Il 2 maggio, la Casa Italiana Zerilli-Marimò della NYU ha ospitato la proiezione di Emergency Exit: Young Italians Abroad, docu-trip composto da interviste a italiani che hanno lasciato la terra natia in cerca di opportunità di lavoro che non riuscivano a trovare lì dove sono cresciuti e si sono formati. Diretto da Brunella Filì e co-prodotto da Beth Di Santo, Uscita di sicurezza ha debuttato nel 2014 in Italia. Quella a New York era l’ultima tappa di un tour degli Stati Uniti che ha riscosso un grosso successo: il 2 maggio, per la presentazione del film seguita da un dibattito con Brunella Filì e Beth Di Santo, moderato dal direttore della Casa, Stefano Albertini, il teatro della Zerilli-Marimò era al completo, con tanta gente che è rimasta in piedi e molti che hanno seguito l’evento in streaming dalla biblioteca ai piani superiori.
Nel documentario il pubblico cercava un riflesso delle proprie storie personali e uno sguardo approfondito sugli aspetti economici meno noti della società italiana contemporanea.
Emergency Exit gira intorno alle storie di tredici protagonisti “usciti” dall’Italia in cerca di ambienti di lavoro più promettenti. Alcuni sono andati in Austria (Anna Binetti da Bari ha seguito il suo sogno di fare il veterinario), mentre altri hanno deciso di fare i bagagli e dirigersi verso la Norvegia, a volte anche per semplici lavori da commessa in un negozio, come è stato per Martina Zipoli, di Roma, o da venditore al mercato del pesce, come per Walter Calvaresi. Eppure, dietro la macchina da presa, c’è un’italiana che è rimasta in Italia. Brunella Filì, laureata in Scienze della Comunicazione e con un Master in studi sul cinema all’Università di Bologna, fa la regista freelance dal 2005. Ha diretto altri documentari brevi e book trailer, e in Puglia ha fondato la società di produzione Officinema Doc.
Inizialmente il film aveva sei protagonisti, persone che Filí conosceva direttamente. Nel corso dei tre anni di lavorazione si è allargato ad abbracciare molte più voci di quella che lei chiama la “generazione perduta”. Nel documentario, molto ben girato, appare qualche scorcio della splendida Italia che siamo abituati a vedere nei film e in TV e che attira turisti da tutto il mondo, con le sue rovine romane e i paesaggi mediterranei. Ma ciò su cui Filì si concentra è una realtà meno nota: l’Italia è una delle principali destinazioni turistiche ma per molti italiani è diventata un luogo da cui partire.
Il narratore che accompagna il documentario, Bill Emmott, è laureato ad Oxford e autore di Good Italy, Bad Italy: Why Italy Must Conquer Its Demons to Face the Future. Emmott spiega che molti giovani europei viaggiano per motivi professionali, ma “gli italiani sono diversi rispetto ad altri popoli che lasciano il loro paese perché rimangono in stretto contatto con l’Italia”: un commento con cui il pubblico è sembrato molto d’accordo.
Il documentario di Filì abbraccia una varietà di persone, esperienze e luoghi. Chiara Capraro, consulente di politiche di genere di Torino, ora risiede a Londra; Mauro Gargano, musicista barese, vive a Parigi; la scrittrice e editor freelance Camilla Bonetti e il fumettista Marco Lanza hanno entrambi scelto la Norvegia; Nicola Cataldo fa il professore universitario a Tenerife. Im comune hanno sentimenti complessi nei confronti dell’Italia, dalla delusione all’amarezza fino al vero e proprio risentimento, nonostante la scelta di andarsene sia per tutti stata dettata da uno spirito positivo di avventura e dalla volontà di costruirsi o far avanzare la propria carriera professionale.
Tra il pubblico c’erano alcune delle persone intervistate: l’attrice Alessia Gatti, l’agente immobiliare Matteo Rignanese, di Manfredonia, e l’assistente direttore Digital Media del MoMA, Chiara Bernasconi, di Bologna. Il gruppo di newyorchesi, nuovi immigrati negli USA, ha espresso punti di vista diversi. Alessia, arrivata a New York per recitare in teatro, ha ammesso: “Pensavo che trovare lavoro qui sarebbe stato più facile, ma non lo è”. Al contrario, Matteo e Chiara sono stati in grado più rapidamente di costruire una carriera solida. Nonostante questo, anche ora che si sono creati una vita qui con compagni americani, il pensiero va spesso all’Italia di cui sentono la nostalgia o dove prima o poi vorrebbero tornare.
