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Addio ad Antonio Volpe Pasini, un giornalista che New York ha reso di razza

Aveva 64 anni. Era stato vicedirettore di America Oggi e firma di Tuttosport

Giuseppe SacchibyGiuseppe Sacchi
Addio ad Antonio Volpe Pasini, un giornalista che New York ha reso di razza

Antonio Volpe Pasini (da Facebook)

Time: 3 mins read

Il giornalismo italiano e italoamericano hanno perso una grande firma. Ci ha lasciati in queste ore Antonio Volpe Pasini. Nato a Roma il 3 luglio 1958 e cresciuto a Udine, era stato vicedirettore di America Oggi, ma anche prezioso corrispondente da New York di TuttoSport e diverse riviste del tennis. Viveva a Brooklyn nel quartiere di Red Hook, in riva al mare e fino all’ultimo non ha mai abbandonato la sua bicicletta.

Professionalmente era noto per la sua velocità di pensiero e di scrittura. Aveva seguito da corrispondente tutti i grandi avvenimenti sportivi negli USA, tra i quali il Mondiale di calcio del ’94 e le Olimpiadi di Atlanta del ’96, dove mostrò le sue doti di cronista non solo sportivo. Raccontò, da testimone oculare, l’attentato terroristico al Centennial Olympic Park, nel quale una persona rimase uccisa e altre 111 ferite.

Antonio Volpe Pasini con alcuni colleghi di America Oggi

Arrivò nella Grande Mela nei primissimi anni ’80. Ci conoscemmo in un ristorante di Little Italy, a Manhattan, per poi condividere le nostre scrivanie per lungo tempo ad America Oggi. La creatività immaginativa di Antonio nel linguaggio, il suo sorriso contagioso, la sua spigliatezza con le donne – a contrasto con la mia timidezza di allora – diedero il là ad un’amicizia vera, una di quelle che neppure le tempeste della vita possono scalfire.

Il collega Massimo Jaus lo soprannominò “il Conte”, per quella sua eleganza e quel modo di parlare l’inglese di “Oxford”. Ad Antonio quel nomignolo non dispiaceva, magari il “sangue blu” Volpe Pasini lo aveva davvero. Quello stile un po’ da snob non lo frenava nella sua generosità: era sempre pronto ad aiutare il prossimo e anni fa aveva fondato con l’amico Paul Stanley, Angel Conservation, una non-profit per supportare gli indigeni dell’America Latina a preservare lingua e tradizioni. Per anni si recò in un villaggio sperduto del Venezuela per rimboccarsi le maniche sul campo.

Era orgoglioso del Friuli e oltre al tifo accanito per l’Udinese, a New York era tra i promotori de “Il fogolar furlan, friulano nel mondo”, associazione con la missione di raccogliere l’eredità culturale e sociale dei friulani all’estero. Alla passione per i fornelli – memorabili le sue ricette con foto dei piatti che pubblicava negli ultimi anni su Facebook – accompagnava quella per la musica ed era stato tra i giudici di concorsi di cantanti italiani a New York.

Antonio Volpe Pasini con Beppe Sacchi e Massimo Lopes Pegna

Di tutti quegli anni c’è un momento particolare, fermato in una foto che ancora conservo. Credo che fosse il 1989. Insieme ad Antonio e Massimo Lopes Pegna (corrispondente de La Gazzetta dello Sport) eravamo sorridenti e felici sulla splendida barca a vela Guia. Ci avevano ospitati a bordo Giorgio Falk e Rosanna Schiaffino appena arrivati nel porto di New York al termine di una regata atlantica partita da Portofino e diretta nella Grande Mela. Oggi quella foto per me diventerà ancora più preziosa.

 

Dalle macchine da scrivere al computer in “italiese”

Era il 1986, un pomeriggio afosissimo di luglio, ed Antonio Volpe Pasini entrò per la prima volta nella redazione del Progresso Italoamericano. Ci presentammo. Lui era un giovanissimo cronista, che aveva imparato il mestiere con la macchina da scrivere. Io ero ancora più giovane di lui.

Quando Antonio vide il gigantesco computer ancorato alla sua scrivania lo guardò con diffidenza, si girò di scatto verso di me, ed esternò: “Ma come c… si accende questa cosa?”.

L’avevo appena conosciuto, ma volli prenderlo subito in giro. Così gli risposi in italiese: “Pusha la brachetta”, ovvero “push the bracket”, pressa la levetta. Lui, che l’inglese lo conosceva meglio di tutti noi, mi guardò e scoppiò a ridere con le lacrime agli occhi. E da quel giorno diventammo amiconi.

Antonio Volpe Pasini ad “America Oggi”

Due settimane fa, dal suo letto di ospedale, Antonio mi ha ricordato questo anedotto. E ci siamo messi a ridere tutti e due, come allora, 36 anni dopo. Ma questa volta gli ho stretto forte forte la mano, sapevo che aveva i giorni contati.

Coltissimo, acuto, tagliente. Antonio Volpe Pasini aveva la facoltà di capire al volo fatti e notizie. Qualità che applicava al giornale come nella vita. Lavorammo insieme al Progresso per due anni. A volte uscivamo a fare i reporter. Ma soprattutto facevamo tanto “desk”: “pesavamo” le notizie, “passavamo” i pezzi, “titolavamo”, “impaginavamo”. Ed era l’era del passaggio dal piombo delle lynotipe ai computer.

Quante cose Antonio avrebbe da raccontare, soprattutto alle nuove generazioni. E chi lo ha conosciuto sa che quando iniziava a parlare riusciva a tenere incollate le persone, come per magia. Così come quando scriveva. Ci mancherà tanto. Ma tanto davvero. Ciao amico.

Vito Taormina

 

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Giuseppe Sacchi

Giuseppe Sacchi

Sono marchigiano, ma non esattore delle tasse. Amo il cinema e le persone, perché le loro vite sono film di vario genere, dal comico al thriller. Ho vissuto a New York 16 anni lavorando per "America Oggi", "Paese Sera", riviste Moda e King. In Rai ho condotto per 7 anni il programma "La Notte dei Misteri" e poi il giornale radio notturno. L'età non è quella della carta di identità ma quella che volete darmi.

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