luoghi e l’altro è grande la meraviglia che desta tanta bellezza. Con un neologismo derivato dalla lingua inglese, ‘Beautification’ è il nome della corrente di bellezza che fa luce sui valori estetici di città e villaggi, valorizzandone la conoscenza. E ‘Knowledgefication’ è la corrente di conoscenza che suscita l’amore per la bellezza. Le due correnti insieme promuovono un armonioso ordine sociale ed estetico che valorizza la qualità della vita. Spetta ai responsabili politici e alla società civile mantenere intatta la bellezza del patrimonio culturale italiano e dei suoi paesaggi, perseguendo senza sosta l’obiettivo di alimentare queste due correnti.
Si suole dire che giovinezza e bellezza se ne vanno prima o poi. Eppure, una città bella è una creatura estetica che non ha età. Il tempo entra in gioco se si tratta di salvaguardarne la bellezza, riscoprendola per poi rigenerarla. È il tempo dell’innovazione dell’etica civica indirizzata a rinverdire i comportamenti dei singoli nella comunità sociale affinché la bellezza della città sia intesa come un progetto vitale da portare avanti incessantemente. Irrompono sulla scena da protagonisti gli imprenditori della bellezza urbana. Tra questi, gli amministratori locali – ‘imprenditori politici’ che interpretano la visione della città.

È anzitutto responsabilità degli ‘imprenditori politici’ investire nella bellezza urbana che alza i valori dei beni reputazionali con forte impatto emozionale. Come si desume dal rapporto annuale del Reputation Institute, la considerazione in cui è tenuta una città vede sul gradino più alto del podio l’attrattività dell’ambiente urbano. Un’amministrazione locale efficace e un’economia che sia avanzata occupano, rispettivamente, il secondo e terzo posto. L’investimento nella bellezza esalta le caratteristiche della città, le dà carisma e ne rafforza le capacità di negoziazione con altre città del mondo. Il moltiplicatore d un euro investito nella bellezza è potenzialmente alto. Con la reputazione che sale, si attraggono più turisti, investitori, talenti scientifici e artistici, aspiranti e baby imprenditori innovativi; si allarga la finestra delle opportunità; crescono in quantità e qualità le relazioni interpersonali su scala internazionale; si produce reddito supplementare e si alzano gli standard di vita in città. Investendo oggi in reputazione, domani sarà la reputazione a lavorare per la città. Abbiamo osservato a lungo il viso tetro e grigio della recessione. L’investimento nei beni reputazionali è un punto di colore rosso sulle labbra della città bella. Per volgere in rosa le notizie economiche, la città non deve non rinunciare ai suoi prodotti di bellezza. È questo un segno di fiducia, ed è la fiducia che muove la società e l’economia.

Non è scritto nel libro della natura che la bellezza della città debba sfiorire. Capire dove siamo, dove vorremmo arrivare e come farlo è la missione delle città intelligenti a beneficio dei loro abitanti. Un compito da svolgersi con l’ausilio delle tecnologie digitali unitamente a nuovi modelli organizzativi degli spazi urbani. La società di consulenza Ernest & Young (EY) e il Forum della Pubblica Amministrazione producono statistiche sul quoziente d’intelligenza delle nostre città. Avvalendosi di 470 indicatori, EY ha messo sul podio Bologna, Milano e Torino. I 105 indicatori del Forum hanno dato il primato a Milano, Bologna e Venezia. I tanti indicatori presi in esame non dicono tutto perché, come sosteneva Einstein, “non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato”.
È opinione diffusa che la bellezza sia soggettiva, non misurabile. Ecco perché non si trova tra gli indicatori delle città intelligenti e del benessere urbano. La bellezza unita all’intelligenza migliora la qualità del vivere in città. Gli studi condotti nell’ambito della ‘pulchereconomia’ (l’economia della bellezza) hanno dimostrato che una città esteticamente bella dà felicità ai suoi residenti e corrobora l’attività economica. Più attrattiva la sua faccia, più la città possiede il carisma necessario per mostrarsi così forte nei negoziati da portare a casi risultati commerciali di tutto rispetto. .Le città attraenti perché belle godono di redditi più alti e richiamano investitori. Insomma, i benefici dell’attrattività provocata dalla bellezza s’irradiano a tutto campo.

