Ho deciso di dedicare il primo articolo della rubrica al clima “particolare” che si è creato in Italia sulla questione dell’immigrazione. Poiché si tratta di un unicum non solo in Europa, ma forse nel mondo, procederemo per gradi: una piccola analisi dell’irrazionalità sociale, uno sguardo al ventre della sinistra italiana e una piccola proposta (tanto per fugare ogni mancanza di concretezza).
Ognuno di noi vede il dramma di questa immigrazione da un punto di vista totalmente soggettivo, come fosse una proiezione della propria morale nel contesto più largo della politica da applicare al fenomeno stesso. Pochi pensano davvero a cosa è il meglio per queste persone. Questo porta irrimediabilmente a uno scontro tra opposti, dove chi cerca di fare chiarezza viene additato (mutualmente dalle parti) come nemico, facilitatore o complice.
Essendo sempre stato di sinistra, mi duole constatare che quel pensiero politico è oggi corrotto e inacidito, esattamente come lo è quello della destra ultranazionalista. Chi come me si oppone a questo caos viene messo all’indice ed etichettato come ricusatore dell’immigrazione in generale: la benemerita gestione del caos diviene fascismo o peggio razzismo. Calma ragazzi, calma.
Per essere più permeante con tutto ciò, voglio raccontare un aneddoto personale. Giorni fa parlavo con un mio amico italiano (che non vuole essere citato per pudore) al quale spiegavo la mia quotidianità qui a New York. Gli dicevo che a Brooklyn a volte mi capita di parlare con un mio vicino nero, ma che non riesco a capirlo perché parla uno slang al quale il mio orecchio non è ancora abituato. Ora, qui tutti sanno che ogni neighborhood ha la sua maggioranza/minoranza etnica, e per motivi di evoluzione sociolinguistica non tutti parlano con lo stesso accento. Stavo per spiegargli che era come andare in provincia di Venezia e parlare con uno del posto, quando lui mi interrompe dicendo “però quello che hai detto è un po’ razzista”. Alla fine mi son trovato a giustificarmi del fatto di non essere razzista, ma che proprio non riuscivo a comprenderlo quando mi parlava. My bad. Ecco come ho scoperto di avere un orecchio razzista che non sapevo di avere.
Sostenendo che l’Italia sia un unicum nell’affrontare la questione immigrazione mi riferisco al fatto che si parla sempre del problema, mai della soluzione. Sono convinto che su questioni apicali come questa hanno tutti ragione: salvare le persone in mare? Certo. Gestire il flusso? Certo. Dare certezza di dignitosa integrazione? Certo. Ripartizione? Certo. Contro gli scafisti? Certo. Tutto bene. Ma quale persona sana di spirito direbbe il contrario?
Non sono queste le domande a cui rispondere. La mia cara sinistra sta vivendo la sua odissea, e si è tappata le orecchie con la cera per non sentire le sirene. Indossa magliette per ricordare a tutti che la sua bontà è la Bontà e che il problema è drammatico (davvero?), dice che gli sbarchi sono diminuiti con Minniti (e come?), elargisce parole come “ignorante”, “fascista”, “razzista”, “sovranista”, “complice” o “populista” a chi non legge il vangelo secondo Saviano (non può mai aver torto?) o chi non snocciola i grani del rosario di Zoro. Bene. Cari signori, potreste scendere dalla cattedra e mostrarci le vostre soluzioni (preferibilmente non risibili)?

Tutti vogliamo la pace del mondo, ma una soluzione sarebbe vietare la vendita delle armi, non gridare “c’è la guerra, c’è la guerra!”.
Quale sarebbe la vostra soluzione? Creare campi profughi in Africa, forse negli stati sotto influenza francese come il Niger o il Mali? Magari per potercene lavare le mani? Oppure la soluzione è accogliere in solitaria (come fossimo gli USA) circa un milione di persone pronte a partire, dopo che l’UE ha già dato picche su qualsiasi tipo di distribuzione e che si appresta anzi ad alzare nuove frontiere con scuse ridicole (vedi ultimo caso Malta)? Secondo Le Monde l’Italia ha già accolto tra i 700 e gli 800 mila immigrati negli ultimi anni, quante persone realmente possiamo permetterci? Oppure un’altra soluzione sarebbe pagare qualcuno per fare il lavoro sporco, come la Germania ha fatto con la Turchia, ma con i soldi di tutta l’UE (3 miliardi, dicasi 3, al democratico Erdogan)?
