Capitolo Uno
L’altalena
“Andrea, ci ho pensato e mi è venuta un’idea: la professoressa falla apparire su un’altalena dondolante, con le corde ricoperte di fiori colorati. Fissata sopra il letto dello studente. In voice over le fai declinare un verbo in greco, un attimo prima che le sue gambe tese entrino in campo – mi disse, divertito come un bambino – vedrai come funziona meglio. Il resto va benissimo così com’è”.
Ma questo succedeva l’anno dopo. Dobbiamo fare un passo indietro.
Era caldo, troppo caldo per essere metà maggio. Il badge che portavo al collo mi rimbalzava sul petto roteando su se stesso, mentre di corsa raggiungevo quella saletta fuori mano, un po’ in ritardo, insieme a due amici allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia (la Scuola Nazionale di Cinema), di Roma. Era il 2004, eravamo a Cannes e stava per iniziare la replica di un film che avrei ascritto, di lì a due ore, alla lista dei più importanti della mia vita. Non solo per le qualità e i pregi oggettivi della pellicola che è quanto di più vicino alla mia personale concezione di Cinema fondata su una commistione misuratissima di forma e contenuti, sonoro ed immagini, ma anche perché a posteriori si determinò quale segnale, quale antefatto entusiasmante di ciò che sarebbe successo in seguito. Il film era Le conseguenze dell’amore. L’autore, Paolo Sorrentino.
Andrea Lodovichetti. Foto: Wilson Santinelli
Poco meno di un anno dopo, durante il corso di studi al Centro Sperimentale, iniziò per la classe di regia e per quella di sceneggiatura un laboratorio sul piano-sequenza. Questo prevedeva la scrittura e la realizzazione, da parte di ogni allievo coinvolto, di un mini cortometraggio da girare appunto senza stacchi e senza interventi di montaggio. Ogni anno un professionista del Cinema italiano veniva chiamato a tenere questi workshop per gli allievi del II anno della scuola. Quell’anno toccò… a Paolo Sorrentino! Una coincidenza meravigliosa: il regista che mi aveva folgorato con la sua ultima pellicola a Cannes l’anno precedente, stava per concederci la possibilità di lavorare con lui gomito a gomito per un trimestre. Preso da incontenibile e ragionevole euforia, solo qualche giorno dopo la presentazione delle linee guida del laboratorio da parte di Paolo, consegnai il copione… finito. In largo anticipo sui tempi previsti. Era uno script ispirato alla piece teatrale di un artista italiano molto noto, Giorgio Gaber in cui una serie di personaggi strampalati si alternavano nella fantasia notturna di un adolescente. Con l’aggiunta della famosa altalena, il corto era pronto per essere girato e la piena sintonia con Sorrentino confermata.
Capitolo Due
Sei “quello nuovo” e dovrai dimostrare che vali
Paolo avrebbe iniziato le riprese de L’amico di famiglia a metà settembre. Dunque si trovava, in quei giorni di aprile, in fase di pre-produzione. Fu un vero colpo al cuore quando mi disse che aveva già parlato con la preside della scuola in merito ad una mia partecipazione come assistente alla regia per quel progetto. E, come è ovvio immaginare, risposi positivamente ancor prima che lui finisse di formularmi la proposta. Anche Nicola Giuliano, produttore di Sorrentino sin dai suoi esordi e docente di Produzione al Centro Sperimentale, caldeggiò la mia partecipazione al film. Il 20 settembre avrei finito di girare un mio cortometraggio e poi mi sarei fiondato sul set di Nicola e Paolo, in una cittadina poco lontana da Roma. Non vedevo l’ora.
Andrea Lodovichetti e Paolo Sorrentino sul set. Foto: Ferran Paredes
In quelle settimane di riprese, potei toccare con mano quanto geniale (e allo stesso tempo pignolo ed attento) potesse essere un regista. Quanto grandioso fosse Paolo Sorrentino. E quanto imponente ed impegnativo fosse un set cinematografico. Imparai tantissimo da quell’esperienza. Truffaut diceva che il regista è colui al quale tutti fanno continuamente domande; colui che deve necessariamente tenere tutto unito. Vedendo Paolo al lavoro, capii che le parole del maestro francese erano tutt’altro che esagerate. Vedendo Paolo al lavoro, trovai conferma di alcuni elementi fondamentali per chi vuole fare questo mestiere: ci vogliono idee chiare, determinazione, piglio sicuro. Doti che a Paolo sicuramente non hanno mai fatto difetto. La pignoleria, la severità, una certa autorità (attenzione, che non diventi autoritarismo!) credo siano condizioni necessarie su ogni set. È l’unico modo per avere il comando di una nave che solca mari piuttosto burrascosi. Paolo una volta disse che il Cinema è l’unico mondo in cui si può esercitare una necessaria dittatura senza sentirsi in colpa. È una frase che sembra inutilmente iperbolica, letta superficialmente. In realtà non lo è affatto: sei in ogni caso il comandante, e anche se il film è un colossale lavoro di gruppo sarai tu, regista, a doverne rispondere. Non è facile mantenere la concentrazione, ma è necessario che lo si faccia, nonostante tutto.
