“Tremendous”: così, con questa sua tipica espressione, Mario Mignone avrebbe salutato la conferenza internazionale a lui dedicata che si è tenuta venerdì e sabato alla Stony Brook University, come in chiusura ha immaginato sua moglie, la Prof. Lois Pontillo Mignone. Intitolata “Made in Italy, Made for America. Honoring Mario B. Mignone (1940-219)”, hanno fatto infatti tremare di ammirazione gli interventi di accademici, politici, diplomatici, amici e familiari per quel professore fondatore del Center of Italian Studies della SUNY nel Long Island: cresciuto in una famiglia di contadini del beneventano partita per l’America nel 1960, Mario riuscì a realizzare il suo sogno americano attraverso l’amore per la cultura italiana mai separata dai suoi ancestrali valori.

Al Wang Center di Stony Brook, ad aprire i lavori del convegno sull’accademico italiano d’America scomparso nel 2019 – ha insegnato alla SUNY per 50 anni – c’era anche Fabrizio Di Michele, Console Generale d’Italia a New York con Fabio Finotti, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, a sottolineare il rispetto delle istituzioni italiane per quel professore famoso non solo per la sua produzione accademica, ma soprattutto per ciò che è riuscito a costruire e a lasciare per la comprensione e diffusione della cultura italiana negli USA.

Si inizia col saluto di Carl Lejuez, il Provost all’università di Stony Brook, che nel rivelare orgogliosamente le sue origini italiane – “Mia madre, Filomena di Meo, veniva dalla Calabria” – ha sottolineato quanto il Center for Italian Studies fondato nel 1986 da Mignone sia stato determinante per lo Stato di New York. Nicole Sampson, Dean of the College of Arts and Science, commossa ha ricordato l’ultima cena con Mario e i successi del Center, grazie anche alla rivista “Forum Italicum” e l’istituzione della cattedra D’Amato.

Nel suo intervento, il Console Generale Fabrizio Di Michele, arrivato a New York l’anno scorso, ha detto che “avevo subito sentito parlare molto del Professor Mignone: mi dispiace di non aver potuto incontrarlo, era un’istituzione”. Il Console ha ricordato come gli studi italiani e italo americani siano importanti per capire gli Stati Uniti e quanto il contributo di Mignone all’affermazione di questo “heritage” sia stato decisivo.
Il Prof. Fabio Finotti, direttore dell’Istituto italiano di cultura di New York, che ha insegnato per anni all’Università of Pennsylvania, ha detto che ammirava il lavoro del collega Mignone negli USA, notando che “gli studi italo americani dovrebbero essere conosciuti di più in Italia”. Dicendosi “commosso” dalla grande partecipazione alla celebrazione di Mignone, Finotti ha auspicato una maggiore collaborazione tra l’IIC di New York e il Center for Italian Studies del Long Island: “L’Istituto italiano di Cultura deve essere sempre più presente anche fuori Manhattan”.

La prima sessione del convegno, intitolata “Communities and places: Italy, North America and Beyond” si è aperta con l’intervento del Prof. Stanislao Pugliese, storico della vicina Hofstra University: a lui il compito di analizzare The Story of My People, il libro autobiografico di Mignone uscito negli USA nel 2015 e poi anche in edizione italiana nel 2019. Il libro di memorie dell’autore, per Pugliese “sfida gli stereotipi delle migrazioni di massa dal Mezzogiorno e offre un nuovo modo di pensare la storia italiana e italo americana”. La vita di Mignone fa capire come arrivi a diventare un “distinguished professor” senza perdere mai l’attaccamento ai valori delle sue origini. Ventenne parte con sette fratelli e la madre, senza il padre che rimane bloccato in Italia da problemi di visto (ultimi colpi di coda del maccartismo). Vivono nel Bronx e Mario trova lavoro in una fabbrica di macchine utensili. Il momento cruciale è l’approdo al City College, università pubblica ma chiamata la “Harvard di Harlem”. Da lì il PhD alla Rutgers University (altra università statale, ma del New Jersey). La madre è la roccia della famiglia, e i fratelli e le sorelle Mignone eccellono nel saper cogliere le occasioni offerte loro dalla società americana (“una famiglia flessibile tra tradizione e modernità”), mentre il padre mal si adatta al capitalismo sfrenato: “Il cane mozzica sempre il disgraziato” ripeteva. Quando ormai è professore della SUNY, Mario torna per la prima volta a Benevento con la moglie e le figlie (1978), ma Pugliese ci ricorda che sarà anche una esperienza dolorosa: “Ho sognato di connettere le mie figlie con il mio passato, ma erano troppo giovani…”. Pugliese chiude su “come Mignone ribadisca il significato del verbo ricordare: ridare al cuore”.

