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September 9, 2017
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September 9, 2017
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Nessuno tocchi Colombo a New York: l’adunata italo americana di Alberto Milani

Intervista con il Presidente della Italy America Chamber of Commerce, Alberto Milani, artefice del Comitato "Giù le mani da Colombo"

Giovanna PavesibyGiovanna Pavesi
Time: 8 mins read

La scoprì per caso. O forse, la trovò per errore. C’è chi pensa che a spingerlo fu la curiosità. Chi, invece, l’intraprendenza. Si convinse dell’esistenza di un mondo oltre le Azzorre incuriosito, probabilmente, dalle carte geografiche e dai calcoli matematici che delineavano il volto della Terra. Riuscì a intravederla, per la prima volta, di notte. Sul suo diario scrisse di aver notato una luce in lontananza, molto simile a una candela. Quello fu l’inizio. E da quel 12 ottobre 1492, l’America di Cristoforo Colombo iniziò a costruire la propria identità. In parte europea. Creola. Nuova.

Per molti divenne un conquistatore. Per altri fu un navigatore eccezionale e un sognatore, che cercò la fortuna oltre l’immaginazione. Ma a più di cinquecento anni di distanza da quella scoperta, sul piedistallo che regge la statua dell’esploratore genovese, in un angolo del Queens, la scritta: “Don’t honor the genocide, take it down!”. Non onorare il genocidio, abbattila.
Come ogni anno, all’avvicinarsi del Columbus Day (data scelta per celebrare la scoperta), tante divisioni e polemiche sulla figura controversa del primo italiano sbarcato in America. Ovunque, negli Stati Uniti, statue decapitate e monumenti danneggiati, perché considerati un tributo ingiusto a un personaggio storico non da tutti giudicato positivamente, colpevole di aver iniziato lo sterminio di nativi e popolazioni indigene.

A New York, il sindaco Bill de Blasio ha annunciato una commissione che, entro 90 giorni, avrà il compito di rimuovere “i simboli dell’odio” sparsi per la città. C’è chi ha temuto per la figura dell’esploratore a Columbus Circle ed è anche per questa ragione che l’Italy America Chamber of Commerce ha deciso di istituire il comitato “Giù le mani da Colombo”, per difendere l’immagine dell’uomo che, secondo il Presidente Alberto Milani, “per primo ha creduto nel sogno americano”.

Alberto Milani, Presidente della Italy American Chamber of Commerce a New York

Presidente Milani, perché l’Italy America Chamber of Commerce ha voluto essere protagonista in questa discussione su Cristoforo Colombo, istituendo questo comitato?

“Come comunità italiana siamo sempre abbastanza bravi e veloci a partire con delle iniziative, ma poi probabilmente non così efficaci nel metterle insieme. Siamo un Paese di mille campanili. Creando questo comitato abbiamo pensato, innanzitutto, a dare un segnale istituzionale, in cui convogliare tutte le varie iniziative, sia pubbliche che private, per arrivare poi alla nostra conferenza stampa prevista per il 12 ottobre”.

Pensate che l’aver istituito “Giù le mani da Colombo” possa contribuire a mantenere intatta non solo la statua ma anche la figura dell’esploratore?

“Io spero di sì. Ci sono alcuni aspetti da tenere presenti. Il primo è sicuramente legato a delle attività per valutare correttamente i fatti storici”.

Cristoforo Colombo, infatti, è una figura storicamente controversa.

“Ovviamente. Nella biografia di Colombo ci sono anche dei passaggi oscuri. È vero, questo Paese è nato, in parte, dal colonialismo e dall’oppressione dei diritti di chi esisteva prima qui, però questa è la sua storia. La revisione ci deve essere, nella vita e nei valori, e noi, in Europa, siamo sicuramente più esperti, se pensiamo alla Germania, all’Italia, alla Spagna o all’ex Jugoslavia. Bisogna tenere conto però anche del sentire comune e se questo è condiviso allora benissimo, ma se non lo è, spostare le statue è come bruciare i libri. Io mi batterei, allo stesso modo, se ci fossero altri monumenti o altri valori condivisibili da difendere oggi. A prescindere da Colombo”.

Perché la rimozione della figura di Colombo costituirebbe un attacco alla comunità italo-americana?

