È colpa del coronavirus, lo so. È colpa di quel qualcosa che in realtà a dirla tutta io (come tanti), mica l’ho capito bene-bene, cosa sia. O meglio, che è un virus per il quale non c’è al momento una cura specifica, che si è diffuso dalla Cina, che attacca il sistema respiratorio, che ha provocato morti, ecc, ecc, quello sì lo so. Quello che non so è il perché del panico diffuso, cioè se è giustificato oppure no, ecco.
A chiedere, per mestiere tra l’altro, ho chiesto: ogni volta mi hanno detto che è come l’influenza. Solo che se ne parla così tanto è così in tanti e in così tanti modi e toni e versioni diverse che io bho. Ma cos’è? “No panic”. Scusa, cara Italia, mi è venuta all’inglese. È che sono a Miami, a 12h di volo diretto da te. Volo, quelli che intorno ci chiudono. Ma ci ritorniamo su ‘sto punto. Dicevamo, “No panic”. Bene, benissimo, figuriamoci, chi lo vuole ‘sto panic che per dirlo (stavolta) alla napoletana, che a vacant’ iamm’ chin’ carichi, perciò no figurati. Epperó…
Però peggio del sapere qualcosa che può non piacerci, c’è solo il non saperne nulla o quasi. O meglio: sappiamo troppo, ma con troppa confusione. E stavolta non è solo colpa di noi giornalisti che pure le opinioni nostre dovremmo tenerle per noi se non siamo esperti della materia, e raccontare invece l’opinione di chi sa o almeno dovrebbe sapere. Ma dicevamo, non è solo colpa nostra perché c’è chi è riuscito a fare peggio, a tutti i livelli. La politica. Non che in Italia sia mai stata sto granché nell’esimersi da colpe ma stavolta ha veramente esagerato. “No panic”, come dicono qui dove c’è sempre il sole e la vita è così Enjoy! Ma il panico è figlio legittimo dell’ignoranza, nel senso letterale. Quanto è pericoloso il coronavirus? Si muore veramente? Ecco, già saperlo con certezza e senza roba tipo: “Pericoloso sì ma…; Si muore sì ma…”, sarebbe molto bello. E sarebbe bello anche se tra un’ordinanza e l’altra la politica facesse le cose seriamente, senza azioni ridicole o peggio da sciacalli.

Intanto, qui a Miami c’è quel sole di cui sopra. Non c’è il coronavirus per le strade, dicevamo, e non se ne parla se non al tg. Ma non tra la gente. Non per la gente. Sembra un’oasi di pace qui. Ingenuamente immaginavo di partire (stanca del coronavirus e di ciò che non si sa su di esso) e tornare con la questione risolta. Macché. È pure peggio. Tanto che persino a Miami siamo quelli del coronavirus, appunto. Tanto che, a proposito degli aerei dove gli unici con la mascherina erano quelli che atterravano, si rischia quasi di non tornare. E chissà che non sarebbe la cosa migliore, per adesso è chiaro. O almeno fino a che, cara Italia, non si sia in grado di gestire, capire e spiegare soprattutto. Che il male peggiore viene da ciò che non conosciamo. E noi napoletani lo sappiamo bene, abituati come siamo all’emergenza continua, riluttanti a farci prendere dal panico che per noi è ordinaria amministrazione sennò col cavolo che saremmo sopravvissuti negli ultimi secoli. Noi che in fondo riusciamo anche ad ironizzare, più o meno. Noi che rispondiamo folcloristicamente a suon di pizze alle offese. Noi che non abbiamo goduto se il virus è partito dal Nord, anzi. Noi che tutto sommato ce la facciamo. Noi che però, mi dicono, iniziamo a non girare per la nostra bella città. Sai che dramma per chi vive dell’odore del mare? Noi che siamo vivi dentro sempre. Quasi quanto qui a Miami. Noi che accogliamo, abbracciamo, tocchiamo e ora, mi dicono anche questo, ci guardiamo con sospetto senza manco salutarci da lontano.
Questo coronavirus passerà. È cosa certa. Sì. Credo. Spero. Ma sì. Lo è. E mi chiedo, cosa resterà? E soprattutto cosa non sarà poi come prima? Intanto a Miami c’è il sole. Mentre in Italia la nube è di quelle davvero nere.