Il 10 dicembre 1902 nasceva a New York Vito Marcantonio, l’unico membro del Congresso apertamente comunista in tutta la storia degli Stati Uniti. Avvocato figlio di immigrati lucani – Saverio Marcantonio e Angelina de Dovitiis – originari entrambi di Picerno in provincia di Potenza, e pupillo politico del leggendario sindaco Fiorello H. La Guardia, Marcantonio prese il posto di quest’ultimo alla Camera di Washington nel 1935, come rappresentante della circoscrizione di East Harlem, dopo che il suo mentore era stato eletto alla guida dell’amministrazione newyorkese due anni prima. Da La Guardia, Marcantonio apprese l’importanza della formazione di coalizioni trasversali e, nelle successive campagne per il Congresso (dove sedette dal 1935 al 1937 e dal 1939 al 1951), ricevette spesso la candidatura sia del Partito Repubblicano, sia di quello democratico, oltre a quella dell’American Labor Party, di cui era uno degli esponenti dell’ala filocomunista.
Tale trasversalità non fu il frutto di trasformismo, bensì il risultato di un impegno costante in difesa dei residenti di East Harlem, in prevalenza italoamericani, afroamericani e portoricani appartenenti al ceto operaio e al sottoproletariato urbano. Sulle orme di La Guardia, che nel 1932 aveva promosso una legge che limitava il ricorso alle ingiunzioni dei tribunali per soffocare gli scioperi, Marcantonio si batté a favore della legislazione sindacale e sociale del New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt. Negli anni della grande depressione economica organizzò un imponente apparato per offrire aiuto ai diseredati del proprio distretto attraverso servizi che spaziavano dall’assistenza legale al reperimento di finanziamenti per la costruzione di scuole e case popolari. Dopo che la recessione ebbe provocato la chiusura di molte fabbriche, Marcantonio formulò un progetto per la loro riapertura, assegnandole in gestione a cooperative di disoccupati in una prospettiva di autoconsumo anziché nell’ottica del perseguimento del profitto, come continuava invece a essere tipico de capitalismo statunitense.
Se con la creazione di un’alleanza elettorale multietnica di italoamericani, afroamericani e portoricani, precorse a livello locale la Coalizione Arcobaleno che il leader nero Jesse Jackson avrebbe forgiato su scala nazionale negli anni Ottanta del Novecento, Marcantonio anticipò i tempi anche in altri campi. Propose l’abrogazione della tassa per la registrazione nelle liste degli elettori, un balzello finanziario che rappresentava un deterrente al voto soprattutto per gli afroamericani, già nella seconda metà degli anni Trenta, ben prima che fosse cancellata dal XXIV emendamento della Costituzione, ratificato nel 1964. Mentre il presidente Roosevelt ignorava il problema del linciaggio dei neri, per non perdere il voto dell’elettorato bianco conservatore, Marcantonio cercò di rendere questo crimine un reato federale, in modo da sottrarre il giudizio a tribunali statali che nel Sud razzista erano spesso compiacenti verso gli imputati di tali delitti. La richiesta di Marcantonio precedette un’analoga raccomandazione che la Commissione sui diritti civili, nominata dal presidente Harry Truman, avrebbe formulato soltanto nel 1947, nelle conclusioni del suo rapporto To Secure These Rights. Inoltre, nel 1949, Marcantonio tentò di ottenere il congelamento dei fondi federali destinati a quei programmi che discriminavano e segregavano i beneficiari per motivi razziali, come sarebbe stato stabilito quindici anni più tardi dal Civil Rights Act del 1964, grazie a un emendamento del nuovo rappresentante di Harlem al Congresso, il pastore battista afroamericano Adam Clayton Powell Jr.
In politica estera, Marcantonio patrocinò la causa dell’indipendenza di Portorico dagli Stati Uniti e, nel 1936, partecipò al collegio di difesa di Pedro Albizu Campos e altri sei esponenti del partito nazionalista portoricano, che erano stati accusati di cospirazione per il rovesciamento del governo di Washington. Nel secondo dopoguerra, criticò aspramente l’ingerenza dell’amministrazione Truman nelle elezioni italiane del 1948, a vantaggio della Democrazia Cristiana e contro il Fronte Popolare, la coalizione formata da comunisti e socialisti. In particolare, protestò per l’estensione del Piano Marshall all’Italia. Marcantonio vedeva, infatti, negli aiuti economici americani uno strumento per rendere la scelte politiche di Roma subalterne alle decisioni statunitensi e limitare, quindi, la sovranità italiana.
Nella sua carriera Marcantonio accettò con entusiasmo i voti dei comunisti. Fu uno dei principali sponsor del giornale comunista “L’Unità del Popolo”, uscito a New York in lingua italiana tra il 1939 il 1951. Nel 1948 appoggiò la candidatura alla presidenza del progressista Henry Wallace, che godeva del sostegno dei comunisti americani perché intendeva rinnovare nel dopoguerra la grande alleanza antifascista tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica che aveva caratterizzato il secondo conflitto mondiale. Nel 1949 Marcantonio tentò di far revocare il mandato al comitato investigativo della Camera sulle attività antiamericane, che stava aprendo le porte al maccartismo. Nel 1952 dichiarò che la difesa della libertà di espressione dei comunisti americani costituiva il metro di giudizio per valutare il grado di democrazia delle istituzioni statunitensi.
Dopo essere stato sconfitto nel 1949 nelle elezioni per la carica di sindaco di New York, a cui era stato candidato dall’American Labor Party, nel 1950 Marcantonio contestò la legittimità dell’intervento statunitense in Corea. In base alla Costituzione, il potere di dichiarare la guerra è una prerogativa del Congresso. Pertanto, a suo giudizio, senza l’autorizzazione di rappresentanti e senatori, che non furono mai interpellati dalla Casa Bianca, Truman non aveva l’autorità per inviare truppe contro la Corea del Nord, avvalendosi di una mera risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, sotto la cui bandiera i militari statunitensi si trovarono formalmente a combattere all’interno di un contingente internazionale. Questa posizione coraggiosa ma impopolare, in una Paese dove il conflitto coreano aveva rafforzato l’anticomunismo più viscerale, costò a Marcantonio la rielezione alla Camera nel 1950 e segnò la fine della sua carriera politica.
Dopo la morte, avvenuta il 9 agosto 1954, la guerra fredda concorse a determinare l’oblio di Marcantonio nella memoria collettiva statunitense, malgrado l’opera di un pugno di storici (in primis Salvatore J. LaGumina, Alan L. Schaffer e Gerald Meyer, quest’ultimo recentemente scomparso) per mantenerne vivo il ricordo. Nondimeno, l’impegno tenace di Marcantonio per ampliare la legislazione sociale e tutelare i diritti civili in politica interna nonché la sua denuncia indefessa dell’arroganza di Washington in campo internazionale restano ancor oggi un monito e un esempio per il ceto politico statunitense.