Il Prof. Franco Vitelli, emeritus dell’Università di Bari, rifacendosi alla edizione italiana del libro autobiografico di Mignone, L’America e la mia gente, riconnette la vita dei contadini del Sud d’Italia con l’America capitalista. Vitelli nota che Mignone, professore di letteratura, “sa meglio di altri che la letteratura non basta, di qui l’apertura alla complessità del mondo; la cultura per lui era l’esplorazione profonda delle ragioni della vita e perciò aveva bisogno di una molteplicità di strumenti”.
Vitelli nota che Mignone consegna tutto il suo stipendio di operaio alla madre, che accudisce la famiglia numerosa. “E’ vero, ma non verosimile”, almeno per le autorità fiscali americane che non credono a quell’uomo che invece di vivere la sua indipendenza pensa alla famiglia d’origine: con Mignone invece abbiamo “la possibile interazione tra il mondo delle origini fondato sulla civiltà contadina e l’approdo americano a dominio industriale… L’autobiografia di Mignone rappresenta il caso di un inserimento a pieno titolo nei meccanismi dell’America capitalista senza smentire, anzi esaltando, il prezioso mondo di valori degli antichi padri contadini”. Per Vitelli quindi il successo della famiglia Mignone sta nell’aver saputo coadiuvare modernità e tradizione. “O ti adagi o te ne vai? La sfida era quella di non lasciarsi ammaliare dal cane delle sirene del consumismo”.
Il Prof. Marcello Saija (emeritus Univ. Palermo, Catania e Messina), ha ricostruito come il Prof. della SUNY aiutò, coinvolgendo la comunità italoamericana, l’allora Ambasciatore d’Italia alle Nazioni Unite Francesco Paolo Fulci a “stoppare” il tentativo di riforma del Consiglio di Sicurezza ONU che avrebbe allargato i seggi permanenti alla Germania e Giappone lasciando fuori l’Italia. Saija ha fatto rivedere frammenti del video della grande cena di gala che si tenne al Waldorf Astoria nel 1998 in cui Fulci riuscì a coinvolgere tutti i paesi membri dell’ONU “insulari” per allearsi con l’Italia in quella battaglia (Fulci era eoliano dell’Isola di Salina). Saija, grazie a Mignone, tornò a Stony Brook con una squadra di studenti dell’Università di Messina per condurre una ricerca alla SUNY e i risultati portarono alla grande mostra “Sicily Crossing” tenuta nel 2006 ad Ellis Island, organizzata con Mignone, di cui è stato mostrato il discorso di inaugurazione.

Nella seconda sessione intitolata “Mario Mignone: Scholar and Thinker”, un altro “Amico, Collega, Compagno (quarantennale) di strada” di Mignone, il Prof-Poeta Luigi Fontanella della SUNY ha fatto un compendio dell’attività accademica di Mignone. “La prima volta che lo vidi fu per la mia interview alla SUNY. Aveva un maglione sgargiante, dopo l’intervista ruppe le formalità e mi invitò per un caffé: aveva una conoscenza sconfinata del teatro, da Brecht a Pirandello…”. Sul Eduardo De Filippo, Mignone scriverà due libri e avrà anche un incontro intervista con il grande artista napoletano al San Carlo di Napoli. Fontanella nel “vitalissimo impegno di Mario nell’ambito del Center for Italian Studies da lui fondato nel 1985 con il fattivo sostegno del Prof. Joseph A. Tursi, e il successivo coinvolgimento di Josephine Fusco”, ha riassunto i convegni annuali su tematiche sociali, politiche e letterarie “nel più ampio senso della Cultura e della Civiltà Italiana dal Medioevo alla Contemporaneità”. Fontanella ha ricordato i viaggi in Italia con gli studenti, dove quel professore di un’importante università americana “non si dava mai delle arie, era uno spirito umile. Evitava i ristoranti famosi, preferiva le trattorie dei castelli romani. In Toscana, vicino Pisa, si fermava sempre in un negozietto a comprare i semi di fiori che poi seminava nel suo giardino in America”. Fontanella ha raccontato un sodalizio “che ci ha visti insieme attraverso numerosissime fasi non sempre idilliache e pur tuttavia sempre dettate da un solido Comune Denominatore: la promozione e diffusione di una nostra gloriosa Nazione Italia all’insegna dei suoi migliori valori creativi, artistici e sociopolitici”.

