“Se vale la pena fare qualcosa, allora vale la pena farla bene”: questo famoso aforisma del pittore francese Nicolas Poussin calza perfettamente con l’idea del lavoro e della vita che aveva il collega Lorenzo Soria, storico collaboratore dagli Stati Uniti dell’Espresso e La Stampa, la cui improvvisa morte lascia un profondo vuoto non solo nel mondo del giornalismo ma anche in quello della celluloide.
Soria quando ti incontrava (c’eravamo conosciuti a Milano e poi rivisti a New York) lasciava il segno con la sua sempre vivida attenzione a tutto ciò che lo circondava, il suo coinvolgente ottimismo nell’affrontare ogni impegno, anche imprevisto, e la sua capacità di avere sempre la battuta pronta capace di donarti una risata su ogni possibile argomento.
Come quasi tutti i corrispondenti dall’estero, Soria si è necessariamente occupato di svariati argomenti, dalla politica alla società americana, dall’evoluzione tecnologica al cinema: era però quest’ultimo l’argomento che amava di più, forse perché lo portava di più a contatto con le persone, fossero esse star da intervistare o semplici appassionati durante qualche festival.
Le sue piacevoli e profonde analisi delle mode e dei veloci cambiamenti nel mondo della celluloide lo avevano fatto conoscere ed apprezzare sempre più dai colleghi della Hollywood Foreign Press Association – HFPA, l’associazione dei corrispondenti esteri a Los Angeles che ogni anno assegna i Golden Globes alle eccellenze del grande e piccolo schermo – tanto che per ben cinque volte era stato eletto alla sua presidenza: nel 2003-04, 2004-05, 2015-16, 2016-17 e 2019-20.
Sotto la sua presidenza, con gli anni i Golden Globes (cerimonia che precede di alcune settimane gli Oscar) hanno attirato sempre più l’attenzione degli specialisti di Hollywood e degli appassionati di cinema perché i premi decisi dalla HFPA hanno trovato spesso conferma nella più “paludata” notte degli Oscar.
Sotto la guida di Soria, i Golden Globes hanno registrato anno dopo anno un crescente successo di pubblico, grazie anche alla sua creatività e ad una maniera di porsi in forma più intima e familiare rispetto alla tradizionale e codificata, “fredda” cerimonia degli Oscar: al contrario della serata di consegna delle statuette, dove tremila persone stanno sedute in teatro, Soria si era inventato la trasformazione della serata in un banchetto, con tanto di cibo offerto agli ospiti. Lo scorso gennaio, aveva fatto scalpore la sua decisione – per la prima volta nei 77 anni di storia dei Golden Globes – di offrire un menù interamente vegano, con anche un risotto – giudicato molto buono dai presenti, quali per esempio Joaquin Phoenix e Leonardo Dicaprio, con erbe e funghi ma senza burro e parmigiano: una decisione presa all’insegna della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico, aveva spiegato Soria che aveva anche confessato la tanta esitazione nel prendere quella decisione perché temeva che l’HFPA sarebbe stata accusata di ipocrisia perché sono ben pochi i suoi associati vegani.
Se va dato atto che i Golden Globesg hanno registrato un sempre maggiore successo di pubblico, bisogna anche sottolineare che nell’ultima edizione non sono mancate le polemiche circa la candidatura di soli registi maschi. Polemica così respinta da Soria sulla rivista “Variety”: “Il fatto è che non votiamo sulla base del genere, votiamo per i film e per come sono riusciti”.
Hollywood ha perso davvero uno dei suoi simboli. Su Instagram il regista della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Alberto Barbera, ha definito Soria “una persona bellissima, gentile, disponibile, generosa. Qualità rare, poco frequenti soprattutto nell’ambiente a cui apparteneva. Per questo si era guadagnato il rispetto e l’affetto di tutti”.
Lorenzo Soria era nato nel 1952 a Buenos Aires da una famiglia italiana. Alla morte del padre, la famiglia era tornata a Milano dove ha vissuto fino al 1982, anno in cui poi si è trasferito a Los Angeles dove ha vissuto fino alla sua morte.