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Lussemburgo, la mia tappa nel paradiso che non ti aspetti

Mi sono ritrovata tra tanti giovani italiani che qui hanno ottenuto il lavoro che fa raggiungere quello che l'Italia nega: l'indipendenza

Valentina BarresibyValentina Barresi
Lussemburgo, la mia tappa nel paradiso che non ti aspetti

Uno scorcio di Lussemburgo, vista dal Grund, la città bassa, attraversata dal fiume Alzette

Time: 5 mins read

Le sagome dei tetti color carbone fumanti scorrono sullo sfondo di una notte che non accenna a finire: la Twingo del mio amico segna una temperatura esterna di meno 8 gradi centigradi, mentre lentamente percorriamo le strade ghiacciate che ci conducono verso Lussemburgo, capitale del Granducato che per i prossimi 11 mesi sarà il mio nuovo posto nel mondo. O almeno così pianifico.

Paradiso fiscale attorniato da fitti boschi spogli, il Lussemburgo è uno staterello nel cuore d’Europa, incastrato fra un tris di nazioni tra cui facilmente si mimetizza. E si dissolve, nell’immaginario comune di chi spesso l’assimila al vicino Belgio. Eppure è questa che chiamano casa 21.300 italiani, la terza comunità più numerosa del Paese.

“Aò! Scendi! Namosene a gioca’ a calcetto”, urla dalla finestra di fronte il vicino di casa al mio nuovo coinquilino, che è un ragazzotto romano di 27 anni: dopo aver girato mezzo mondo tra Erasmus, stage curriculari e non, ha ottenuto un lavoro nel settore marketing alla Ferrero, che qui ha una delle sue sedi europee e raccoglie un nutrito gruppo di giovani. Il dirimpettaio, invece, 25 anni appena, ha sottoscritto un indeterminato per un gruppo di banche (svizzere) che, insieme a grosse società di consulenza e finanza, in Lussemburgo la fanno da padrona.

Quando esci per strada ti accorgi che gli italiani sono ovunque. Quelli che in una Berlino o Londra diresti giovani rampanti, qui sono adulti istruiti, che parlano almeno due o tre lingue, e che hanno fatto una scelta di vita, anche solo temporanea: un reddito e una dignità. Non vivono il caotico entusiasmo che affolla le grandi metropoli del Vecchio Continente, ma si trovano presto e si stringono in cerchia per sentirsi più a casa. E spesso, in crocchi agli aperitivi a base di Spritz e bufala o tra le mura di una brillante cucina Ikea davanti a un piatto di spaghetti al pomodoro e del buon vino, ci si sentono per davvero. Giovani expat che ogni giorno incrociano i protagonisti della storica emigrazione italiana in Lussemburgo, ormai in là con gli anni, uomini e donne dagli occhi malinconici e il vestito buono, molti dei quali sfoggiano ancora un perfetto dialetto, sovente pugliese, sui bus efficientissimi.

Se non fosse per la costante coltre di cielo grigio che in certe giornate di aprile minaccia d’inghiottirti nella sua morsa, e per quel silenzioso ordine delle domeniche mattina in centro – le saracinesche abbassate sulle pulite vie lastricate di pietruzze – forse ti sentiresti a casa. O quasi.

“Non posso dire di sentirmi pienamente a casa, l’Italia è l’Italia. Però qui ho trovato quello che alla mia età il mio Paese non mi avrebbe probabilmente offerto” ammette Federico, 31enne violista e viaggiatore incallito, con il quale ho lavorato fianco a fianco per quattro mesi come Content Editor, curando contenuti per un’azienda americana che si occupa di Digital Entertainment Technology. Una laurea in Lettere alla mano e una parentesi americana di sette mesi tra Washington D.C e San Francisco, Federico ha inviato centinaia di curriculum ovunque, finché nel 2013 non ha deciso di fare i bagagli per approdare nell’unico Granducato al mondo.

“Non pensavo sarei rimasto ben quattro anni – ammette Federico, che adesso vive a Thionville, cittadina francese 20 minuti a sud di Lussemburgo, dove gli affitti più a buon mercato gli consentono di mettere da parte un discreto gruzzoletto alla fine del mese. “Non so ancora per quanto tempo mi tratterrò, ma qui mi sono perfettamente integrato. Ho imparato il francese da zero, grazie anche a corsi di lingua quasi totalmente gratuiti, canto nel Choeur de Chambre de Luxembourg, pratico scherma e all’interno della mia azienda ho già un ruolo di responsabilità. Certo, il mio Paese mi manca! Noi italiani sappiamo cosa vuol dire godersi la vita! Ma se mandassi il mio curriculum in Italia adesso, probabilmente non potrei aspirare che a una posizione junior o a uno stage”.

L’indipendenza è qualcosa a cui difficilmente poter rinunciare dopo averla assaporata, come racconta Arianna, 27enne livornese con un sogno: fare la traduttrice. Una solida formazione a Trieste, in pochi anni ha vissuto tra Canada, Irlanda e Spagna, fino al 2016, quando è arrivata a Lussemburgo per uno stage in traduzione al Parlamento europeo. Qui si è fermata, trovando un nuovo lavoro e un suo equilibrio, in attesa della prossima meta o di qualcosa che più la soddisfi. “Non ho ancora progetti definitivi, intanto ho un contratto di sostituzione maternità in un’azienda che mi permette di mettere a frutto alcune competenze acquisite. Nonostante la città sia piccola, l’offerta culturale è interessante, tanti gli eventi, dalle mostre ai concerti al teatro”, spiega Arianna, sempre pronta a prendere un aereo o un treno nei fine settimana.