L’esperta di teatro napoletano Antonia Lezza (Università di Salerno), è intervenuta via video e, prendendo spunto anche dal lavoro di Mignone sul grande artista napoletano, ha analizzato il ruolo e la fortuna critica di Eduardo oltre il Novecento, portando esempi sugli aspetti salienti del suo Teatro.
Il Professor Alessandro Carrera (University of Houston) ha analizzato The Idea of the Mediterranean, un libro che Mario Mignone ha curato nel 2017 dopo il convegno che si tenne del 2015 a Stony Brook per discutere “l’idea del Mediterraneo e del Mediterraneo come idea”. Carrera si è soffermato nell’introduzione al libro scritta da Mignone, in cui chiarisce “che il Mediterraneo di oggi è un luogo di morte e violenza, un cimitero aperto dove è in gioco il futuro dell’Europa. Eppure il Mediterraneo non è solo un’espressione geografica. Il Mediterraneo è un’idea, ma non solo un’idea”. Quindi ecco le domande che si poneva Mignone: “C’è un’identità mediterranea? Il Mediterraneo è un’unica zona interattiva? È ancora possibile concepirlo così? È possibile trattare il Mediterraneo come un soggetto autonomo?”. Ogni sponda del Mediterraneo ha la sua “idea” (e forse la sua ideologia) di cosa significhi il Mediterraneo. Il pensiero di Mario resta attualissimo e anche provocatorio: “Per Mignone oggi l’unico vero popolo del Mediterraneo sono i migranti… Quando Mignone parla della mancanza di una risposta coesa da parte dell’UE alle sfide del Mediterraneo, per non parlare dell’assenza degli Stati arabi in materia, chiarisce implicitamente che il Mediterraneo è ormai più un oggetto che un soggetto, un intrattabile oggetto abbandonato sia dal Nord (Europa) che dal Sud (Africa) e lasciato a se stesso”.

La terza sessione, chiamata “Realpolitik”, era dedicata al Mignone “politico”. Luigi Troiani, nostro columnist e professore di Relazioni Internazionali all’Angelicum di Roma, ha analizzato la capacità di Mignone di fare politica, come leader nella comunità di riferimento, di attore di un fitto dialogo con la politica e i politici italiani e statunitensi. Troiani ha ricordato che alla cattiva politica italiana, Mignone attribuiva la responsabilità storica dell’emigrazione italiana del novecento, e quella che è ripresa nell’attuale secolo. Sottolineando che, Mignone era al tempo stesso capace di riconoscere i progressi dell’Italia, e di conseguenza portare il meglio dell’Italia nei convegni e altre attività culturali che il Center for Italian Studies di Stony Brook ha realizzato sotto la sua direzione. Troiani ha concluso definendo Mignone un “generoso e intelligente conservatore riformista”.
L’esperto di sindacati Marco Zeppieri, ha letto l’intervento dell’ex senatore Giorgio Benvenuto, leader storico della UIL e presidente della fondazione Bruno Buozzi – che non è potuto essere a New York per ragioni di salute -. Zeppieri ha sottolineato la abnegazione e la grande determinazione messe da Mignone per raggiungere i risultati che si era prefissato. “Lavoro e fatica che però non erano scindibili dalla crescita culturale. Bruno Buozzi amava dire che nelle trattative sindacali ‘non basta resistere un minuto più del padrone ma bisogna avere letto un libro più del padrone’. Il sapere, la conoscenza sono primari nella crescita di un uomo e questo è stato il filo conduttore della vita di Mario Mignone”.