La mia sinistra non vuole domande scomode, ma solo verità preconfezionate col fiocco. È forse un po’ troppo impegnata a pulirsi bene le unghie, a mettersi lo sciarpino e la tuta la domenica per comprendere che le campagne paraculo contro il ministro Salvini (vedi Rolling Stones o le ragazze campionesse ai giochi del Mediterraneo) non fanno altro che rafforzare l’idea di una persona risolutiva. Qualche giorno fa il giornale Il Tempo di Roma ha chiamato 100 persone che avevano aderito all’appello di Rolling Stones (tra cui il direttore firmatario dell’appello) fingendosi una ONG che voleva assegnare, a scopo dimostrativo, per un paio di mesi, un rifugiato da ospitare nella propria casa. Su 100 aderenti all’appello solo 4 si sono detti favorevoli. Certo, nessuno chiede al singolo di risolvere un problema di questa portata. Ma una dimostrazioncina ogni tanto sarebbe ben vista. Lo ha ribadito proprio Giovanni Veronesi, che con una provocazione ha detto che bisognerebbe mettere “il proprio corpo” sulle navi come aiuto efficace. Qualcuno avrà raccolto la sua sfida? No, nessuno. Meglio mettere una maglietta, postare la propria foto su Facebook e dire “io non sono complice”. Ma di cosa, madame e messeri? Troppo comodo giocare all’armiamoci e partite. Com’è troppo comodo dare dell’ignorante a chi non la pensa come voi.
Questa sinistra mi sembra come quei turisti bianchi che vanno in Africa, riconoscibili da lontano con i loro abiti da finto esploratore (alcuni all’Indiana Jones): si fanno la foto nei villaggi con bambini random, dicono “ma che bravi che siete” ai lavoratori e volontari delle ONG che sono lì a farsi il mazzo, distribuiscono caramelle, e poi, in fila indiana e con l’animo satollo, rientrano da bravi nei loro villaggi con piscina, tronfi di poter mostrare la propria magnanimità agli amici a casa. Ovviamente al loro ritorno diranno di conoscere tutto dell’Africa e di essere empatici col problema, che bisognerebbe accoglierli tutti insomma. Peccato che, secondo l’ONU, i primi a subire questo dramma sono proprio i paesi africani che si svuotano senza avere nessuna speranza di sviluppo. Solo un piccolo particolare inascoltato dal loro grande cuore.
Ancora. Il giornalista Toni Capuozzo, che scrive per il Corriere e non è certo l’ultimo fascistello della domenica (viene da Lotta Continua, giusto per capirci) è anche un profondo conoscitore dell’Africa, dove ha lavorato per Reporters Sans Frontières (consiglio la lettura di Dispacci dal fronte). In una sua intervista al programma “In Onda” su La7 ha evidenziato una questione importante:

“Noi continuiamo a subire queste emigrazioni. Non siamo in grado di gestirle. Chiunque conosca l’Africa sa benissimo che non sono i più poveri, non sono i più bisognosi ( a imbarcarsi, ndr). La stragrande maggioranza sono persone che non fuggono dalla guerra, che legittimamente vogliono una vita migliore, ma togliamoci l’illusione che stiamo aiutando i più poveri e i più diseredati. Una madre vedova con 4 bambini non partirà mai. Chi ha i soldi per pagarsi il viaggio e salire a bordo di un gommone? Chi paga il viaggio a centinaia di minori non accompagnati? Chiunque abbia i soldi per pagare gli scafisti ha il diritto di venire in Italia? Di fronte al ricatto morale ci sono due soluzioni facili: la prima è essere buonisti e dire accogliamo tutti; o essere cattivisti, lasciamoli affogare, respingiamo tutti. Io credo che un paese serio prova a governare fenomeni come questo.”
Domande come queste restano inevase con una certa presunzione. Diceva Goethe che le idee generali e grande presunzione sono sempre in procinto di provocare terribili disastri. Uno di questi è l’integrazione pane e salame che stiamo offrendo. Basti pensare che due-terzi delle donne nigeriane sono incanalate nel racket della prostituzione dagli stessi compatrioti. È questa l’accoglienza, l’integrazione, un futuro migliore ai quali ci riferiamo?