La combinazione di storie personali e commenti socio-politici presentata da Emergency Exit mostra chiaramente come questi italiani, con un buon bagaglio d’istruzione alle spalle, abbiano lasciato il paese natale per via di una realtà poco promettente, in cui “la laura era un pezzo di carta”, come ha detto Patrizia Pierazzo, archeologa veneziana che ora lavora a tempo pieno per il Museo di Londra.
La regista ha spiegato che nelle intenzioni questo “docu-trip” vuole essere un appello al Governo italiano a dare il giusto peso a questo fenomeno. All’inizio del documentario viene chiesto all’allora primo ministro Mario Monti cosa avrebbe detto a suo figlio se avesse deciso di andare all’estero a causa della scarsità di posti di lavoro in Italia. La risposta: il silenzio assoluto.
Queste persone sono “risorse” date per scontate e che potrebbero invece essere utilizzate a beneficio di una nazione che ha bisogno di crescere. “Ci sono un sacco di persone con talento e capacità in Italia e sembra che non importi a nessuno – ha detto Filì con tristezza – Siamo la generazione meno pagata e più disoccupata”. E ciò avviene anche a causa dell’eccessiva protezione della vecchia generazione di forza lavoro, anche se il documentario non affronta direttamente questo problema.
Il film mostra un’Italia che non è solo il paese dell’ottima cucina, dell’incredibile patrimonio artistico e della moda. C’è un’Italia di complicazioni e mancanze che bisognerebbe iniziare a vedere come superabili, come spiega anche Bill Emmott nel documentario. Il documentario ritrae una piccola manciata di italiani che tuttavia parlano per un gruppo ben più ampio e che meritano attenzione. Come ha sottolineato Beth Di Santo, il film non riguarda solo i giovani italiani, ma è anche un invito agli italo-americani: “Non dimenticate di aiutare, di attivare e avviare un dibattito, in modo che si possa produrre un cambiamento, perché queste persone hanno bisogno di una voce e il film fa la sua parte, ma non bisogna fermarsi qui”. Gli italiani all’estero devono spingere perché si crei una conversazione più ampia sul tema della diaspora contemporanea. E cinema, letteratura, social network e altro possono costituire importanti piattaforme per il dibattito. Questi giovani italiani vogliono essere riconosciuti dal loro paese per il duro lavoro, il coraggio, la perseveranza, e le loro storie chiedono di essere ascoltate.
Così Emergency Exit apre una riflessione che non riguarda solo gli immigrati italiani, ma tutti gli immigrati, così come anche tutti i giovani che pensano a trasferirsi all’estero. Nel film, solitudine, senso di realizzazione e aspirazioni sono presentati in maniera coinvolgente e accattivante. Lo stile di Filì combina humor e riflessioni serie e infonde di uno spirito giovane le immagini accuratamente selezionate, alternando luoghi iconici (come Bryant Park, dove incontriamo il regista Andrea Lodovichetti, di Fano) ad ambienti domestici (come l’appartamento di Milena Maselli, insegnante in un liceo parigino e all’università). Ma è nell’aula in cui tiene lezione Nicola Cataldo che emerge una delle considerazioni più significative sul tema di questo documentario. Cataldo legge ai suoi studenti il primo articolo della Costituzione Italiana: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Eppure…
L’interesse di Brunella Filì per il tema del lavoro non si è esaurito: la regista sta lavorando a un nuovo progetto su una donna del Sud che vuole lavorare nel settore della pesca e che deve fare i conti con discriminazioni di genere, in un settore dominato dagli uomini.
Guarda il trailer di Emergency Exit: Young Italians Abroad:
Emergency Exit: storie di giovani italiani all’estero è disponibile su Google Play o su iTunes.
L’autore: Dominique Aponte è una studentessa di italiano come seconda specializzazione della Montclair State University (NJ).