Chi riporta queste righe è intervenuto in questa sessione. Ho conosciuto il Prof. Mignone agli inizi del XXI secolo, quando chiese ad un giornalista, categoria di cui un po’ diffidava – si era fidato delle referenze degli amici in comune, il Prof. Luigi Troiani e il Prof. Salvatore Rotella – di tenere una lecture ai suoi studenti sulla “Mafia”. Passai la prova, e scoprii presto le grandi doti di Mignone: ogni volta che gli esponevi un’idea, il prof. ti ascoltava in silenzio, capo chino e poteva sembrare che lo stessi annoiando, quasi da addormentarlo. Poi, senza mai interrompere, ecco che sprizzava un sorriso e una battuta che sintetizzava tutto. Capivi che dal tuo pensiero, lui era già all’azione. Quanti straordinari risultati nei convegni organizzati da Mignone, con personaggi politici e istituzionali di grande rilevanza, come quando riuscì a far arrivare nel 2012 il capo procuratore anti mafia Piero Grasso per una conferenza dedicata al giudice Falcone a venti anni dalla morte. O nel 2007, quando arrivò Clemente Mastella, allora ministro della Giustizia, che nel suo intervento denunciò i mali della “casta” di cui lui stesso faceva parte. Mignone aveva la capacità di far scambiare idee e analisi sullo stato dell’Italia e della comunità italo americana senza mai imporre una sua “linea” di pensiero, rimanendo concentrato all’ascolto delle opinioni e idee dei suoi interlocutori, anche se non ne condivideva le conclusioni. In uno dei suoi interventi su La Voce d New York, Mignone nel 2017 espresse una posizione più “equilibrata” sull’accesa polemica dei festeggiamenti del Columbus Day che divideva e tuttora divide la comunità italo americana. Quindi con il Center for Italian Studies, Mignone ha creato un “Think Tank” per l’Italia in America inedito, dove senza le solite muraglie ideologiche, ha alimentato un dibattito che puntava alla verità e alla giustizia.

L’ultima sessione di venerdì è stata “Mario Mignone and Italian Cultural History”. Qui Ernest Ialongo (Hostos Community College) ha parlato di Mignone lo storico, con le sue sintetiche e precise analisi sui volumi Italy Today, che hanno spiegato la storia contemporanea italiana a generazioni di studenti sparsi in tutti gli Stati Uniti e Canada. E quindi ecco le previsioni sul ruolo “nazionalista” della Lega di Bossi, così come il fenomeno Berlusconi. E prima, nel descrivere il regno della “stabilità” della DC, Mignone spiega la tradizione “trasformista” italiana, che soprattutto con Giulio Andreotti, è “una versione moderna di De Petris e Giolitti”. Quando Mignone analizza gli anni del terrorismo e l’omicidio Moro intravede, nella reazione dello stato italiano e degli italiani, un modello per gli USA dopo 9/11.
Nicolino Applauso (Morgan State University), ha spiegato la nuova edizione di un libro iniziato in collaborazione con Mignone. Il titolo della sua presentazione iniziava con “Maestro: Cosa scriviamo oggi?”. Si intitola “Italy Today: Changes and Challenges from WWII to the Coronavirus Pandemic” ed è la 4a edizione del libro di testo di storia multidisciplinare in precedenza scritto da Mignone in varie edizioni. Molte cose sono cambiate, compresi i cambiamenti sociali e demografici della popolazione italiana. Il principale punto di forza del volume di Mignone è proprio il suo metodo ampio e multidisciplinare che affronta la storia d’Italia attraverso molteplici livelli, compreso (ma non limitato a) quello politico, economico, sociologico e antropologico. La collaborazione tra Mignone e Applauso è nata nel 2017; a causa dell’inaspettata scomparsa di Mignone e le recenti crisi mondiali – la pandemia di Coronavirus e la guerra russo-ucraina- , la pubblicazione è stato ritardata. Il libro continua a essere sviluppato pur mantenendo lo spettro poliedrico originale creato da Mignone. Il Prof. Applauso ha illustrato in modo emozionante la storia della collaborazione tra i due autori e delle modifiche previste e aggiornate che saranno implementate in questa nuova edizione.

Non erano presenti Marco Lettieri (Università dell’Indiana) e Michele Lettieri (Università di Toronto Mississauga), ma la loro relazione è stata letta in sala dal chair Andrea Fedi: i Lettieri descrivono il Mario Mignone “maestro”, soprattutto attraverso il suo corso sull’Italia moderna, che sfociò nella pubblicazione di varie edizioni del suo monumentale volume Italy Today (1995, 1998 riv. ed., 2008 riv. ed.). Il libro e, per estensione, il suo corso a Stony Brook sull’Italia moderna, rappresentano una ben organizzata e seria inchiesta sul modo in cui si dovrebbe raccontare e insegnare la “stupefacente” Italia e “la sua trasformazione dalle ceneri della Seconda guerra mondiale alla potenza guida e culturale che è oggi”.
Sabato, il convegno si è trasferito tra le mura del Center for Italian Studies, e le sedie nella sala dove Mignone ha organizzato centinaia di eventi, non bastavano per la folla di colleghi, studenti, amici e familiari del magnetico professore.
Nella sessione intitolata “Mario Mignone, Italy, and America”, si è parlato del “difficile rapporto” tra l’Italia e gli “italianisti”, cioè di coloro che in Nord America si occupano di studi italiani.