Andrea Lodovichetti e Paolo Sorrentino sul set. Foto: Ferran Paredes
Osservai molto Paolo sotto questo aspetto, studiai a fondo l’atteggiamento di colui che non può non essere deciso ma al contempo non deve essere dispotico. È proprio per questo che mi considero molto fortunato per aver potuto conoscere non solo il valore artistico di Sorrrentino, ma anche quello umano. Ricordo che poco prima di iniziare le riprese, mi disse: “Andrea: non sarà facile, entrerai in una squadra già ben rodata. Tu sei l’elemento nuovo e dovrai dimostrare che vali. Non dovrai arrenderti. Mai”. Al di la’ del fatto che mi trovai benissimo con tutta la troupe da subito, questo suo calore quasi familiare mi fece molto piacere: avevo capito che non avevo di fianco solo un “capo”, ma anche un fratello maggiore. Un fratello che aveva già passato quello che io mi accingevo a vivere per la prima volta e voleva in qualche modo mettermi in guardia dandomi al contempo le giuste motivazioni e gli stimoli più adeguati per perseverare. E questo non valeva solo per il suo film. Ma dal suo film… in poi.
Fu un’avventura stancante, perché per quanto relativa possa essere la tua prima esperienza in un set quanto a responsabilità dirette, la tua figura di assistente è in qualche modo parte di un organico che non può prevedere errori. Soprattutto in una struttura in cui il regista esige il controllo diretto su ogni aspetto, senza sottovalutare il minimo dettaglio.
Capitolo Tre
Aspetta, devo dirti un paio di cose
Due anni dopo, fui di nuovo richiamato per un altro suo film. Era già iniziata la preproduzione per una pellicola molto più grande, costosa, ambiziosa e complessa delle precedenti: Il Divo, la storia di una delle figure più controverse ed appassionanti della storia della Repubblica italiana: Giulio Andreotti. Una dimostrazione di stima, un attestato di fiducia non da poco nei miei confronti. Accettai di buon grado, pur sapendo che l’impegno sarebbe stato di gran lunga maggiore rispetto a L’amico di famiglia.
In quella circostanza successe un’altra cosa a mio modo di vedere straordinaria, relativa a quanto ccennavo in merito al valore umano di Sorrentino. Ricordo che si era in piena, frenetica preparazione, ed ogni reparto aveva – come sempre – le proprie gatte da pelare. Eravamo a qualche giorno dall’inizio delle riprese. Ricordo che in un pomeriggio particolarmente movimentato, Paolo era in riunione con i capi reparto, quando mi intravide da una fessura della porta, mentre archiviate le schede dei piccoli ruoli, le comparse, le convocazioni e quant’altro facente parte delle mie mansioni dirette, mi apprestavo a tornare a casa. Sospese la riunione, mi raggiunse alla mia scrivania, mi invitò a seguirlo in un’altra stanza. Doveva dirmi un paio di cose… dei consigli ‘urgenti’. E me li voleva dire subito, senza aspettare l’indomani. Il fratello maggiore, appunto: colui che ha delle priorità umane dalle quali scaturisce ogni scelta su una scala di importanza che non può e non deve essere messa in discussione.
Con Il Divo Paolo, più o meno indirettamente, mi ha insegnato a “vedere” le scene prima del loro effettivo concepimento, a plasmare i personaggi. Mi ha insegnato, come solo i grandi in passato riuscirono, il senso del ritmo, il delicatissimo rapporto tra musica, sonoro ed immagini, i silenzi. La macchina da presa quale personaggio vero e proprio. E, soprattutto, l’importanza della scrittura “che non recuperi strada facendo, se la fai male”.
La premiazione a Cannes per del Looking for a Genius Award. Andrea Lodovichetti riceve il premio da Spike Lee
L’anno successivo, sempre in quest’ottica di intrecci più o meno casuali (laddove qualcuno dice che il caso è solo un artefizio che un Dio usa per restare anonimo), entrambi ci (ri)trovammo a Cannes. Lui con Il Divo, io ad un festival parallelo con Sotto il mio giardino, il cortometraggio che realizzai come saggio di diploma al Centro Sperimentale. Nuovamente a Cannes, nuovamente ‘insieme’, come 4 anni prima, quando tutto… iniziò. Mi piace pensare che ci siamo portati fortuna a vicenda: lui vinse il premio della giuria, io vinsi il primo premio Looking for a Genius Award che mi fu consegnato personalmente da Spike Lee, presidente della giuria. Lo stesso successe l’anno dopo, estate 2009: il Golden Globe italiano, premio assegnato dalla stampa estera. Paolo con Il Divo vinse il premio come miglior sceneggiatura, io con Sotto il mio giardino (qui sotto il trailer) vinsi il premio come miglior cortometraggio (e ricordo che nel mio discorso dedicai l’importante riconoscimento proprio a Paolo e Nicola, tra gli altri).
https://youtube.com/watch?v=6qHpYUTUIc0
Dopo Il Divo non ci sono state più occasioni per lavorare insieme. Infatti, quando nel 2010 girò This Must be the Place, io mi trovavo a New York, in fase di ‘osservazione’, in funzione di un imminente trasferimento oltreoceano per lo sviluppo di alcuni progetti. Cosa che successe, tre annni dopo, mentre Paolo stava girando La grande bellezza.
