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Quella volta della rivoluzione al Madison Square Garden

Una pagina della storia del sindacalista Carlo Tresca a 80 anni dal suo assassinio

Angelo FigorillibyAngelo Figorilli
Quella volta della rivoluzione al Madison Square Garden

Carlo Tresca

Time: 3 mins read
Provate a immaginare quel sabato sera. Nella vostra New York, più di cento anni fa. È il 7 di giugno del 1913. Il Madison Square Garden c’era già, era alla sua seconda vita, la più grande arena della città. Enorme, aveva visto radunarsi folle per eventi di ogni genere, dai saloni mirabolanti delle prime automobili col motore a scoppio alle convention della politica e ovviamente spettacoli teatrali, sportivi, circensi. Ma mai una cosa come quella che ospitò quel sabato sera: la rappresentazione di sciopero, uno vero spettacolo, in sei episodi, recitato dagli stessi lavoratori. Ci sono le cronache stupefatte dei giornali del giorno dopo, c’è un manifesto locandina che oggi sembra fantascienza. Sullo sfondo di un cielo rosso fuoco si stagliano i profili delle ciminiere delle fabbriche e in primo piano un giovane operaio le scavalca. In alto la sigla del sindacato rivoluzionario amato dai diseredati e odiato dai padroni, I.W.W Industrial Workers of the World. In basso il titolo “Il corteo dello sciopero di Paterson interpretato dagli stessi lavoratori” e poi orario e prezzo dei biglietti.
Tornate a immaginare ora che gli operai, uomini, donne soprattutto, perché di fabbriche tessili si trattava, arrivati in traghetto dal New Jersey, sfilino davvero lungo la Quinta strada ed entrino nell’arena. Di fronte a loro migliaia di persone, molti sono lavoratori, ma ci sono anche artisti, scrittori, intellettuali, galleristi, albergatori insomma la città liberal e radical chiamata alla solidarietà e richiamata anche dalla curiosità di vedere come era stato possibile -l’allestimento era stato curato da John Reed allora giovane poeta, scrittore e militante rivoluzionario- che una lotta sindacale fosse diventata teatro. Dietro al palco come fondale un gigantesco dipinto degli stabilimenti, il rumore incessante dei telai. Poi il silenzio delle fabbriche morte, ferme, e gli operai che entrano in scena cantando la Marsigliese e l’Internazionale.
Ci resta un canovaccio dello spettacolo, il racconto di uno sciopero che ormai paralizzava Paterson da quasi sei mesi. Ed era stata una lotta durissima, le famiglie degli operai erano allo stremo, la polizia e le guardie private bastonavano ai picchetti e ai cortei. Sparavano anche, uccisero un ragazzino, che non c’entrava con lo sciopero e il suo funerale divenne un momento di rabbia e di sgomento. Anche questo fu raccontato nello spettacolo. Anzi fu il culmine della rappresentazione quando entrò in scena un sindacalista italiano, emigrato dall’Abruzzo, che proprio in scioperi come questo si era guadagnato la fama di leggendario agitatore: Carlo Tresca. “La sua gran voce -lo ricorda così lo scrittore Max Eastman- era come l’organo in chiesa”, i suoi discorsi incendiari. Quella volta ripeté sul palco le poche parole che aveva pronunciato al funerale vero del ragazzo, poggiando un garofano sulla sua bara: “sangue chiama sangue” e la rabbia divenne applausi.
E fu così che lo spettacolo dello sciopero di Paterson al Madison Square Garden si guadagnò commenti memorabili anche dai giornali da sempre schierati con gli industriali che dovettero ammettere a denti stretti che una rappresentazione così non si era mai vista né in città né negli Stati Uniti. Non fu invece un successo dal punto di vista economico, i soldi raccolti quella sera appena bastarono a coprire le spese di quell’azzardo, lo sciopero durò ancora qualche settimana poi gli operai e le operaie dovettero rientrare negli stabilimenti, ma alla fine le loro richieste furono accettate dai padroni delle seterie. Si potrebbe continuare così a raccontare quegli anni straordinari, a raccontare il fuoco e il dolore, le vittorie e le sconfitte del movimento operaio americano di quegli anni, la gran parte formato da immigrati, moltissimi gli italiani, seguendo i giorni e le storie proprio di Carlo Tresca che fu sindacalista rivoluzionario, giornalista, editore, socialista, anarchico, antistalinista e soprattutto antifascista della prima ora, impegnato a smascherare mafiosi e corrotti italiani in America che prima servirono Mussolini e poi convinsero Roosevelt che loro erano la migliore garanzia per la nuova Italia da liberare. Tresca fino all’ultimo denunciò dai suoi giornali questo inganno e pagò la sua coerenza con il prezzo più alto. Quattro colpi di pistola alla schiena la sera dell’11 gennaio del ’43, ucciso sulla Quinta strada, quando forse aveva deciso di tornare in Italia a raccontarlo.
La sua è stata una vita leggendaria che vale la pena recuperare. Pensate che la prima che lo ha fatto è una scrittrice di New York, Dorothy Gallagher (All the right enemies – the life and the murder of Carlo Tresca), aveva capito che la sua era la storia di un Italiano, ma anche una grande storia di questa città. Al funerale di Tresca la polizia fece ala al corteo, decine di automobili piene di garofani rossi attraversarono Manhattan, migliaia di uomini e donne, gente semplice e intellettuali. Tutti vollero salutare l’anarchico più famoso e più buono di New York City.
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Angelo Figorilli

Angelo Figorilli

Angelo Figorilli ha lavorato per anni in Rai come giornalista. Ha viaggiato un po’ in giro, in Afghanistan e Iraq per le guerre, in Francia per le rivolte nelle banlieues, in America per Obama e per Trump. È stato anche molto in redazione davanti al computer, fino a dirigere gli esteri del Tg2. Ha scritto i libri “il cane Patàn e altre storie” “Banlieues i giorni di Parigi” e “Lettere che non sapevano dove andare”. Ora vive tra Roma e l’ultima spiaggia, trova finalmente il tempo di leggere e di lavorare con calma al documentario “L’uomo più buono del mondo, la leggenda di Carlo Tresca”.

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