L’intervento di Martino Marazzi, (Università degli Studi di Milano) è stato quello che ha fatto più discutere, toccando nervi scoperti nel rapporto accademico tra italiani e italo americani. Il Prof. Marazzi ha detto che “il lavoro di ricerca sulla cultura dell’emigrazione italiana risulta ignorato”. Marazzi ha espresso con toni forti lo stato del dibattito culturale italiano: “Non avrai altra Italia al di fuori di me è il mantra al tempo stesso conscio e inconscio che sancisce storiograficamente e geograficamente la difficoltà, quando non l’esplicita opposizione, ad una visione diversa della cultura che diciamo, appunto, italiana. Storiograficamente, dal momento che non deflette da una pregiudiziale nazionale di sia pur nobile ascendenza desanctisiana; geograficamente nel senso che chi va via perde il posto all’osteria della grande bellezza, si chiama fuori, ed esce dal discorso. L’unico dinamismo concettualmente previsto è quello del genere viaggio, della fuoriuscita descrittiva e giudicante, che conferma da fuori la casalinghitudine”.
Quindi per Marazzi “campanilismo ed esterofilia non sono altro che due facce della stessa medaglia. Una letteratura-istituzione (che prevede quindi occasionali trasferte), e il frisson di uno straniamento prevedibile e contenuto. C’è tutta una letteratura che dice New York nella misura in cui se ne tiene distante, oggettivando la metropoli come fenomeno alieno. In senso letterale, sviluppa un discorso lontano dall’inter-esse, da una prospettiva ed esperienza di decisiva condivisione”.
Marazzi avverte che la cultura dell’emigrazione non riceve necessariamente un trattamento migliore nel Nuovo Mondo…”È una vicenda ben nota; la messa fra parentesi della cultura italoamericana è funzionale all’esaltazione dello stile italiano, dal Met di Zeffirelli al MoMA che nel 1972 dedica una mostra storica al nuovo design fiorentino-milanese. Banalizzando: Eataly su Madison Square e Fifth Avenue e/Vs. spaghetti meatballs”.

Il ruolo “rivoluzionario” avuto da Mario Mignone, viene descritto così da Marazzi: “Si tratta di una dicotomia, o schizofrenia, socioculturale, che viene confutata alle radici dal lavoro intellettuale di un maestro come Mario Mignone. La vicenda umana e di studio di Mignone è quella di un italiano fortemente radicato nel Meridione che proprio in virtù dell’emigrazione diventa un tramite organico fra l’ambiente d’origine e quello statunitense… Quel tipo di memoria, stratificata e attraversata da amare cesure, agisce alla base della doppia identità del Mignone narratore autobiografico, che al termine del suo racconto definisce l’emigrazione – e non è poca cosa – una rivoluzione silenziosa”.
Marazzi fa esempi concreti di come in Italia abbiano trascurato capolavori della letteratura italo americana in America: “Sia consentito, a puro titolo provocatorio, proporre un parallelo, uno solo – ad esempio, fra il tragico splendore di un capolavoro come Christ in Concrete, il romanzo 1939 di Pietro di Donato, e la tanto più modesta versione italiana di una storia per tanti aspetti molto simile, Metello di Pratolini, 1955. La semplice impalcatura di quest’ultima non regge davvero il confronto con l’assoluta novità e insieme maturità espressiva del racconto italoamericano. Ad alcuni risultati ‘moderni’, gli emigrati arrivano prima di chi è rimasto, al punto che si potrebbero proporre tragitti tipologici e formali ‘di ritorno’”. Per Marazzi in Italia resta prevalente “il riconoscimento all’intellettuale di un ruolo simbolico, sia pur risicato, di garanzia stabilizzatrice… Una funzione simbolica che copre, come un arto fantasma, l’evanescenza del ruolo sociale dell’intellettuale, in specie di quello umanista. Studiare l’emigrazione rischia, in fin dei conti, non solo di rimuovere un rimosso storico, culturale e ideologico, ma di sollevare il velo rispetto all’imbarazzante fragilità della professione intellettuale”.