La “Scuola della vita” con sede a Londra e impegnata nello sviluppo dell’intelligenza emozionale afferma che la bellezza della città è oggettiva e quindi calcolabile. Diverse ricerche hanno misurato l’incremento dell’indice di felicità correlato al vivere in una bella città. È anche oggetto di misura la caratteristica estetica della città percepita come segno di vitalità economica. In fondo, la città è un orologio mentale le cui ore battono al tempo del pendolo che oscilla tra gli investimenti per la manutenzione della sua bellezza, i danni causati dal tempo che la corrode e mostri che la deturpano imbrattandola e spargendo rifiuti. È emblematico il caso di Bologna. Se gli investimenti in manutenzione preventiva e programmata, compresi quelli per l’educazione al bello, entrassero tra gli indicatori, sarebbe a repentaglio l’attrattività urbana di Bologna e di tante altre città del Bel Paese. Con l’iniezione di 58 milioni concessi dal governo a Bologna, ciascun euro indirizzato alla salvaguardia della bellezza e all’educazione al bello produrrebbe un effetto moltiplicatore sia per il turismo che per gli investimenti dall’estero in attività produttive di reddito e lavoro per i residenti.

La bellezza della città è un’identità per sempre. E la bellezza attrae l’innovazione. Ammoniva Platone che la città è ciò che è perché i nostri cittadini sono ciò che sono. Quanto si chiede ai bolognesi è di rispettare e valorizzare la natura della bellezza della loro città, plasmata dalle generazioni passate. Perché la città è anche natura: il terreno su cui è costruita, la pietra con cui è fatta. Non vorremmo più leggere di una Bologna “sconnessa e trasandata”, come scrisse il New York Times il 30 settembre 2015 nella sua corrispondenza su “36 ore a Bologna”. Né vorremmo ripetere ciò che dichiarò Patrizia Gabellini, già assessore comunale all’ambiente e alla qualità urbana: “la brutta abitudine di gettare le cicche ovunque e comunque è una delle forme più pervasive della sporcizia che c’è in città”. E riflettendosi la bellezza della città nella piacevole impressione che ne traggono cittadini e turisti nel percorrerla a piedi, desireremmo che alla guida di un’auto non si dimenticasse mai che a un certo punto della giornata tutti si è pedoni.

Un ordine del giorno comunale anti-chewingum e anti-mozzicone, e l’avvertimento del Sindaco di Bologna che le Guardie ecologiche non perdonano, elevando multe a chi abbandona i rifiuti per strada e sotto i portici, sono ancora timidi passi in avanti nella campagna anti-sporcizia e anti-degrado. Lo sono anche le videocamere di sorveglianza e gli incentivi finanziari concessi ai privati per le operazioni di pulitura e riverniciatura di case e condomini deturpati dai graffiti. Tuttavia, più dei passi contano le impronte lasciate. Seguite da provvedimenti sanzionatori, non bastano le buone intenzioni di chi presiede a quel grande bene comune che è la bellezza della città. Né l‘innovazione tecnologia (oggi quella dei cestini intelligenti portarifiuti, adottati dal Comune di Milano) riesce da sola a tutelare la bellezza cogliendo sul fatto i suoi deturpatori. Ciò che non può essere ignorata è una campagna su vasta scala per educare la popolazione all’importanza della pulizia nella vita comunitaria. Insegnate e prese in giovane età, le abitudini, buone o cattive che siano, modellano la propria personalità. La bellezza di Bologna perdurerà nei secoli se i genitori e gli anziani di oggi lasceranno alle generazioni di domani un insieme di valori formato da beni non materiali quali l’amore e il rispetto per il bello. La polizia urbana può contribuire alla repressione dei cattivi comportamenti, sempre che l’educare e il sensibilizzare le persone sull’importanza della pulizia urbana non resti un bisogno represso.

Quali le fonti del successo di Bologna? Ingegnosità e abilità dei suoi cittadini? Certamente. Ma come dubitare di quanto la bellezza della città ne favorisca il successo? Ciò che è vero per le persone lo è ancora di più, per le città. Ci sono quelle che lasciano freddi e altre che scaldano il cuore. A fare la differenza è la bellezza. Basta un colpo d’occhio su chiese, palazzi e portici per rendersi conto che Bologna è una città bella, e la sua bellezza non è (ancora) una risorsa scarsa. Ma lo potrebbe diventare se non si provvedesse con tempestività alla manutenzione del suo patrimonio artistico e culturale. Più vediamo le cose belle intorno a noi, più ci diventano invisibili. È per questo che spesso diamo per scontato la bellezza. Per guarire dalla sindrome dell’invisibilità, sono un ottimo segnale i milioni di fondi pubblici in arrivo per la Basilica dei Servi, il portico di San Luca e altri manufatti storici della città. Quell’investimento serve a tenere unite bellezza ed economia. Cosa non da poco, giacché è proprio la ‘pulchereconomia’ che tanto può contribuire alla reputazione di Bologna.