“Se partiamo da un presupposto, il simbolo dell’esploratore genovese è un emblema storico, con dei lati oscuri come la maggior parte delle istituzioni che esistevano nella sua epoca. Ma oggi, la statua, ha un significato molto forte per la comunità italiana”.

Perché, secondo lei?

“Rappresenta l’immigrazione americana negli Stati Uniti quindi designa ciò a cui noi, come comunità, facciamo riferimento. Pensiamo che, al di là dell’aspetto generale della statua, esista un secondo valore che secondo noi è più importante”.

Quale?

“È quello che riguarda la possibilità di celebrare durante il Columbus Day la nostra italianità. A Los Angeles è finita come sappiamo (la festa è stata sostituita dall’Indigenous Peoples Day, ndr) e anche se questi sono processi democratici, votati in piena legalità, dobbiamo tenere conto che non nascono in pochi giorni. Ci sono processi che, per anni, vanno discussi e poi, alla fine, portano a un risultato come quello. Noi vorremmo evitarlo e questa è tra le ragioni per cui ci sarà questa riunione il 12 ottobre. Preferiamo infatti coordinare un’azione che poi, in futuro, ci permetta di tenere le nostre posizioni”.

Tutti gli anni, però, se ne parla.

“Quella parte di rivendicazione dei diritti dei nativi c’è sempre stata. Personalmente credo che questi due valori non debbano essere contrapposti: mettere il diritto dei nativi contro quello degli italiani di celebrare una festa non è l’approccio corretto. La comunità italiana poi è sempre stata una delle prime ad abbracciare tutte le possibilità di manifestazione, compresa quella dei nativi, quindi non credo che sia questo il problema”.

Da quando avete annunciato l’iniziativa del comitato come vanno le cose?

“Direi bene. Credo che abbiamo ragione di credere che l’allarme sia rientrato, sia per quanto riguarda la parata che per la statua. Prima è intervenuto il Governatore Cuomo e poi, in seconda battuta, anche il sindaco Di Blasio. Poi, come finirà con la statua, in futuro, non lo so, credo che ci sarà anche un problema legato alla piazza e al suo nome”.

Cuomo e de Blasio hanno avuto due reazioni diverse.

“Credo che anche per loro i fatti di Charlottesville abbiano acceso la situazione. Non dimentichiamoci il periodo elettorale per loro. Per un sindaco, chiunque sia, diventa difficile schierarsi quando non si hanno sicurezze del risultato. In 90 giorni una commissione deciderà quali saranno le statue considerate discriminatorie. Queste sono parole abbastanza forti: io non ho conoscenza di tutti i monumenti di New York, ma sarò proprio curioso di vedere quali monumenti verranno poi identificati come tali. Per quanto riguarda Cuomo: si è schierato qualche giorno fa a favore del mantenimento, sicuramente per un’italianità sua probabilmente più forte. Però credo anche che abbiano inciso le reazioni, non solo la nostra ma anche di altre organizzazioni, specialmente a New York dove la comunità italo-americana è molto forte e soprattutto è molto sentita. Sarebbe stato molto difficile sostenere il contrario”.

Come mai, secondo lei, quest’anno il problema sembra essersi acutizzato?

“Il revisionismo storico di questo momento credo sia stato un po’ acceso dai fatti di Charlottesville, che poi hanno portato a ingigantire una situazione che tutti gli anni si ripresenta. Spero che questa revisione storica sia fatta, in generale, non con arroganza, non con imposizioni, ma in base anche al sentire comune, che oggi, Colombo vuole continuare a celebrarlo, nel suo nome, nelle date che noi riteniamo opportune e non con altri simboli”.

Che cosa rappresenta, per lei, la figura di Colombo?

“Uno dei tratti distintivi personalmente più interessanti è la volontà di gettare il cuore oltre l’ostacolo, che è un po’ ciò che contraddistingue chi è venuto in questo Paese. In questo periodo, ho dovuto fare anche delle ricerche storiche e ho scoperto varie versioni di questa ricostruzione. In una pare che Colombo non sapesse cosa fronteggiare e in un’altra sembrava che avesse avuto delle informazioni che altri non avevano prima di affrontare il viaggio. In ogni modo incarna lo spirito d’intraprendenza italiano, anche proprio prima di partire, alla ricerca di quello che noi oggi chiameremmo una sponsorizzazione per un suo sogno, una sua convinzione. Credo che questo sia molto simile al sogno americano. Anche noi, oggi, cerchiamo degli sponsor, cerchiamo di venire in un mondo nuovo e sconosciuto e cerchiamo di farci valere. Purtroppo, Colombo è stato un ottimo navigatore e, la storia dice, forse non un grande governatore però, la prima parte è stata fatta con quello che, secondo me, è lo spirito giusto degli italiani”.