Il Dean del Calandra Italian American Institute, Anthony J. Tamburri (Queens College e anche lui columnist della Voce), ha analizzato il lavoro di Mario Mignone negli studi italoamericani e come ha contribuito alla costruzione di un campo ancora più ampio di indagine intellettuale. Dalla creazione del Center for Italian Studies all’acquisizione della rivista “Forum Italicum”, all’amministrazione della Endowed Chair in Italian and Italian Americans Studies, per Tamburri “Mario Mignone ha lasciato un segno indelebile sul campo di studi. Da critico, a editore ad autobiografo, il ruolo di Mario Mignone sia come autore che come broker culturale rimane unico”. Tamburri ha citato questo suo potente ruolo di “broker” culturale per esempio nelle polemiche su Cristoforo Colombo già in occasione dell’anniversario del 1992, con il simposio tenuto alla SUNY “Columbus: meeting of culture”, in cui Mignone da già prova “della serietà del dibattito accademico rispetto al baccano dei mass media”. Per Tamburri, Mignone ha il ruolo negli studi italoamericani che ebbe Leonard Covello nella pedagogia. Il dibattito deve essere “costruttivo e distruttivo”, e anche nello studio della diaspora italiana in America, non si può prescindere da questo. Come Covello costruì un ponte tra il sistema della scuola americana e la cultura degli emigrati italiani, lo stesso avviene con Mignone nel connettere gli studi italiani con quelli italo americani.

Maddalena Tirabassi, del Centro Altreitalie sulla Migrazione Italiana, Globus et Locus, e direttrice della rivista “Altreitalie”, ha ripreso l’argomento affrontato da Marazzi e citando lo scrittore-poeta Robert Viscusi, ha detto: “Le relazioni tra gli italiani e gli italoamericani sono spesso scomode. Gli italiani considerano imbarazzanti gli italoamericani, cafoni maleducati… Gli italo americani considerano gli italiani altezzosi… Una rivalità tra fratelli, con una sfiducia reciproca fatta di sofferenze…” Quindi per comprendere l’importanza del lavoro svolto da Mario Mignone attraverso il Center for Italian Studies da una prospettiva italiana, Tirabassi ha fatto una carrellata sullo sviluppo della ricerca italiana sulle migrazioni, in campo accademico e non. Ha esaminato il ruolo dei centri legati alla cultura italiana fuori d’Italia, a partire dagli anni settanta in cui Mignone ha avviato i suoi progetti. “In Italia la storia delle migrazioni è passata tardivamente da storia privata e di nicchia disciplinare a storia pubblica e politica. Le ragioni della “scoperta” delle migrazioni sono ascrivibili a diversi fattori tra cui: la nascita delle Regioni, che rivolsero sin dagli inizi attenzione alle comunità create all’estero dai loro migranti; il dibattito sul diritto di voto degli italiani all’estero; l’immigrazione, che nel ’73 superò l’emigrazione, ricordando all’Italia la propria esperienza migratoria”. Nel 1988, “nacque l’idea di avviare un programma che favorisse la circolazione delle informazioni fra tutti gli studiosi delle migrazioni italiane all’estero e vennero fondati la rivista Altreitalie e, poco dopo, il Centro Altreitalie che nel terzo Millennio è entrato a far parte dell’Associazione Globus et Locus presieduta da Piero Bassetti. Bassetti è colui che ha introdotto i concetti di italicità e glocalism che, abbattendo i confini statuali, si stanno rivelando strumenti imprescindibili per l’analisi delle mobilità e della diaspora italiana”. Con l’inclusione tra gli italici “degli italofoni e gli italofili, ha focalizzato l’attenzione sull’italianistica, da sempre come abbiamo visto veicolo di scambi e motore della conoscenza, le cui potenzialità sono rimaste finora nell’ombra, almeno agli occhi degli italiani. Ed è importante per fronteggiare il declino degli studi storici americanistici, e italoamericanistici, nel Paese”.

Sebastiano Martelli (Università di Salerno) e Giuseppe Gazzola (SUNY Stony Brook), entrambi editor della rivista “Forum Italicum”, hanno analizzato la storia passata, presente e futura del “gioiello” culturale salvato e riportato allo splendore da Mario Mignone. Martelli, ha ricostruito il rapporto di Mignone con “Forum Italicum”, la rivista, fondata nel 1967 da Michele Ricciardelli quando insegna alla Florida State University. Grazie ai rapporti creati da Ricciardelli con studiosi, scrittori, poeti italiani, la rivista alimenta un circuito significativo tra le due sponde dell’oceano, testimoniato dalle collaborazioni di qualificati studiosi che operano in Italia – che si affiancano a quelli, soprattutto giovani, che insegnano nelle università nord americane – e di importanti scrittori italiani contemporanei, di cui la rivista ospita anche testi creativi. Quando negli anni ottanta Ricciardelli lascia l’insegnamento alla State University at Buffalo, identifica in Mario Mignone la persona più adatta per assicurare la continuazione di ”Forum Italicum”: Mignone rispondeva al profilo di una personalità che per le sue qualità intellettuali e umane, per le sue capacità professionali, relazionali e organizzative potesse garantire un futuro alla rivista.

