L'occasione è quella della conversazione che si è tenuta il 29 aprile alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University su due libri a confronto: Via da noi. Italiani ma in America (Far From Us) di Elena Attala Perazzini e Il paese dove tutto è possibile (The Country Where Anything is Possible) di Elisa Simonelli.
Appuntamento per parlare di un tema che ha tante storie e tanti punti di vista, quello degli italiani che “ce la fanno”, venendo in America o restando in Italia, ognuno nel proprio campo, ognuno con una motivazione diversa, ognuno per la propria strada.
La conversazione, che fa parte di una serie intitolata "Eppur si muove" introdotta dal direttore della Casa Italiana Stefano Albertini, ha visto la partecipazione, oltre che delle due autrici e del Professor della NYU Antonio Monda che ha moderato l'incontro, anche di alcuni dei protagonisti delle storie e delle interviste di cui i libri si compongono – ha offerto molti spunti interessanti che meriterebbero senz'altro un ulteriore approfondimento e una più attenta e vivace discussione. Purtroppo non ci sono stati i modi e i tempi per un confronto, soprattutto con il numeroso pubblico presente, su un tema ampio e complesso che ha sollevato molte domande e anche qualche perplessità.
Via da noi è un libro che si compone di racconti e cronache, che mescola la verità giornalistica alla scrittura narrativa, intrecciando fatti e finzione in quello che sono dei ritratti di italiani venuti in America per ragioni economiche, di opportunità, ma soprattutto per quelle che sono le ragioni del cuore, che hanno a che fare con la ricerca di se stessi più che la ricerca di qualcosa fuori da sé, la ricerca di un altrove rispetto a quell'Italia in cui non potevano o non volevano più restare.
Italiani ma in America, recita il sottotitolo del libro di Elena Perazzini, perché anche se in America si rimane italiani, e si finisce per essere divisi in due, spaccati tra due continenti, due culture, tra l'ostinazione americana, pragmatica e ottimista, del guardare sempre avanti, e quel fardello del passato così squisitamente italiano che ci portiamo sempre appresso, che ci dà quella profondità che spesso è difficile trovare qui ma che ci paralizza, cristallizzati in un eterno presente.
Gli italiani raccontati da Elena Perazzini vivono in momenti e luoghi diversi d'America, ciascuno con il suo passato e il suo possibile futuro, e nelle pagine del libro diventano personaggi di tante micro storie che compongono un'affresco italiano nell'America di oggi.
Il paese dove tutto è possibile di Elisa Simonelli parte invece dall'idea che non occorre andare in America per riuscire a realizzare il proprio sogno o obiettivo, perché è possibile farlo anche in Italia, il paese appunto dove tutto è possibile. Se il presupposto è lodevole, e anzi necessario visti i tempi – e cioè che con determinazione, lavoro e qualche occasione è possibile farcela anche in Italia senza padrini e raccomandazioni, o senza essere figli d'arte – e occorre infondere ottimismo e portare esempi positivi a un paese scoraggiato e fortemente in crisi, le perplessità sono motivate da quello che è un punto di vista molto parziale in un'indagine non troppo rigorosa che parte da dati ISTAT e si preannuncia come giornalistica mentre non tiene conto di variabili che sono fondamentali in un'analisi sociale come quella che si propone Elisa Simonelli nelle 22 interviste (tra il letterario e il glam) che compongono il libro.
La prima variabile è quella anagrafica: sebbene l'obiettivo sia quello di dimostrare che ci sono esempi illustri che ce l'hanno fatta in Italia prima dei quarant'anni e senza essere figli d'arte, è innegabile che Pupi Avati, Dante Ferretti, Umberto Veronesi, Achille Bonito Oliva, Giancarlo Giannini (per citare solo alcuni nomi) ce l'hanno fatta in anni in cui l'Italia era semplicemente un altro paese; non è infatti paragonabile ad oggi il contesto economico prima di tutto, e sociale, in cui loro come altri si sono affermati ciascuno nel proprio campo.Tra le generazioni più giovani, ci sono esempi di carriere e risultati brillanti che sono eccezioni nel proprio percorso, non la regola (tra gli altri, il vicedirettore del quotidiano La Repubblica e conduttore di Ballarò Massimo Giannini, Giorgio Mortari, fondatore del festival Dissonanze e Federico Marchetti fondatore di Yoox). Ma l'eccezione è ovunque e c'è sempre stata, il problema in Italia è un sistema che non funziona, un sistema-paese che non investe nella formazione e non incoraggia percorsi professionali e produttivi virtuosi all'interno di un mercato del lavoro sano e trasparente.
Sarebbe poi interessante approfondire anche la questione del genere legata al lavoro: problema non solo italiano, ma come dimostra lo stesso libro (solo 3 sono le donne intervistate) percentualmente sono molto poche le donne che riescono ad affermarsi professionalmente, e solitamente non c'è parità nel trattamento economico rispetto agli uomini.
Una delle donne intervistate è Elisabetta Volpe: ricercatrice di neuroimmunologia alla Fondazione Santa Lucia di Roma era tra i partecipanti alla conversazione alla Casa Italiana e ha raccontato il proprio percorso professionale. Dopo anni di ricerca con pochissimi soldi e attrezzature in Italia, è stata ammessa all'Institut Curie di Parigi dove ha lavorato, con ben altri mezzi, per tre anni. Ha deciso poi di tornare in Italia, perché è vero che legami familiari e amici sono spesso determinanti nelle scelte. E qui ha cominciato a lavorare con successo alla Fondazione Santa Lucia, è riuscita ad avere un finanziamento per la sua ricerca con cui ha già ottenuto risultati importantissimi nel proprio campo. Sebbene questa sia una delle tante storie di merito e successo che ci sono nel nostro paese (che sinceramente fanno bene al cuore), guardando le migliaia di ricercatori che lottano per andare avanti tra precariato, scarsezza di risorse e con stipendi ridicoli, non si può non chiedersi se le cose sarebbero andate allo stesso modo se Volpe non avesse lavorato a uno dei principali centri di ricerca europei a Parigi.
Ci sono sicuramente risposte valide a questa e altre domande, e nonostante le personali perplessità quello di Elisa Simonelli è un punto di vista interessante e un utile punto di partenza, e speriamo veramente ci siano presto altre occasioni di confronto su questi temi.
Intanto è Mario Fratti, noto drammaturgo italiano in America, columnist della VOCE, che è anche uno dei personaggi di Via da noi, che ci ricorda una legge universale, determinante per lui e la sua lunga e difficile gavetta americana e per chiunque si affacci su questa sponda dell'oceano come anche per chi rimane in Italia e continua a lottare ogni giorno per la dignità del proprio lavoro e il rispetto delle proprie scelte: pur vacillando, perseverare sempre.
Forse è questa la lezione principale di questa “conversazione italiana a New York”.
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