Mentre avanza la candidatura a patrimonio dell’umanità dell’UNESCO dei portici di Bologna, uno straordinario percorso storico di circa 40 chilometri, è bene fare un passo indietro e uno in avanti. Il 28 dicembre del 1816 lo scrittore francese Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal, scriveva nel suo Voyages en Italie, pubblicato per la prima volta nel 1826: “I portici di Bologna sono ben lontani dall’eleganza di quelli della rue Castiglione [a Parigi], tuttavia sono molto più comodi giacché consentono di ripararsi molto bene dai grandi acquazzoni”.
A due secoli di distanza, cosa direbbe oggi Stendhal? Forse scriverebbe che il Comune di Bologna è una Penelope a rovescio: non intendendo sposare il signor Buon Senso, di giorno pulisce le colonne dei portici dalle imbrattature più variegate affinché notte tempo la soldataglia degli imbrattatori (la versione bolognese dei bravi rappresentati nei Promessi Sposi) possa disporre di superficie nitide sui cui riscarabocchiare.
Buon Senso se potesse sposare la signorina Giunta Comunale inizierebbe un’opera di prevenzione (educazione civica) e di repressione (pattugliamento notturno). Il matrimonio, purtroppo, non s’ha da fare. Che siano allora i condomini a pagare il fare degli scarabocchiatori e il disfare degli imbianchini. Si dirà: cosa sarà mai una sorta di abbonamento annuale “pulizia garantita” da 100 euro all’anno per condominio! Niente e tanto. Poca cosa in termini monetari, anche se è pur sempre una tassa occulta perché tende a nascondere disattenzione e inefficienza della mano pubblica. È tanto, però, se si aprono le finestre sul panorama dei diritti di proprietà. Sono, infatti, questi a essere l’agnello sacrificale sull’altare del non buon senso.

Chiunque può beneficare del bel vedere di palazzi, portici, monumenti e tanti altri beni pubblici e privati che arredano la città. La bellezza è un bene indivisibile giacché il consumo che ne fa una persona non ne riduce l’ammontare disponibile per un’altra. È proprio questa indivisibilità che i bravi hanno buttato al macero. La bellezza è poi un bene non escludibile, essendo difficile o impossibile escludere qualcuno dal godere dell’estetica della città. Il susseguirsi di bei palazzi nel centro storico e l’unicità delle lunghe distese dei portici sono un dono che i bolognesi hanno ricevuto dai loro predecessori e una novità molto gradita dai turisti. Gli scarabocchiatori sono dei battitori liberi che alzano un muro di bruttezza che allontana e perfino estromette dal bello il nostro sguardo. I bravi dei graffiti sono dunque gruppi di individui fortemente motivati a compiere azioni che producano divisibilità ed esclusione in città.
In queste condizioni, i 100 euro condominiali sono il risvolto di un’asimmetria tra i cittadini che pagano e i bravi che incassano i vantaggi della bandiera bianca che la mano pubblica ha alzato sui due fronti della prevenzione e della repressione. La manutenzione della bellezza è un viaggio molto lungo. Chi lo compie deve essere determinato e possedere le doti del maratoneta, motivazioni psicologiche comprese. Finora, non è stato questo il caso dell’amministrazione comunale di Bologna. La distanza gestibile dal suo organismo non è la maratona. Il Comune è un atleta da gare brevi. Di giorno si fa pulizia. Di notte si torna al brutto. Una pausa e poi, di nuovo, un’altra mini-gara.
La storia della bellezza di Bologna in cattiva salute dimostra che l’interazione tra ‘Beautification’ e ‘Knowledgefication’ è il presupposto per trovare percorsi che infondano nuova vitalità nel corpo dei grandi luoghi. Ciò non può accadere se una comunità, i suoi responsabili politici e i singoli cittadini rimangono schiavi – apparentemente in relativa sicurezza – di una mentalità ristretta che oscura la visione di possibili futuri di bellezza.