“A partire del 1986 Mario diventa Associate and Managing Editor di “Forum Italicum”, la quale può beneficiare del supporto di una struttura istituzionale, il Center for Italian Studies dell’Università di Stony Brook… Forum Italicum a questo punto diventa uno degli strumenti operativi anche in questo settore: infatti, se da un lato continua a svolgere la sua funzione basilare di sede del confronto per gli studi di italianistica, ospitando contributi di studiosi di tutti i continenti, nello stesso tempo apre a nuovi settori scientifici, la linguistica, il cinema, i cultural studies, i gender studies, e segue con attenzione la nuova stagione di studi sull’emigrazione italiana transoceanica dalla fine dell’Ottocento agli anni sessanta del Novecento , che si vanno intensificando sia in Italia sia negli USA” . Quest’ultimo settore trova spazio in convegni e pubblicazioni di atti nella collana Filibrary Series, poi alimentato dalla creazione della cattedra di Italian American Studies, altra tappa fondamentale, per molti aspetti unica nel quadro delle università non solo nordamericane, risultato delle grandi capacità professionali e manageriali di Mignone e della stima e della fiducia che egli godeva nelle comunità italo-americane e tra esponenti di istituzioni statunitensi pubbliche e private. Con l’inizio del nuovo secolo, grazie all’altra precipua qualità di Mario, quella di saper ascoltare e valutare consigli e proposte progettuali, “Forum Italicum” introduce cambiamenti significativi, come la creazione della Sezione Archivio e della collana Nuovi Paradigmi, che consolidano ulteriormente la sua identità di sede scientifica aperta a innovative indicazioni metodologiche in raccordo con la più valida tradizione degli studi di italianistica”.
L’ultima significativa svolta della rivista sarà quella dell’accordo con SAGE, di cui parla Gazzola e che si concentra appunto sul futuro di Forum Italico. La rivista, grazie al lavoro di Mignone, è ora nella “fascia A” delle riviste accademiche e questo ovviamente l’ha resa un obiettivo agognato dagli “scholar” per la pubblicazione dei loro articoli. “Ormai la rivista si trova in tutte le biblioteche delle università del mondo”. Gazzola ha anche spiegato come l’accordo con la casa editrice SAGE (il colosso delle pubblicazioni di riviste accademiche), voluto da Mignone, ha mantenuto l’indipendenza editoriale della rivista, ma semplificato e potenziato il metodo di sottomissione degli articoli via internet e la distribuzione dei tre numeri annuali. Alla fine Gazzola ha concluso il suo intervento citando Mignone sul “mestiere ingrato dell’editor: se l’articolo viene pubblicato i meriti sono tutti dell’autore, se non viene pubblicato tutta colpa dell’editor”.

Il nuovo direttore del Center, Matteo Brera, ha fatto una relazione sulla situazione attuale del Center for Italian Studies di Stony Brook. Una analisi della situazione finanziaria dell’istituto, di come viene organizzata la sua raccolta fondi e come perseguire gli obiettivi futuri cercando di seguire “la vision” di Mignone. “La pandemia del Covid ha sicuramente rallentato molto” ha detto Brera, che ha indicato le priorità: “Heritage, Teaching, Research”. Nella “modernizzazione attraverso la sostenibilità” la strada da percorrere.

Alla fine le “personal recollection”, da parte di molti tra coloro che hanno apprezzato in Mignone non solo lo spessore accademico e l’organizzatore culturale, ma soprattutto l’umanità dell’insegnante e dell’amico.
Così sul podio si sono succeduti l’ex senatore statale Kenneth LaValle, che ha detto che “Mignone aveva vision e riusciva a trasmetterla, per questo riusciva a coinvolgere. Dobbiamo continuare a costruire su quella vision”. Jo Fusco (The Center for Italia Studies), che ha condiviso i suoi ricordi lavorando accanto al Professor Mignone, come quella volta che lo vide “turbato” durante una conferenza, dei colleghi, durante una discussione, avevano deriso le sue origini contadine. “Durante una pausa, lo vidi chinato nel suo ufficio, ma d’un tratto dietro di lui spuntò il Professor di Harvard Lino Pertile, che poggiando la mano sulla sua spalla gli disse: ‘Mario, anche questa è la mano di un figlio di un contadino”.