Avete avvertito una sensibilità diversa tra italiani e italo-americani per questa vicenda?

“Senz’altro. Io sono italiano, nato e cresciuto in Italia, però da più di 25 anni qui e devo dire che Colombo è per l’italo-americano, che è un processo nella vita che capita, un simbolo nel momento in cui c’è questa trasformazione, tra essere italiani e diventare italo-americani appunto. Dalla comunità è visto in maniera molto forte, anche e non solo come un motivo di orgoglio. Inoltre, non ci dimentichiamo che le prime migrazioni italiane non avevano i diritti di cui noi oggi godiamo e nemmeno avevano il diritto di manifestare la propria italianità, che non era né ben vista e né incoraggiata. Quindi, alla fine, per queste persone, Colombo ha sempre rappresentato il simbolo del primo degli immigrati italiani a venire qui. Quindi ha sicuramente un valore molto più elevato. Però abbiamo avuto delle grosse stime di supporto da associazioni liguri o genovesi che sicuramente vedono Colombo in una maniera diversa. Entrambe sono valide, ma i valori dell’italianità all’estero diventano più forti”.

Presidente, quindi Colombo resterà in piedi?

“Sì e la parata credo proprio si farà sicuramente quest’anno. Credo che la statua sia un simbolo di un altro diritto che io mi schiero per difendere. Lo farò come Presidente finché ricoprirò questa carica e lo farò anche da italo-americano se non dovessi più esserlo. Come uomo e come italo-americano, ciò che mi ha dato fastidio è stato il fatto di non poter celebrare nel modo giusto a Los Angeles la giornata. Penso che la storia debba essere rivalutata, ma i motivi per cui ci sono le discussioni su Colombo possono essere gli stessi per cui dovrebbero esserci delle discussioni sulla giornata del Thanksgiving. E quindi apriremmo una china di discussioni inarrestabile in questo Paese e non celebreremmo più niente”.

Come commenta la scelta di sostituire il Columbus Day con la giornata dedicata ai nativi?

“Credo sia giusto celebrare qualsiasi tipo di manifestazione, a prescindere. È uno dei diritti su cui è fondato questo Paese. Ho un problema nel momento in cui una manifestazione, nel celebrare un diritto altrui, comincia a limitare il mio. Credo che nessuno della nostra comunità, anche a Los Angeles, sia stato contrario a celebrare i diritti dei nativi o degli indigeni in qualsiasi altra formula, anzi mi pare, se ricordo bene che si fosse già proposto di farlo il 9 ottobre, nel giorno della celebrazione della terra. Poi questa mozione non è stata votata, però personalmente credo che alla fine, per il periodo storico che stiamo vivendo, questa situazione si sia riaccesa oltre al dovuto e questo non era necessario. E, oggi, mi domando, per esempio, come avrebbe reagito la comunità irlandese o le diverse comunità europee se fosse accaduto a loro. Io sono favorevole a qualsiasi manifestazione e sono contrario al fatto che mi si dica come, quando e che simboli io debba adoperare per celebrare la mia italianità. Questo io lo difendo come un mio diritto.

E, invece, le nuove generazioni come hanno vissuto questo dibattito?

“I più giovani sono sicuramente più sensibili ai diritti dei nativi, l’ho chiesto anche ai miei figli, che hanno 16 e 18 anni. Però, io credo che la stragrande maggioranza degli italoamericani sia dalla parte di Colombo. Ovviamente noi abbiamo raccolto i pareri di tutti, anche dei contrari, che anzi possono dare idee anche per il futuro”.

Per esempio?

“C’è chi ha proposto di spostare la statua e metterla in un museo, c’è chi ha chiesto di adoperare un altro simbolo al posto di Colombo. Penso che probabilmente ci sarà una via di compromesso. E mi auguro che la parata e la celebrazione ci sia sempre a New York. Anche per i miei figli”.

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Giovanna Pavesi

Giovanna Pavesi

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