È noto come, per chi sia posseduto dall’ideologia, quando c’è divaricazione tra gli schemi astratti e la realtà, sia fortissima la tentazione di “cambiare la realtà”. Anche non dando risposte concrete, pur di avvalorare la propria superiorità (in questo caso morale). Voglio proporre il pensiero della prof.ssa Anna Bono, africanistica ed ex professore di Studi africani all’Università di Torino che sostiene, in totale solitudine accademica, che è il popolo italiano a non essere ben informato sull’entità di questo tipo di immigrazione.
“Per lo più, oltre l’80 per cento, sono giovani maschi, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, che viaggiano da soli. Le coppie e le famiglie sono una minoranza. Provengono da una serie di Paesi dell’Africa subsahariana, anche se quest’anno c’è stato un picco di emigranti tunisini, con una prevalenza dall’Africa centrale e occidentale, da Paesi come Nigeria, Senegal, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana. Va detto, comunque, che esiste sul tema dell’immigrazione un falso mito: la maggioranza non fugge da situazioni di estrema povertà. In genere sono persone provenienti da centri urbani, ed è lì che maturano l’idea di lasciare il Paese. Dunque mi sembra corretto sostenere che il grosso dei migranti appartenga al ceto medio: persone non ricche, ma nemmeno povere, in grado di pagare profumatamente chi organizza i viaggi. L’idea diffusa in Africa è che basta arrivare in Europa per godere del benessere, senza considerare però che dietro la ricchezza prodotta ci sono dei sacrifici. Ad alimentarla sono vari fattori. Uno su tutti: i trafficanti, che come è noto gestiscono la gran parte dei viaggi verso l’Europa. Sono loro che rafforzano questa idea, lo fanno ovviamente per procurarsi clienti.

È utile sottolineare che il 13 giugno è stato pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) un rapporto dal quale emerge che nel 2016 queste organizzazioni criminali hanno trasportato almeno 2,5milioni di persone… ricavandone in tutto da 5,5 a 7 miliardi di dollari. Il rapporto spiega dettagliatamente come funziona l’avvicinamento ai clienti, l’opera di convincimento, nonché quali sono le varie tariffe. L’ultimo rapporto dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) parla di oltre 60milioni di profughi in generale. Se poi parliamo di rifugiati, ovvero di persone che fuggono all’estero da guerre e persecuzioni, la cifra è di circa 20milioni. Di questi soltanto una minoranza esigua arriva in Italia, chiede asilo e lo ottiene: per quantificare, nel 2015 sono stati 3.555, nel 2016 4.940 e nel 2017 6.578. Sono così pochi perché la maggior parte di chi fugge da una guerra trova asilo appena varca il confine, del resto la Convenzione di Ginevra prevede che il profugo chieda tempestivamente asilo nel primo Paese che ha firmato la Convenzione in cui mette piede.
C’è poi un secondo motivo: chi fugge sotto la minaccia di persecuzione e di guerra cerca di rimanere il più vicino a casa perché l’idea è quella di tornarci il prima possibile”.
Fatta un po’ di chiarezza, questo significa che l’immigrazione è male? Certo che no.
Siccome mi sento in qualche modo fortunato ad essere nato bianco e dalla parte ricca del mondo, avevo intenzione di rispondere a quei “pensatori” che mettono sullo stesso piano il dramma dei “cervelli in fuga” dall’Italia con l’immigrazione dal sud Africa. Ma visto che non avrò per sempre l’attenzione del lettore, e che non mi è mai piaciuto parlare dell’ovvio, userò la loro stessa presunzione: “pensate!”.
Il primo motivo per cui all’Italia serve immigrazione non è né manovalanza a poco prezzo né “perché gli italiani non fanno figli” (mai sentito parlare di politiche sociali?). L’Italia ha bisogno di un’innovazione culturale: bisogna svecchiare una cultura ammuffita che si attorciglia su se stessa e sulla propria storia attraverso idee e contaminazioni nuove.
Allora, voglio dare il mio contributo finale con una proposta. Parafrasando una frase attribuita a Picasso (il genio non copia ma ruba), perché non “rubare” (e migliorare) leggi sull’immigrazione da altri paesi?
L’attuale legge è una ciofeca. Per immigrare, una persona deve pagare il biglietto di andata e ritorno, l’assicurazione sanitaria, avere un posto dove stare, avere come minimo 500 euro al mese sul conto per vivere. Sembra la legge in vigore negli USA (anche con Obama), che notoriamente favorisce l’immigrato con gli sghei.
