Tre italiani fra i 102 giovani scienziati più promettenti dell’anno. Anna Grassellino, Marco Pavone e Guglielmo Scovazzi si sono meritati il Pecase (“Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers”). Istituito dal presidente Clinton nel 1996, è il massimo riconoscimento che il governo degli USA offre ai giovani scienziati delle università americane. Senza distinzioni di nazionalità o cittadinanza: conta il merito. Per ISSNAF, la fondazione che riunisce 4mila uomini e donne di scienza italiani che operano in Nord America, questa recente notizia è uno sprone ad andare avanti nella costruzione di ponti fra le due sponde dell’Oceano.
Nella lista dei premiati annunciata da Barack Obama il 9 gennaio 2017 in uno dei suoi ultimi atti da presidente uscente – sarà il successore Donald Trump a convocarli in primavera per consegnargli l’onoreficenza – ci sono nomi di origine asiatica, africana, europea, ennesimo segno della grande forza attrattiva e inclusiva del sistema americano.

Marco Pavone, premiato fra i Pecase del settore Intelligence Commuity, è una vecchia conoscenza di Issnaf: è stato finalista al Franco Strazzabosco Award for Engineers degli ISSNAF Award 2016. Ingegnere informatico, classe 1980, si occupa di intelligenza artificiale. È nato a Torino e si è laureato all’Università di Catania, città dove è stato poi ammesso alla Scuola Superiore di Catania: proprio per fare la tesi finale della scuola Marco Pavone ha il primo contatto con il mondo statunitense, volando a Los Angeles. Comincia così nel 2005 l’esperienza americana, che lo porta, nel 2010, ad ottenere il dottorato di ricerca in Aeronautica e Astronautica al MIT (Massachusetts Institute of Technology), e successivamente a lavorare al NASA Jet Propulsion Laboratory (JPL), il centro NASA che si occupa dell’esplorazione robotica del sistema solare. Attualmente Marco Pavone è Assistant Professor del dipartimento di Aeronautics and Astronautics alla Stanford University, dove è direttore dell’Autonomous Systems Laboratory.
«Dopo un anno alla Nasa già coordinavo diversi progetti, qui a Stanford coordino una squadra di più di 15 ricercatori – raccontava quando lo abbiamo intervistato in vista degli Issnaf Award –. Immagino di continuare il mio lavoro a Stanford come professore e prendermi, quando potrò, un anno sabbatico. E là si apriranno due strade: o prestare servizio alla NASA ed avviare nuovi progetti legati alla robotica aerospaziale, o provare un’avventura imprenditoriale legata alla robotica».

Anna Grassellino ha ottenuto il premio per il Department of Energy. Ricercatrice nata e cresciuta a Marsala, è impiegata al Fermi National Accelerator Laboratory dell’Università dell’Illinois, a Batavia. Vi è arrivata nel 2012 come postdoc, crescendo fino al ruolo attuale di group leader nel settore della fisica applicata e delle tecnologie dei superconduttori. Gli studi l’avevano portata dalla Sicilia all’Università di Pisa, dove si è laureata nel 2005 in Ingegneria Elettronica, per poi volare negli Usa per il dottorato in Fisica all’Università della Pennsylvania.
«Non posso promettere che questo sia il mio ultimo premio, ma potrebbe essere uno dei migliori – ha scherzato su Facebook il 9 gennaio, in un post rigorosamente in inglese –. Devo ringraziare ancora una volta tutti i miei colleghi e tutor a Fermi National Accelerator Laboratory senza le cui idee, contributi, aiuto e dedizione questo risultato non sarebbe stato raggiunto. Siamo un gruppo infallibile. Ringrazio l’agenzia che mi finanzia dello U.S. Department of Energy per supportare con forza i giovani ricercatori e le nuove idee».

Il terzo italiano premiato è Guglielmo Scovazzi, Associate Professor al Dipartimento di Ingegneria ambientale e civile della Duke University, a Durham, nella Carolina del Nord. Dopo la laurea con lode in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Torino ha conseguito un dottorato in ingegneria meccanica a Stanford. Si occupa di fisica meccanica dei corpi solidi e liquidi.
«È un grande onore per me, sono estasiato – ha commentato Scovazzi –. Vorrei ringraziare profondamente il supporto portato dal mio dipartimento e dalla Pratt School of Engineering, un bellissimo ambiente che chi la guida ha creato e continua a promuovere e valorizzare insieme ai miei colleghi. È un ambiente ricco, che sa rischiare e pieno di entusiasmo, e costituisce una fantastica base per tutti noi».