È quando si smette di sognare che si inizia a vivere. A meno che non si arrivi nel Paese a stelle&strisce dove si vive per realizzare i sogni, ad occhi rigorosamente ben aperti. E se in ogni parte del mondo a far rima coi sogni è il cinema, Michele Diomà ne ha fatto la sua storia, da vivere e da dirigere. Trentasei anni, passaporto italiano, Natali napoletani, regista. E al secolo anche colui che dirige il lungometraggio “Dance with me Again Heywood!”, interamente girato a Manhattan e che verrà presentato in anteprima mondiale al XXI Napoli Film Festival, uno degli eventi più attesi della prossima stagione. A far ancora più rumore è il nome di uno dei protagonisti: James Ivory.
L’America e il suo famoso sogno. Andarci per crederci e realizzarlo. Eppure si rischia di cadere nel solito cliché che questa idea si porta dietro. Lei è passato oltreoceano. Quanto è vero quel Sogno americano?
“Per me è stato qualcosa di molto concreto, pertanto non posso che confermarne l’esistenza, in quanto sto vivendo “il sogno americano”. Naturalmente la definizione di “sogno americano” può trarre in inganno se la si considera come una “facile” svolta in positivo della propria vita. Sto imparando giorno dopo giorno che “il sogno americano” impone una predisposizione psicologica votata a lottare quotidianamente, ma è una società nella quale il merito ha un peso importantissimo, nessuno ti regalerà nulla, ma al tempo stesso nessuno ti escluderà a priori. In sintesi il carburante del “sogno americano” è la meritocrazia, che in Italia non dico che non ci sia, ma è quantomeno carente”.
Da Napoli a New York, passando per?
“Roma è la città che mi ha adottato, prima di iniziare il mio “percorso newyorkese” molti dei miei progetti li ho realizzati nella capitale. Mentre Napoli costituisce il mio punto di partenza e la reputo una realtà culturale che la si può riassumere in una capacità unica di accogliere “il diverso”. Napoli è sempre stata una dimensione inclusiva, questo aspetto vale per l’appartenenza etnica o di genere, ma si traduce in un elemento molto prolifico anche nell’arte”.
Il nome di uno dei protagonisti è di quelli altisonanti (Ivory): come ci è letteralmente finito in questo film?
“Due anni fa mi trovavo a New York per presentare il mio film “Sweet Democracy” al quale ha partecipato anche Dario Fo, ma al tempo stesso ero a Manhattan per valutare la possibilità di realizzare il mio primo film in lingua inglese, nel quale desideravo coinvolgere un’icona della storia del cinema americano. Poco dopo sono entrato in contatto con James Ivory, che ammiro da sempre e che con molta generosità ha accettato di rispondere alle mie istanze. Ecco com’è nato “Dance again with me Heywood!”il film “manifesto” del Neorealismo Newyorkese, un nuovo cinema Made in Italy dal profilo internazionale e fondato sulla completa libertà espressiva del regista”.

L’Italia è la Repubblica del Pregiudizio, tema a cui è dedicato il suo film. E l’America invece?
“Il pregiudizio è come un virus, in ogni società rischia di prendere corpo, ecco perché ho realizzato un film che attraverso una favola riflettesse su questo handicap culturale. Il protagonista di “Dance again with me Heywood!” incontra una donna invisibile agli occhi del mondo, ma non ai suoi. I due scoprono di avere molte affinità, iniziano a frequentarsi, ma Heywood teme di esser giudicato matto da tutti, dato che agli altri appare come un uomo che parla da solo. La sua sfida interiore sarà avere il coraggio di vivere i propri sentimenti liberamente o rinunciarvi, appunto per evitare“il pregiudizio” degli altri nei suoi confronti. È dunque un film sui diritti civili, che spero possa emozionare e far riflettere tanto in Italia quanto in America”.
Che tipo di film girerebbe in Italia?
“Argomento spinoso, l’Italia è un paese nel quale fare il produttore cinematografico per un uomo libero è quasi impossibile. L’assistenzialismo attraverso i fondi pubblici al cinema ha tramutato, buona parte dei registi, in dei portavoce della politica. Chi nega questa realtà, mente. Oggi in Italia nessuno produrrebbe un film di Pier Paolo Pasolini o di Federico Fellini, questo perché erano artisti che esprimevano esclusivamente il proprio punto di vista. Film come “Mamma Roma” o “Prova d’orchestra”oggi non si potrebbero più fare, in quanto contestavano il potere. Oggi al massimo l’industria cinematografica in Italia può concedere a qualche “eletto” regista di girare un film di finto impegno civile, che illustri meritoriamente una problematica sociale, senza tuttavia poter svelare “davvero” i fattori che l’hanno generata. Fortunatamente ho imparato a vedere le cose sempre con molto senso dell’umorismo e se tornerò a girare un film in Italia sarà una commedia satirica sul grado di corruzione che c’è nel mio amato paese. Di certo non mi mancheranno le fonti di ispirazione!”.
È chiaro che l’Italia non sia adatta a sfondare nel Cinema. Ma cosa ha Napoli che l’America non ha?
“Napoli è la città dalla quale iniziare a costruire un nuovo cinema italiano, che non può essere soltanto espressione delle grandi industrie private o statali, ma deve lasciare uno spazio agli indipendenti. È un ottimo segnale che il Napoli Film Festival, dopo aver ospitato negli anni premi Oscar come Spike Lee, i fratelli Coen, Cate Blanchett, Vittorio Storaro ed altri, abbia accettato il mio film “Dance again with me Heywood!”, che presenteremo in anteprima mondiale a fine settembre. Napoli e New York nello specifico, credo che abbiano diversi punti in comune, uno dei quali è proprio quello di essere realtà che favoriscono la sperimentazione di nuovi linguaggi, sono terreni davvero molto fertili per un artista”.
Ritornare in Italia, a Napoli, solo se…
“Sono sempre stato attratto dall’idea di potermi confrontare con culture diverse dalla mia. In tal senso è come se non avessi mai lasciato l’Italia o Napoli, dato che per confrontare due realtà, almeno una la si deve conoscere a fondo. In questo periodo ho una sorta di “love story creativa” con New York, che mi permette di vedere anche Napoli e l’Italia con occhi diversi. Sembra un paradosso, ma per comprendere meglio la tua terra, può essere utile andare dall’altra parte dell’oceano”.
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