C’era una volta e c’è ancora una biblioteca che è più di un luogo di conoscenza. Nell’epoca di tensioni geopolitiche come queste in cui si parla di muri, reali e ideologici, esiste un posto prima delle rigide leggi sull’immigrazione, abitanti canadesi e statunitensi potevano attraversare il confine senza nessun problema, stare insieme e condividere lo stesso spazio.
Esattamente al confine tra Canada e Stati Uniti, situata al contempo a Derby Line, nello stato del Vermont, e a Stanstead, in quello canadese del Québec sorge la biblioteca pubblica Haskell, un edificio lasciato in dono all’inizio del Novecento da una famiglia del posto,è diventata il luogo ideale per coloro che non possono andare a trovare i propri cari negli Stati Uniti a causa del divieto di ingresso imposto dal presidente Trump a chi proviene da Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.
Tra scaffali e volumi, decine di famiglie divise dalle leggi anti immigrazione si incontrano, spinte dal passaparola e da alcuni post sui social network, dopo aver intrapreso viaggi insidiosi e costosi per raggiungere una zona grigia.
Un’ istituzione che oggi attira visitatori da ogni angolo del mondo, e che ha, giustamente, suscitato grande interesse nei media internazionali, anche di spicco come il New York Times e Paris Match, dimostrando come la cultura possa unire comunità divise solo da un’idea, rappresentata con una linea spessa e nera che attraversa il pavimento di parquet chiaro della sala lettura.
I media americani trattano con cautela l’argomento:
“L’amministrazione Trump sostiene che il divieto d’ingresso sia necessario per proteggere gli Stati Uniti perché i paesi in questione – Iraq, Libia, Corea del Nord, Somalia, Siria, Yemen e in misura minore Venezuela – non forniscono le informazioni necessarie a confermare se i loro cittadini sono o meno una minaccia, o che siano essi stessi una fonte di minacce terroristiche. I funzionari dell’agenzia per la protezione dei confini e le dogane degli Stati Uniti, da cui dipende la polizia di confine, hanno rifiutato di rilasciare dichiarazioni a proposito della biblioteca”.
Erique Gasse, portavoce dell’agenzia di pubblica sicurezza federale canadese, nega di aver minacciato di chiudere la biblioteca. “Non ci esprimiamo in questo modo”, ha affermato, “e non è così che ci comportiamo”.
In più, addirittura si parlò della biblioteca come luogo di passaggio di armi.
Richard Creaser, uno dei tre consiglieri comunali di Derby Line, dice di capire perché gli incontri nella biblioteca possono rappresentare un “elemento di tensione” per gli agenti della polizia di confine, poiché gli iraniani devono calpestare il suolo degli Stati Uniti prima di entrarvi.

Su questo argomento i media americani si sono divisi. Anche loro. Da una parte il NY Times By Jess Bidgood, sostenendo la struttura come “luogo di scambio che mette fioriere al posto di barriere di militari” e racconta come “alcuni residenti nella zona si sono sentiti sconfortati dopo l’incontro President Trump and Prime Minister Justin Trudeau of Canada”, un limbo che Mr. Trump apostrofò in un tweet “very dishonest & weak,” oltre a giudicare la biblioteca uno speciale posto all’inferno.
Il Toronto Star prende una posizione precisa, parlando di Haskell come “nuova frontiera di affari illegali e traffici, segnalando il caso di un uomo di Montreal sospettato di aver smerciato armi all’interno dell’edificio”.
Per capire il significato di questo luogo occorre ripercorrere la sua storia: dal 1970, una linea di nero nastro isolante è posizionata sul pavimento che delimita l’esatto limite tra uno stato e d un altro internazionale, perché, dopo un piccolo incendio vi fu una disputa legale tra le compagnie di assicurazione americane e canadesi, e le parti insistettero per delimitare il confine esatto, in modo tale che ognuna delle due parti potesse sapere con esattezza quanto avrebbero dovuto pagare in un nuovo caso. Per gli americani è facile entrare nella biblioteca, ma per i canadesi è più complesso perché, tecnicamente, stanno attraversando il confine nazionale. “Ci si sente un po’ come se si stesse passando attraverso una zona militare“, osserva Nancy Rumery, direttore della biblioteca.
Per accedere i canadesi devono passare davanti una serie di telecamere di sicurezza in Church Street e poi passare davanti alla guardia di frontiera degli Stati Uniti.

La biblioteca ha giocato un piccolo ma importante ruolo nel 2010 durante un periodo di conflitto tra i locali ed i funzionari della polizia di frontiera americana, dopo un nuovo programma di sovvenzioni federali sulla sicurezza che ha portato decine di agenti di polizia ad aiutare nel controllo del confine. Il tutto avvenne per un banale incidente che vide un Vermonter (abitante della zona canadese) arrestato per aver camminato verso il Quebec per comprare una pizza, e rifiutandosi di fermarsi presso uno dei nuovi punti di controllo.
Nel corso di poche settimane di tensione i residenti indignati di entrambe le comunità organizzarono una manifestazione fuori dalla biblioteca per richiedere la libertà del Vermonter arrestato. Riuniti poi nella Opera House espressero il loro disagio collettivo con l’attuale politica, e si incontrarono con i funzionari di governo di entrambe le nazioni, tra cui il senatore Bernie Sanders.
Successivamente il capo della pattuglia di frontiera locale ridimensionò la presenza della polizia in città, ma insistette sulla chiusura ufficiale dell’ingresso ai pedoni, ad eccezione di quanti usufruiscono della biblioteca di entrambe le nazioni. I residenti, tuttavia, hanno demarcato la linea creando una linea di vasi di fiori, per tenere lontani i commissari alla sicurezza.
Come racconta la Reuters un reportage tradotto da Federico Ferrone per Internazionale, la biblioteca è soggetta alla pressione delle autorità perché, nonostante l’edificio condivida il territorio statunitense e canadese, il suo ingresso si trova sul versante statunitense. I funzionari degli Stati Uniti permettono al personale e ai visitatori provenienti dal Canada di percorrere alcuni metri in territorio statunitense senza dover passare dalla porta di accesso ufficiale.
Ma dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 i controlli al confine nord si sono intensificati e la presenza della polizia in zona oggi è subito visibile. Eppure dentro l’edificio, decorato con pannelli di legno, finestre di vetro colorato e, sul lato canadese, una testa d’alce, continuano a prevalere le vecchie abitudini.
È difficile sapere esattamente quante famiglie si siano incontrate nella biblioteca, ma un libro delle firme posto vicino all’ingresso contiene 12 nomi di chiara origine iraniana tra marzo e novembre.
Joel Kerr, il bibliotecario, si trova in una posizione non facile e spiega di aver chiesto un incontro tra i responsabili della biblioteca e le autorità di entrambi i Paesi per parlare di come affrontare la questione delle visite. “Non vogliamo necessariamente interrompere la cosa, ma abbiamo bisogno di controllarla in qualche modo, se non vogliamo chiudere”, ha detto Joel Kerr. “Di fatto la cosa è solo tollerata da entrambi i paesi; tecnicamente, non dovrebbe essere consentita”.
Insomma, dove può la cultura e la ragione, non possono il diritto e la politica. Le biblioteche sono il luogo dove si incontrano le diversità. Sullo stesso scaffale, a distanza di pochi volumi, possono convivere saggi (con posizioni molto diverse tra loro), romanzi di fantascienza, gialli, thriller e memoir. E se accadesse la stessa cosa con le persone?