La spinta da parte di diplomatici e gruppi aziendali Europei per la riapertura delle frontiere americane è aumentata il mese scorso, quando l’Unione Europea e il Regno Unito hanno aperto le porte ai cittadini americani. Dopo 15 mesi di chiusura agli Europei, iniziata dall’allora Presidente Donald Trump in un momento in cui la diffusione dei contagi era drasticamente più alta in Europa rispetto agli Stati Uniti, ambasciatori e lobbisti Europei in America insistono sia ora di permettere a lavoratori e famiglie di tornare a viaggiare liberamente tra i due continenti.
Fino a questo momento solo a studenti universitari con visti F1 e lavoratori essenziali, forniti di un’Eccezione di Interesse Nazionale (NIE), è stato permesso il rientro nel paese. I lavoratori ordinari provenienti dall’area Schengen sono invece rimasti bloccati in Europa, o non hanno potuto lasciare gli Stati Uniti per paura di venire ostacolati al loro ritorno. Le restrizioni non si sono limitate a coinvolgere i cittadini Europei privi di carta verde che già prima della pandemia lavoravano nel negli USA, ma hanno anche completamente bloccato la creazione di nuovi visti. Oltre alle conseguenze economiche e aziendali del blocco, gli esperti si preoccupano per le famiglie separate tra i due continenti a cui non è stato permesso di ricongiungersi.

In un recente articolo del Wall Street Journal, il presidente del Gruppo Esponenti Italiano (GEI) Mario Calvo-Platero si è espresso in merito alle gravi difficoltà causate alle aziende con sede negli Stati Uniti, italiane e non, dal blocco. Come gruppo di New York che unisce leader di aziende italiane con base negli Stati Uniti, il GEI ha già espresso le proprie preoccupazioni in una lettera inviata al Presidente Biden il 31 maggio. A poche settimane dalla riapertura dei confini europei agli americani, non solo per motivi di lavoro ma anche per turismo, il GEI e altri diplomatici credevano già a fine maggio che gli Stati Uniti potessero contraccambiare l’apertura in completa sicurezza. Come in Europa, l’idea è che gli Stati Uniti instaurino un sistema basato su tamponi negativi e passaporti vaccinali, simile a quello del “Green Pass”, in modo da garantire la sicurezza dei propri cittadini ed evitare la diffusione del virus. La presidenza Biden, però, non sembra propensa a muoversi in questa direzione. Eletto in parte per le sue promesse di dedicarsi, più seriamente del suo predecessore, al contenimento del COVID-19, il Presidente si è dimostrato deciso a mantenere chiusi i confini fino a quando ritenuto necessario dagli ufficiali sanitari. Solo a partire dall’inizio del giugno di quest’anno, il governo ha iniziato a dedicarsi a gruppi di lavoro con Europa, Gran Bretagna, Canada e Messico per discutere le riaperture.
Anche la fondazione del gruppo GEI, incoraggiata dal fatto che una loro lettera venga citata su un quotidiano americano della portata del Wall Street Journal, spera ora che l’aumentata visibilità contribuisca a spingere il governo americano alla reciprocità nelle riaperture tra i due paesi.