
Il colpo di fulmine risale al 2006, durante una vacanza, la prima a New York. Poi la decisione di trasferirsi e di lasciare l’Italia. Chiara Benni, laurea in architettura a Firenze, si forma come architetto in Italia, esperienze da interior designer in aziende che la portano in giro per il mondo prima di trasferirsi a New York nel 2009.
Qui comincia con uno stage nell’atelier di uno stilista, poi si occupa delle vendite nel negozio di Armani, e infine, inizia la carriera come food designer in una nota azienda americana di catering. Oggi, è Special event Manager per il noto gruppo italiano Sant Ambroeus per il quale gestisce gli eventi in house di Sotheby’s, la famosa casa d’ aste. È lei a scegliere il menu insieme al cliente, l’allestimento della sala, la presentazione.
Creatività certo ma anche molte capacità organizzative.“New York capitale del food design? No, spesso troppo codificata. Scelgo Austin e New Orleans per la loro sperimentazione”. Cosa le manca dell’Italia? “La famiglia, sono figlia unica, e la piadina romagnola”.

Chiara, come inizia la tua avventura a New York?
“Prima in vacanza, nel 2006. Ed è subito amore. Decido di trasferirmi nel 2009 lasciandomi tutto alle spalle. A New York parto da zero, prima un tirocinio da uno stilista e poi nel negozio di Armani occupandomi di vendite. Quest’ultimo lavoro, durato otto mesi, è stata la mia prima vera esperienza americana. Poi vari lavori, da baby sitter, in un coffee shop, fino a quando non inizio la mia carriera nel catering, nel dipartimento di food design di Creative Edge, una famosa compagnia americana che si occupa di catering”.
Come era NY quando sei arrivata?
“Così come me l’aspettavo. Solo che non mi aspettavo che fosse una città per single, dove costruire relazioni è difficile e devi affrontare tutto da sola. Prima di trasferirmi, mi sono preparata psicologicamente”.
Oggi sei Special Event Manager per Sant Ambroeus a Sotheby’s, la famosa casa d’asta dove Sant Ambroeus gestisce gli eventi in house. In che cosa consiste il tuo lavoro?
“Gestiamo circa 350 eventi l’anno da Sotheby’s e noi curiamo il catering che non significa soltanto cibo ma tutto l’allestimento dei tavoli e dell’ambiente che spesso riprendono il tema in questione. I nostri eventi vedono la presenza di circa 300 persone ma siamo arrivati a 700. Lavoriamo alla serata partendo dalla scelta del tema, cena o cocktail, il numero, il menu, il preventivo”.

Quanto conta la creatività in questi eventi e in che modo le tue competenze di food designer vengono messe al servizio dell’organizzazione?
“La creatività esprime il suo massimo soprattutto quando c’è un tema. In questo caso il cibo, l’allestimento, deve riprendere il tema, che potrebbe essere un quadro. Ad esempio una volta abbiamo realizzato una candy station in relazione all’opera in questione oppure dei donuts che riprendevano il tema del quadro”.
Quali sono state le richieste più strane o difficili da realizzare?
“Una volta abbiamo fatto un banchetto con dei lecca lecca di pop corn. Cerchiamo di mantenere sempre alto il nostro standard che ci vuole rappresentanti dell’italianità e del Made in Italy. I nostri eventi si caratterizzano sempre per lo stile italiano, nel cibo ovviamente e nel modo in cui presentiamo i piatti, l’accoglienza, il food design. Tutto è espressione dell’italianità”.
In che modo il food design è rappresentato in Italia rispetto agli Stati Uniti?
“In Italia siamo più tradizionalisti anche se le cose stanno cambiando e c’è meno spazio alla contaminazione, all’innovazione rispetto al food design americano. Senza dubbio nel nostro modo di vedere il food design c’è l’eleganza alla base di tutto”.

New York è la destinazione principale nel mondo della ristorazione americana, quali altre città possono competere con la Grande Mela?
“Se parliamo di food design sceglierei senza dubbio Austin e New Orleans. In entrambe le città c’è una grande sperimentazione sul food design che oggi è molto innovativo. New York è molto codificata da questo punto di vista e i locali spesso sembrano tutti uguali. Austin invece ama sperimentare, osare”.
Quali sono invece i ristoranti a NYC rappresentativi di un certo food design?
“Cosme, Eleven Madison Avenue, Altera a Tribeca”.
Dalla tua esperienza nel catering americano, puoi tracciare un profilo dei tuoi clienti e le difficoltà nel tuo lavoro?
“Indubbiamente ricchi, spesso ricchissimi, disposti a spendere moltissimo per eventi aziendali ma anche privati come matrimoni, Bar Mitzvah. L’industria legata al cibo e alla ristorazione è sempre in crescita e non conosce crisi. Le difficoltà sono legate agli imprevisti, al numero degli ospiti. E’ una macchina complessa che si mette in moto e tutto deve essere ben organizzato. Tra i clienti c’è chi è più attento al food design chi solo al cibo”.
Hai lasciato l’italia perchè ti stave stretta e volevi fare un’esperienza. Una fuga inevitabile?
“La mia professione, quella di architetto, in Italia si confronta con un mercato molto saturo e condivide il campo con altre figure come l’ingegnere. Personalmente ho fatto una bella esperienza lavorativa nel mio paese ma sentivo che era arrivato il momento di voltare pagina”.
New York vissuta nella sua quotidianità che città diventa?
“Oggi è una città sempre più per ricchi, costosa, dove le piccole boutique lasciano spazio alle grandi catene, le case ai condomini lussuosi. E’ una città dinamica che ti toglie molta energia ma ti da grandi possibilità non solo professionali ma umane. Qui ti capita ti incontrare casualmente persone interessanti e scambiare conversazioni profonde. Certo, non manca molta superficialità”.
Imola, la tua città, la tua famiglia. Che rapporto hai con l’Italia?
“Bellissimo, torno quando posso, mi manca moltissimo ovviamente. Mi manca il mare, il cibo, la famiglia anche perché sono figlia unica, la piadina romagnola…”