La primavera è esplosa a Piazza San Pietro e il sole accoglie i pellegrini che aspettano il saluto di Papa Francesco. Migliaia di persone arrivate da diverse regioni italiane e dai più disparati paesi del mondo. Tra la folla, due donne che hanno sofferto i crimini della dittatura militare argentina del 1976-83.
Per loro, Papa Francesco è Jorge Mario Bergoglio, “padre Jorge”, ex arcivescovo di Buenos Aires. La piu anziana, Angela “Lita” Boitano, 84 anni a luglio, madre di due “desaparecidos” e presidente del Movimento di Famigliari di Scomparsi e Detenuti Politici, si definisce “cattolica, apostolica, romana”.
L’altra sono io, Dora Salas, sequestrata nel 1977 insieme al giornalista Luis Guagnini (ancora “desaparecido”) , atea, che non si considera per niente “orgogliosa” di essere concittadina di Francesco. Ma abbiamo le stesse richieste da fare al Papa al termine dell'udienza generale: l’apertura degli archivi della Santa Sede sui desaparecidos e il “mea colpa” della Chiesa cattolica argentina sul proprio comportamento durante gli anni del Terrorismo di Stato.
“Lita”, figlia di veneti arrivati a Buenos Aires nel 1930 poco prima della sua nascita, ha portato un regalo emblematico: la nuova edizione italiano-spagnolo del libro “Cielo libero”, che raccogli alcune poesie di prigionieri politici argentini, persone che dietro le sbarre e nonostante la tortura e le minacce di morte, riuscirono a “immaginare la Libertà”. Poeti senza nome che ci parlano ancora di amore e di solidarietà.
Io, nipote di un bracciante calabrese emigrato da Rende quando la povertà colpiva duramente la sua famiglia, volevo anche dal Papa “due parole per le comunità italiana e argentina di New York, dove é molto atteso”.
“Memoria, Verità e Giustizia” per i crimini della dittatura argentina (30.000 scomparsi, 10.000 prigionieri politici, 500 bambini rubati alle donne incinte che partorivano nei campi di concentramento). Memoria delle guerre e della povertà che costrinsero tanti italiani a cercare oltreoceano un futuro di pace per i loro figli.
“Mai più” ha sostenuto il PM del primo processo contro i capi della dittatura argentina. E quaranta anni dopo, la richiesta è la stessa, “mai più, e non solo in Argentina”.
Questo è il messaggio di “Cielo libero” e questo è il senso dell'atteso “mea colpa” della gerarchia ecclesiastica argentina.
“Padre Jorge – ho detto a Papa Francesco – chiediamo l’apertura massiccia degli archivi della Santa Sede”, racconta Boitano alla stampa che telefona da Buenos Aires, da Roma, da Londra, dal Brasile e dal Messico.
“Il Papa ha risposto 'Lo stiamo facendo' – sottolinea Lita e aggiunge – Anche l’autocritica va avanti. Bergoglio mi ha detto ‘un mese fa ho parlato con (monsignore Giuseppe) Laterza proprio di questo argomento'”.
“Il viso del Papa era sereno mentre mi parlava in spagnolo, con molta calma, lentamente. Poi ha terminato il suo discorso con un bacio e con una richiesta a pregare per lui. Penso che l’apertura degli archivi sarà importante per i processi in corso in Argentina e anche per ritrovare i bambini (oggi ormai giovani di oltre trent'anni NdR) che cercano le Nonne di Piazza di Maggio” ha concluso Lita.
Due giorni dopo, in Vaticano, abbiamo avuto un incontro di circa un’ora con Giuseppe Laterza. Il giovane monsignore (44 anni) ci ha spiegato le difficoltà implicite nell’apertura degli archivi e nella preparazione di un documento “equilibrato” sul comportamento della chiesa argentina. “Dobbiamo lavorare insieme – ha detto Laterza – il Vaticano e la Conferenza Episcopale Argentina. Quindi, al vostro ritorno, dovete incontrare il vescovo di Chascomus (segretario della CEA), Carlos Malfa”.
Piccoli passi ma che rappresentano sicuramente un progresso.
L’ambasciatore argentino presso la Santa Sede, Eduardo Valdès, che ci ha accompagnato nell'incontro con Laterza, non ha dubbi: “L’autocritica è importante per i parenti delle vittime, per i fedeli, per la Chiesa e per il Papa”.
Ma quanto si dovrà aspettare ancora?
“I militari muoiono di vecchiaia, ma anche noi, che abbiamo perso i nostri figli, siamo anziane – ha fatto notare Lita Boitano – Monsignore, l’apertura degli archivi ci può aiutare nella nostra lotta alla ricerca della Verità e il ‘mea culpa’ sarà un atto di giustizia. Quarant’anni di silenzio sono sufficienti”.
“Silenzio e complicità in molti casi”, penso io ricordando che il poeta argentino Juan Gelman (figlio e nuora scomparsi, nipote “rubato” dai militari) ha saputo nel 1978, dalle labbra di padre Fiorello Cavalli, della Segretaria di Stato Vaticana, che un suo nipote era nato/a durante la prigionia di Claudia, la giovane sequestrata e assassinata dopo il parto. Molti anni dopo, in Uruguay e poco prima di morire, Gelman ebbe la gioia di ritrovare sua nipote Macarena. Quante Macarene potrebbero ritrovarsi ancora con dati più precisi o collegando le denunce reperibili nei documenti della chiesa?
Ma oggi l’aria sembra diversa e come ha detto Francesco si “sta lavorando”. Il Papa dimostra anche la realtà del cambiamento quando, dopo una stretta di mano e la mia presentazione come collaboratrice de La VOCE di New York, ho accennato alle comunità italiana e argentina della Grande Mela. “Scriva pure nel suo giornale che durante il mio prossimo viaggio li incontrerò tutti” afferma sorridente Francesco prima di allontanarsi.