Domenica 2 marzo ho rivissuto, per filo e per segno e come in una specie di deja-vu, la scena che avevo già ‘visto’ ai tempi della saletta di quel cinema di Cannes. Avrei scommesso che sarebbe successo. Vedere colui che mi diede la possibilità di incrociare il mio percorso con il suo, volendomi incoraggiare e consigliare, mettendomi in guardia da questo o quell’altro aspetto di un mondo non sempre sano che è quello del cinema, avendo sempre la parola giusta al momento giusto in ogni circostanza umana e professionale, mi ha fatto l’effetto che immagino possa fare ad un bambino che vede il fratello maggiore ricevere una medaglia al valore per aver salvato un cucciolo da un palazzo in fiamme: l’eroe.
Capitolo Quattro
Vai e prendi
Paolo Sorrentino (e con lui, Nicola Giuliano), ora più che mai, incarna il sogno. Italiano, ma non solo. Paolo Sorrentino, artista a tutto tondo, figura inevitabilmente complessa in quanto tale, riesce ad esprimere, nel suo essere ed in quello che ha saputo dimostrare, ciò che ho sempre considerato la massima cardine della mia esistenza: “Nei tuoi sogni, non badare a spese”. La sua carriera è stata un’escalation di successi, ma anche di difficoltà direttamente proporzionali e strettamente legate ad essi. Paolo Sorrentino, anche conoscendo la sua storia personale d’infanzia, è davvero l’uomo del sogno, del coraggio, del “nonostante tutto”.
Mi viene in mente una frase di Leonardo Da Vinci, mai tanto attuale: “gli ostacoli non mi fermano. Ogni ostacolo si sottomette alla rigida determinazione. Chi guarda fisso verso le stelle non cambia idea”.
Andrea Lodovichetti sul set. Foto: Domenico Angelillo
Ricordo me stesso a 8 anni, occhiali da vista, scarpe perennemente slacciate, un quadernino rosso in mano. Anche con le belle giornate, ho sempre preferito sedermi di fronte a quel nuovo apparecchio che si chiamava videoregistratore. A guardare film. Paralizzato dall’emozione. Osservando personaggi, inquadrature, colori, movimenti, musiche. Sognando ad occhi aperti. Pensando a quante possibilità ha il cinema di raccontare storie. Una, dieci, cento… mille storie tutte insieme. Molto tempo è passato, ma fu in quei giorni che decisi di voler diventare regista, per fare sognare le persone, così come io sognavo vedendo i film. Sono felice del percorso compiuto finora; proprio io, quel bambino che di nascosto rubava le VHS del papà per guardarle e riguardarle, continuamente, per giorni interi.
Come accennavo all’inizio, ci sono stati film che hanno cambiato la mia vita per sempre, e non finirò mai di ringraziare tutti coloro i quali hanno saputo farmi capire il valore estetico, ideologico, storico e soprattutto umano di un film. Paolo Sorrentino si è artisticamente e prepotentemente insinuato nella mia vita e nella mia carriera, in modo indelebile, instillandomi ottimismo, infondendomi quella determinazione indispensabile di chi non vuole (perché non può) rinunciare a sognare.
Nei momenti di difficoltà lo immagino, con il suo sguardo inconsapevolmente minaccioso, a dirmi: “Se pensi di meritare una cosa, non chiederti perché non te la danno. Vattela a prendere e basta”.
Anche grazie a Paolo, a Nicola, a questi immensi guerrieri-sognatori continuerò a lavorare e ad alimentare la mia voglia di esprimermi, di raccontare storie e di sognare. Con la stessa, sana innocenza del bambino con il quadernino rosso. Che è ancora dentro di me. E lo sarà per sempre.
W l’ Italia. W il Cinema. Grazie, Paolo Sorrentino.
La versione originale di questo articolo, in Inglese, è apparsa sul social network dedicato al cinema, Stage 32.
Foto: Paolo Laddomada
*Andrea Lodovichetti è nato a Fano nel 1976 ed attualmente vive a New York. Si è diplomato in Regia Cinematografica al Centro Sperimentale di Cinematografia. Dal 2002 ad oggi i lavori di Andrea hanno ottenuto circa 80 tra premi e menzioni, tra i quali l’Italian Golden Globe (2009) e il Looking for Genius Award (Babelgum Film Festival). Numerose ed importanti anche le selezioni in Festival Internazionali in ogni parte del mondo. Inserito per due edizioni consecutive (2008 e 2009) nell’annuario Youngblood, dedicato ai giovani talenti italiani dell’anno, nel 2010 è stato selezionato tra i 200 migliori talenti ad un grande evento nazionale che ha avuto luogo a Roma (TnT Talent) dedicato a chi si è distinto a livello internazionale nei campi dell’arte, lo sport e la ricerca.