Quest’estate ho passato qualche giorno in Gran Bretagna insieme a due dei miei figli, che si sono degnati, chissà perché, di fare questa vacanzetta rapida rapida con il loro austero paparino. Forse perché pago tutto io?
Prima tappa, Edimburgo. Siamo in pieno Military Tattoo che non è il festival dei soldati tatuati ma quello invece delle bande musicali provenienti da tutti i paesi del mondo. Ci sono naturalmente gli scozzesi con il kilt e la cornamusa ma anche i Maori neozelandesi, gli africani, gli americani, i cinesi e chi più ne ha, più ne metta.
“Ammazza che tajo!”, esclama in perfetto accento della Garbatella un ragazzino in piedi davanti a me. Ed è la prima.
Sulla strada principale assistiamo invece all’esibizione libera degli artisti indipendenti che, sparsi qui e là, si esibiscono nella cosiddetta rassegna Fringe.
Chissà perché ci sono solo suonatori di chitarra. Quasi tutti bravissimi, quasi tutti hanno strumenti improbabili, fatti con le proprie mani. Ce n’è uno che si è costruito una chitarra usando una vecchia valigia di cartone, di quelle che un tempo appartenevano ai nonni.. E sapeste come suona quell’affare!
“Ma se deve da partì col treno, i vestiti li mette dentro la chitara, papà?”, domanda all’improvviso il solito moccioso Garbatellino, stando bene attento a pronunciare la parola chitara con una sola erre.
Il treno invece del musicista lo prendiamo noi il giorno dopo e ci spostiamo a Londra, abbandonando scozzesi simpaticissimi e disponibilissimi. Il tempo meteorologico è quello che è. Piove e tira vento, esattamente come ha fatto in Italia per tutta l’estate.
Ad una stazione intermedia salgono una decina di giovani supporters della squadra di calcio del Newcastle già completamente sbronzi. Hanno con sé una cassa piena di birre e di vodka e cercano di finirle tutte prima di scendere.
“Ma che fanno? Se ‘mbriacano così, alle dieci de matina?”, balbetta un timido signore di Monteverde seduto vicino a noi, stando anche lui ben attento a pronunciare la parola matina con una sola t.
A Londra il primo problema è capire in fretta come funziona l’Underground. “Dovete da prende la linea de Piccadilly!”, ci dice un ragazzo col codino. Ma da dove l’ha capito che eravamo concittadini?
Ci accorgiamo presto che in città ci sono un’infinità di italiani e, soprattutto, una quantità industriale di romani. Molti di loro sono qui in vacanza ma altri invece, specie quelli più giovani, ci abitano proprio, ci lavorano.
Paolo ad esempio è romano ma laureato alla Bocconi di Milano in Economia aziendale e ha appena ottenuto un contratto a termine con una banca svizzera con sede londinese. Guadagna bene, circa milleduecento sterline a settimana, e coabita con tre ragazze italiane, anche loro neolaureate. Una di queste si chiama Belen perché la madre argentina ha sposato un romano. Non è bella come la Belen famosa, ma in compenso è molto più intelligente e colta. Si occupano tutti di fusioni societarie e sperano di ottenere presto una conferma del posto di lavoro, stavolta a tempo indeterminato. Filippo invece a Roma suonava la chitarra elettrica in un gruppo hard rock, anche abbastanza conosciuto negli ambienti specifici. Poi si è messo a studiare grafica industriale, ha partecipato ad una bando europeo e ha frequentato gratuitamente una famosissima scuola di Copenaghen. Da qui è poi stato assunto da un’azienda londinese e, dopo un anno, è stato infine “acquistato”, udite udite, dalla BBC, la rete televisiva inglese più famosa. Si occupa di programmi del futuro, di nuove sperimentazioni, insomma di cose da genio, quale lui in effetti è.
Un altro Filippo, romano di Vigna Clara, ha studiato all’Università di Londra per diventare Manager musicale. Dopo la recentissima laurea si sta ora facendo le ossa sul campo e si occupa dell’organizzazione di concerti di gruppi emergenti.
In uno di questi gruppi ci suona invece un altro Filippo, romano di San Saba. Il suo sogno è diventare un famoso chitarrista, un incrocio tra Jimi Hendrix e Eric Clapton.
Oggi deve accontentarsi di quello che passa il convento. Suona per diletto e per campare fa il cameriere in uno dei vari pub che ci sono da queste parti.
Gianni invece a Roma faceva il portiere notturno in un albergo e guadagnava circa mille euro al mese. A Londra è diventato Manager responsabile dell’organizzazione di una grande hotel a cinque stelle frequentato da magnati arabi.
Durante i giorni della nostra visita c’è stato anche il cosiddetto Carnevale di Notting Hill. Sulla collina un tempo frequentata da Hugh Grant e Julia Roberts, si sono accalcate quasi un milione di persone che, nonostante il freddo e la pioggia, ballavano, bevevano e cantavano come se invece che a Londra si trovassero al carnevale di Rio de Janeiro.
“Ammazza che freddo che fa!”, mi sussurra a denti stretti una ragazzetta di Ostia vestita, anzi svestita, con un micro bikini rosso e piume svolazzanti sulla testa. Insomma ‘sti romani de Londra sono davvero tantissimi. Tutti venuti qui in cerca di divertimento ma anche e soprattutto di lavoro, di una vita diversa, poiché nel loro paese, quello in cui noi tuttora viviamo, di lavoro ce n’è davvero poco ed il futuro, invece che roseo, sta assumendo tonalità di colori scuri, anzi completamente dark, tanto per usare un termine tipico dei sobborghi londinesi.
“Scialla, zi’. Ma stasera ‘ndo annamo?”, ci chiede un amico di mio figlio appena incontrato alla fermata dell’autobus di Oxford Circus.