La nuova legge invece deve avere due obbiettivi: immigrare chi vuole contribuire attivamente alla società e favorirne l’integrazione; ed espellere chi non vuole farlo.
Per prima cosa bisogna calcolare quante persone può immigrare un paese come l’Italia, soprattutto tenendo conto delle sue dimensioni geografiche (rapporto ambiente e urbanizzazione), politiche ed economiche. Poi pensare a come integrare capillarmente sul territorio e fare politiche di informazione. Considerando che la società italiana ha da poco (a misura di Storia) raggiunto l’Unità e la stabilità, è pacifico che abbia una “paura dello straniero” (un pò come gli Stati dell’Est Europa) quando questa stabilità (ad esempio economica) è barcollante. Una persona lasciata ai margini si sentirà minacciata (prima dall’operaio del sud, poi dall’immigrato albanese, ora da questo). Una persona informata e rassicurata saprà integrare; gli italiani lo sanno fare.
Mettiamo che si possono immigrare 100mila persone l’anno. Più 10mila rifugiati. I visti vanno divisi per categorie (all’anglosassone) e equamente distribuiti su parità di genere e provenienza (non c’è serie A o serie B).
Bisogna creare una lista di lavori che servono al Paese (modello Australiano). Un p0′ com’era la legge Turco-Napolitano. Questo potrebbe essere il visto N*1 e chi rientra in questa lista ha più possibilità di ottenerlo prima. A questo si può aggiungere (visto N*1-B) anche la volontà di studiare in una facoltà che risponde ai bisogni del Paese. Ad esempio, in Italia servono mezzo milione di persone che lavorano nell’ICT e tecnici informatici. Queste materie sarebbero ai primi posti della Lista. Le nostre università non hanno abbastanza studenti in questi settori. Si potrebbe favorire l’immigrazione di chi vuole studiare queste discipline per poi incanalarli direttamente verso il lavoro.
Poi, si concede il visto di studio (nell’istruzione pubblica) senza esose maggiorazioni agli stranieri (visto N*2, alla francese). Chi vuole venire per studiare è il bene accetto. Con questo visto si può lavorare un tot di ore settimanali, per mantenersi gli studi. Ci sono due motivi fondamentali: il primo è che l’istruzione non appartiene a questo o quel paese, ma è un diritto dell’Uomo. Il secondo è utilizzare lo studio come soft power e mezzo d’influenza (si insegna la lingua e la cultura italiana).
Un altro tipo di visto è quello “generale” (N*3, alla tedesca). Si concedono alcuni tipi di visti di un anno, rinnovabili per 2 volte. La persona ha da 3 a 6 mesi per trovare lavoro. Dopo il terzo anno o si cambia visto o si fa la domanda per il permesso di soggiorno. La Germania lo usa come “visto di prova”, nel senso che l’immigrato deve provare che vuole lavorare e integrarsi. Una commissione, anche molto severa, valuta di volta in volta la posizione dell’immigrato sentendo colleghi, proprietario di casa, il capo a lavoro, e poi redige ogni anno un documento di valutazione. Se è positivo, il visto si rinnova automaticamente.
Un visto speciale (N*4, all’americana) va concesso ad artisti, ricercatori, musicisti, scienziati e chiunque con particolari doti che possono alzare il valore della cultura, ricerca e società italiana.
Il visto per motivi umanitari (N*5, all’italiana) va concesso non solo ai paesi in guerra, ma anche a quelli le cui condizioni di vita sono contro la Costituzione Italiana (quindi Cuba, Venezuela, Yemen, Birmania). In questo caso una commissione deve valutare non solo se concedere il visto o meno, ma anche se la persona dimostra di meritarselo.
È infatti essenziale che insieme a tutti i diritti, ci siano anche doveri stringenti (alla tedesca, francese, australiana, americana) e che chi non rispetta le regole venga espulso. Non solo per il senso di sicurezza e legalità da dimostrare alla società italiana (di cui sopra), ma anche per gli stranieri che vogliono una vita migliore e che vogliono integrarsi attivamente. La richiesta verrebbe fatta al consolato italiano del paese di partenza. In questo modo si eviterebbero le traversate in mare, i soldi pagati agli scafisti, si controllerebbe il flusso e si renderebbe più legale e “democratico” il processo di richiesta e integrazione.
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