La posizione privilegiata del Lussemburgo è infatti uno vantaggi di vivere nel Granducato, sebbene non siano ancora moltissime le mete low cost disponibili. Fra queste, Londra e Milano. Ma in poche ore di treno si può essere a Parigi o a Strasburgo, a Bruxelles e in diverse città tedesche. Quanto agli stipendi, sono previsti salari minimi per lavoratori qualificati e non, che consentono di far fronte all’alto tenore di vita. Gli affitti, purtroppo, sono tra i più cari d’Europa. Ma d’altra parte, sono tante le agevolazioni per chi sceglie di trasferirsi, dalle prestazioni sanitarie quasi totalmente rimborsabili ai corsi di formazione gratuiti, dagli incentivi per le donne in maternità all’assistenza per chi ha perso il lavoro.

Il Lussemburgo può offrire un’alternativa anche a chi, pur non avendo una formazione universitaria, ha tanta voglia di mettersi in gioco, a patto di padroneggiare un minimo una o due lingue straniere: l’inglese è d’obbligo, il francese quasi fondamentale per chi si trasferisce. Il tedesco una bella marcia in più, specie se si vive al confine con la Germania.

Barattare un po’ di sole per un po’ di “tranquillitè”? È un gioco che potrebbe valere la candela, almeno per qualche anno. Salvo poi finire per rimanerci, dicono in molti.

Lussemburgo, per me, non è stata che una breve parentesi. Ma anche una boccata d’ossigeno. Inoltrandomi per le viuzze che costeggiano il fiume Alzette, nelle mie passeggiate per il Grund – la parte bassa e più antica della città –  mi sono spogliata della frustrazione che in Italia mi rendeva miope e adirata col mondo intero. Convinta di non meritare altro che sfruttamento e irriconoscenza. Lì ho sentito i miei sacrifici valere qualcosa.

Ho anche trovato il mio “angolo” alla Cinémathèque, luogo irrinunciabile per gli amanti delle pellicole d’autore o dei classici: in perfetto stile anni Cinquanta, con tanto di cineprese d’epoca e locandine dei film di Alfred Hitchcock, è il posto perfetto dove rifugiarsi nelle (tante) giornate di pioggia. Ho bazzicato per sale concerti e locali raccolti, dove ho visto esibirsi band indipendenti d’Oltreoceano e conosciuto persone di tutte le nazionalità: il mondo intero su una superficie di soli 2.586 chilometri quadrati. Persino Bob Dylan è passato di lì, facendo tappa a Esch-sur-Alzette, seconda città del Lussemburgo con appena 30mila abitanti.

Certo, nel Granducato  a volte il tempo sembra scorrere uguale a se stesso, come se si vivesse in un mondo ovattato, lontani dalla realtà truce cui ci abituano le cronache nostrane. I free press cittadini pullulano di storie che in Italia probabilmente sarebbero trascurabili. E il paradiso fiscale, spesso non lo si nomina nemmeno. Eppure sai che c’è, in questo piccolo Stato meta preferita dalle aziende, che incentivate da un fisco leggero fanno affluire centinaia di migliaia di dollari in Lussemburgo. Un lembo di terra popolato da 550mila abitanti con il secondo reddito pro capite più alto al mondo.

Per certi versi, lo confesso, mettere alla porta il mondo con i suoi tormenti è stato anche piacevole. Poi una chiamata. Quando pensavo di avere smesso coi sogni, l’occasione che aspettavo da tutta una vita: tornare a imparare il mestiere di giornalista in una delle redazioni più autorevoli in Italia. Un’opportunità troppo ghiotta perché non la cogliessi! Anche se (almeno per un po’) sarebbe stato bello rimanersene in quel microcosmo, senza deadline o minacce di catastrofi incombenti. Ma la passione chiama. E non è dato sapere dove mi porterà ancora. Faccio le valigie alla rinfusa. Un altro addio, un altro aereo su cui allacciare le cinture. Fra le nuvole mi inabisso, in attesa di una promessa d’azzurro, mentre mormoro un grazie.

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Valentina Barresi

Valentina Barresi

Valentina Barresi è corrispondente dall'Italia per La Voce di New York. Giornalista dal 2008, s'interessa d'attualità, cultura, esteri e mafie. Vincitrice della 28esima edizione del premio "Mario Formenton", ha scritto per la Repubblica, America 24, il Giornale, la Sicilia e ha collaborato con gli uffici stampa dell'Ambasciata d'Italia a Washington DC e di Oxfam Italia. Tra le città in cui ha vissuto, ci sono Palermo, New York, Roma, Milano, Lussemburgo. Peregrina per necessità o diletto, non ha ancora trovato il suo "centro di gravità permanente", sebbene la Sicilia rimanga per lei l'ombelico del mondo.

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