Alla domanda “come comportarsi nei confronti dell’altro?” il filosofo Cvetan Todorov nel suo saggio La Conquista dell’America, Il problema dell’altro (1982), afferma: “Non sono in grado di rispondere se non narrando una storia esemplare”. Diversamente si esprime la psicanalista Julia Kristeva nel suo appassionante libro Stranieri a noi stessi (1988), che enuncia una tesi forte: “la possibilità di vivere ‘con gli altri’ senza rifiutarli né annullare le differenze richiede il riconoscimento del nostro essere ‘stranieri a noi stessi’”, che significa secondo lei, “rispettare lo straniero nella sua differenza presuppone riconnettersi con il diritto alla propria singolarità.
Quindi, una storia esemplare per Todorov e una riflessione sulla nostra diversità europea e personale per Kristeva. Due pilastri – realtà e teoria – alla base dell’opera di Paolo Bianchini, regista cinematografico e nel 2002 ambasciatore dell’Unicef per il suo impegno nelle problematiche dell’infanzia, tra le quali l’emigrazione, esposta nel suo film “Il sole dentro” (2011).
Due saggi da rileggere e un film da rivedere che ci confrontano con l’attuale e drammatica realtà di chi è costretto a varcare non soltanto una frontiera ma anche a traversare il deserto e il mare. E che se riesce a sopravvivere diventa “il diverso”, “lo straniero” quasi sempre sfruttato e quasi mai accolto con comprensione e consapevolezza di cosa significa l’integrazione e la costruzione dell’identità quando lo sguardo egemonico diffonde diffidenza e rifiuto.
A Formello (Roma), la piccola associazione “Il Monello”, costituita l’anno scorso da un gruppo di amici con l’intenzione di promuovere iniziative culturali, ha realizzato in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune un ciclo di film sul tema delle migrazioni. “Abbiamo voluto offrire occasioni di buon cinema e riflessioni sui drammi del nostro tempo”, ha detto a La Voce di New York uno dei responsabili dell’associazione e curatore di questo primo ciclo. “Il sole è uno per tutti”, aggiunge ricordando una frase di “Io sto con la sposa”.
Dunque, dal 30 ottobre del 2016 al 4 marzo scorso “Il Monello” ha proiettato nello storico Palazzo del comune formellese “Fuocoammare” di G.Rossi, “L’Orchestra di Piazza Vittorio” di A. Ferrante, “La Sconosciuta” di G. Tornatore, “Io sto con la sposa” di G. del Grande, e “Il sole dentro” di P. Bianchini. In parallelo, l’associazione ha cercato di coinvolgere anche le scuole locali: “Fuocoammare”, candidato all’Oscar, è stato proiettato agli studenti della terza media e i giovani studenti si sono commossi con Samuele, un bimbo che vive a Lampedusa, l’isola della speranza per migliaia di persone in fuga dall’Africa.
“Soffriamo troppo in Africa” avevano scritto Yaguine e Fodè, due adolescenti della Guinea, in una lettera indirizzata “Alle loro Eccellenze i membri e responsabili dell’Europa”, che nel 1999 volevano consegnare personalmente a Bruxelles chiedendo aiuto per avere scuole, cibo e cure nel loro Continente.
“La tragedia di Yaguine e Fodè è una storia vera. Con la lettera in tasca i due si nascondono nel carrello di un aereo diretto a Bruxelles, un viaggio che inizia con la gioia del decollo e finisce con il ritrovamento dei cadaveri” , ci spiega Bianchini dopo la proiezione del film.
“La lettera, molto ingenua e schietta, esprime un dolore dignitoso. E’ stata scritta la sera prima della partenza all’aeroporto, dove i ragazzi locali vanno tutti i giorni a studiare e a fare i compiti della scuola – l’aeroporto è l’unico posto dove c’è la luce elettrica-”, racconta il regista.
“Siamo indignati per il fatto che nessuno abbia mai risposto a questa lettera. Dopo la tragedia, il fatto di cronaca è stato diffuso per due o tre giorni e poi basta”, si esalta Bianchini. “Yaguine e Fodè sono stati vivi per quattro ore. All’inizio le ruote, riscaldate durante il decollo, aveva suscitato grande gioia nei ragazzi… ma il viaggio era lungo e nel vano del carrello faceva troppo freddo… La mancanza di risposta alla loro lettera è la mancanza di risposta al loro sogno… Loro sognavano… e durante quattro ore hanno sognato con l’arrivo a Bruxelles, con i ‘signori’ rappresentanti dell’Europa, con il loro ascolto. Io e Paola (Paola Rota, produttrice e coautrice) siamo stati colpiti da questa mancanza di risposta. Come hanno fatto a non sentire il bisogno di rispondere ai due adolescenti morti per un sogno?”.
Bianchini e Rota hanno deciso di impegnarsi per trovare una risposta al sogno di Yaguine e Fodè, hanno costituito l’Alveare Cinema, hanno girato “Il sole dentro” e collaborato alla nascita di “FondYF” (Fondazione Yaguine e Fodè), quest’ultima con sede in Guinea e con lo scopo di sostenere le scuole in Africa.
“’Il sole dentro’ racconta la tragedia dei due ragazzi della Guinea, incrociandola con un dramma nell’insieme non vero ma che unisce alcune storie vere del traffico clandestino di bambini calciatori. Abbiamo impegnato la nostra casa per fare il film e sono stati anni di lavoro. Dal momento che la Medusa, che aveva acquisito i diritti di distribuzione del film, dopo pochi giorni si è tirata indietro, abbiamo deciso di portarlo noi nelle scuole. Così è nata qualcosa che non si sta più fermando. Dove ci sono i giovani si accende questo movimento. E finalmente siamo sbarcati a Bruxelles con 1.500 lettere al Parlamento Europeo e dieci ragazzi. Il più piccolo ha letto la lettera di Yaguine e Fodè e il loro sogno non è morto”, racconta il regista e afferma che la tragedia delle migrazioni “sono le nostre Torri Gemelle”.