Arriva un giovane medico, cogliamo solo il nome Raul, dell’ospedale di Stony Brook, che commuove con la sua testimonianza su come Mignone diventò il suo “mentor” quando era uno studente del primo anno: “Non avevo idea di cosa fosse la cultura italiana, eppure c’era una atmosfera speciale nella sua classe, diversa. Lui ci ha trasmesso un modo di vivere. Ero spaventato quando arrivai il primo anno a Stony Brook, devo il mio successo accademico ai suoi consigli e alla sua umanità”.
Sale sul podio il Professor Shikaripur Sridhar, del Mattoo Center for Indian Studies di Stony Brook: “Noi abbiamo costruito il nostro Centro di studi sull’India copiandolo dal modello dell’Italian Center fondato da Mignone. Non era facile farlo, nell’ambiente accademico ci sono invidie e ti devi soprattutto guardare quando, una volta trovati i fondi, qualcuno nell’università te li vorrebbe sottrarre… Mario sapeva come proteggere il suo Center, io ho imparato da lui. Mi ha anche fatto diventare distinguished professor, a me che non avevo nulla da dargli in cambio. Mario Mignone aveva la natura dell’anima nobile, rappresenta il valore universale della generosità”.

Ludovica Rossi Purini (Center for Italian Study, Stony Brook), ha letto i messaggi del giudice Stefano D’Ambruoso che partecipò a molte conferenze organizzate da Mignone, e di Lucia Pasqualini, allora vice Console a New York che ammirò il suo lavoro al Center. La Prof. d’Italiano Irene Marchegiani (Stony Brook) ha ricordato l’accessibilità di Mignone, come quando una giovane ricercatrice dalla California gli sottomise un articolo per “Forum Italicum”: quella pubblicazione segnò il futuro della “mia carriera accademica e poi quando arrivai qui a Stony Brook anche quella personale” (la prof Marchegiani ha sposato il Prof. Fontanella, ndr).

Vito De Simone, (Center for Italian Studies, Stony Brook), tra i presenti l’amico “della prima ora”, ha raccontato del suo primo incontro da studente negli anni Sessanta al City College di Harlem, con un ventenne Mario Mignone che lo convinse a candidarsi per le elezioni studentesche come suo vice: “anche se non ne capivo nulla di politica, accanto a lui vinsi. Poi mi fece rincontrare la donna che divenne mia moglie”.

Il Prof. Fred Gardaphé, (Queens College, CUNY), ha ricostruito come Mario Mignone lo convinse a venire a Stony Brook da Chicago, “da dove io non mi sarei mai mosso. Non solo ci riuscì, ma ha determinato anche il cambiamento nei miei interessi accademici appassionandomi agli studi italoamericani. Da americanista mi trasformò in italianista”. Gardaphé ha ricordato come Mario lo invitava spesso a casa sua e gli parlava dei prodotti del suo giardino con la stessa passione con cui discuteva dei suoi libri.
Il “Comptroller” dello Stato di New York (appena rieletto) Thomas Di Napoli, in un messaggio via video ha ribadito come Mario Mignone “ci ha fatto capire cosa significhi avere origini italiane in America, la sua importanza. Il Center for Italian Studies deve continuare sul solco da lui tracciato e noi dobbiamo aiutare, glielo dobbiamo”.


Quando alla fine il microfono è passato a Lois Pontillo Mignone, la moglie di Mario ha anche parlato a nome di tutta la grande famiglia Mignone presente in sala. La Prof. Pontillo Mignone, scherzando sul fatto che il “Center” è stato come “avere un’altra donna” nella vita di suo marito, ha ringraziato tutti i suoi collaboratori, ricordando con Joe Fusco anche Donna Severino. Poi ha fatto i complimenti alla Prof. Loredana Polezzi, che ha ottenuto la prestigiosa cattedra D’Amato creata da Mignone e gli auguri al nuovo direttore del Center Matteo Brea, e alla sua assistente Alicia Ryan-Meuschk. “Mario avrebbe salutato il convegno dicendo il suo proverbiale ‘tremendous'”, ha detto Lois, commuovendo poi tutta la sala riprendendo il Campione olimpico di nuoto Michael Phelps che, ritirandosi, citò a sua volta una frase del Dr. Seuss: “Don’t cry because is over, smile because it happened” (Non piangere perché è finito, sorridi perché è accaduto”.