Bianchini non si sbaglia, anzi, il Mediterraneo ripete il dramma giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Le ultime cifre riportate questa settimana dal comitato “Verità e Giustizia per i nuovi desaparecidos” sono sconvolgenti: 501 morti tra l’inizio del 2017 ad oggi.
Migrare, rischiare di morire per fuggire da una morte annunciata.
“Ci sono tante risposte possibili alla lettera di Yaguine e Fodè, dice la medico Giulia Civitelli, volontaria al Poliambulatorio della Caritas di Roma, anche lei presente in sala durante la proiezione di “Il sole dentro”.
“I pilastri fondamentali del nostro lavoro sono l’accoglienza, l’assistenza, la ricerca, la formazione e l’impegno per i diritti delle persone che arrivano al poliambulatorio”, spiega e poi sottolinea: “Non è vero che gli immigranti portano delle malattie. Chi parte è una persona sana, partono i più forti. Ma purtroppo si possono ammalare qui. Noi parliamo di ‘effetto migrante sano’ e di ‘effetto migrante esausto’ “.
Ascoltare Civitelli ci aiuta a ripensare tante storie di italiani arrivati massicciamente nel novecento negli Stati Uniti e nel Sudamerica che molte volte “crollavano” psicologicamente o fisicamente sotto il peso degli sforzi per mantenere la famiglia o per rifarsi la vita senza punti di riferimento culturali e sociali. Allora erano “gli altri” che subivano una situazione di diffidenza e rifiuto. “Italiano piedi sudici”, “Ignorante mangia cipolle” erano gli insulti frequenti in Argentina, dove oggi il presidente Mauricio Macri, nonostante il padre migrante, inasprisce i controlli e le condizioni di ingresso e residenza al Paese. Per non parlare del presidente statunitense Donald Trump.
Rileggendo La Voce di New York ho trovato l’articolo “Quando i musulmani eravamo noi”, di A. J. Tamburri. “Nel 1942 Maria Grazia Antonia Cerulli, con circa 695 mila cittadini italiani residenti negli Stati Uniti, fu identificata come ‘nemica straniera’. Cosi come tutti gli italiani erano considerati violenti e mafiosi, ora sembrerebbe che tutti i musulmani siano dei potenziali jihadisti”, scrive Tamburri e a sua volta cita Gian Antonio Stella e il suo libro del 2002 “L’onda: quando gli albanesi eravamo noi”.
Tamburri parla di Maria Grazia, sua nonna pugliese, che non sapeva né leggere né scrivere e aveva lasciato l’Italia, un Paese “impoverito e in alcune zone disastrato dalla malaria”. Ma considerata “enemy alien” in America (USA).
Anche mio nonno, Antonio Iantorno, calabrese, bracciante, analfabeta, si è imbarcato quando a casa sua non c’era più da mangiare. E’ morto a 76 anni a Buenos Aires, da solo, esaurito dalla malinconia, abbandonato dai propri figli (erano 13!), che si vergognavano di lui, che non aveva risparmiato sforzi per farli studiare.
Casi privati? Certamente, ma anche della storia dei popoli migranti. Oggi, in Argentina, i discendenti degli italiani sono quasi la metà della popolazione e uno di loro è Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco.
Attualmente, “gli altri”, i non graditi per Macri, sono i vicini poveri del Sudamerica, in particolare boliviani, paraguaiani e peruviani. Sono nel mirino del nuovo decreto 70/2017 che modifica la “Ley de Migraciones (25.871)” parlando della “crescita del crimine organizzato internazionale”.
“La popolazione di persone di cittadinanza straniera sotto custodia del Servizio Penitenziario Federale (SPF) è aumentata negli ultimi anni, arrivando nel 2016 al 21,35% del totale della popolazione carceraria e nel caso dei reati collegati alla narco-criminalità un 33% delle persone sotto custodia del SPF sono straniere”, afferma il decreto di gennaio scorso. Il governo considera che l’Argentina vive “una situazione di crisi che merita l’adozione di misure urgenti”.
“Questi neri (cioè chi ha capelli neri e la pelle ramata, come la stragrande maggioranza dei popoli originari latinoamericani), vengono da noi, ci tolgono il lavoro, ci rubano, ci ammazzano… Sono dei delinquenti, dei drogati”, afferma la destra in Argentina ma anche il ceto medio impoverito che ancora appoggia Macri nonostante il 40% di inflazione durante il 2016.
Parole simili girano in Italia, dove l’ex diplomatico Enrico Calamai sottolinea che “i migranti morti nel Mediterraneo sono i ‘desaparecidos’” dell’oggi.
Calamai, console di Buenos Aires durante il colpo di Stato del 1976, fa un paragone tra le vittime di quella dittatura militare e l’attualità europea e poi afferma: “I nuovi desaparecidos sono i desaparecidos dell’Europa affluente del XXI secolo. Sono tutti coloro che per sfuggire a situazioni gravissime di crisi, di guerre e dittature, oppure catastrofi ambientali, molto spesso provocate da noi occidentali, si trovano a dover scegliere fra la fuga e la morte e cercano di arrivare al Mediterraneo per traversarlo e perdono la vita in questo tentativo”.
E torniamo a Kristeva e Todorov, all’“identità molteplice” dell’Europa, agli “incontri” diventati “scontri”, alle “storie esemplari”, a Yaguine e Fodè.