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April 4, 2014
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Italiani di New York unitevi per i programmi bilingue

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Ilaria Costa, direttore esecutivo IACE e la vice console, Lucia Pasqualini

Ilaria Costa, direttore esecutivo IACE e la vice console, Lucia Pasqualini

Time: 3 mins read

 

Era gremito giovedì sera il consolato di New York per l’incontro finalizzato alla creazione di classi bilingue, italiano-inglese, nelle scuole pubbliche cittadine, dal titolo The Advantages of Bilingualism / How to create an Italian DLP in your local PS in NYC.

Per iniziativa del consolato stesso e dell’Italian American Committee on Education (IACE), l’incontro voleva presentare i vantaggi dei programmi bilingue e allo stesso tempo sondare il campo e verificare l’interesse della comunità italiana nei confronti dei dual-program, programmi di studio in doppia lingua nelle scuole pubbliche cittadine, previsti e finanziati dalla città di New York. E a giudicare dalle presenze, l’interesse esiste ed è alto.

Organizzato in tre diversi panel, l’incontro ha visto la partecipazione di circa duecento ospiti e gli interventi di un folto gruppo di relatori che hanno condiviso la propria esperienza con i programmi bilingue. Dopo il saluto del console generale, Natalia Quintavalle, introdotto dalla vice console Lucia Pasqualini e dal direttore esecutivo di IACE, Ilaria Costa, che si sono spese in prima persona per l’organizzazione dell’evento, l’incontro si è aperto con l’intervento di Bahar Octu-Grillman docente del Mercy College, specializzata in istruzione bilingue che ha illustrato i vantaggi del bilinguismo spiegando che negli USA sono tantissime le famiglie che, a casa, parlano una lingua diversa dall’Inglese e che sono quindi interessate alla possibilità che i propri figli seguano percorsi di studio che, pur rimanendo in linea con i programmi richiesti dagli standard americani, siano in grado di includere la lingua dei paesi d’origine. Per quanto riguarda l’Italiano, i numeri dimostrano che è necessario che l’uso della lingua in famiglia venga poi supportato da programmi scolastici. Infatti, ha fatto notare Bahar Octu Grillman, dal 2000 al 2011, l’uso dell’italiano nelle famiglie residenti in America è diminuito del 28 per cento.

Tuttavia le classi blingue, per quanto nascano generalmente per iniziativa di comunità di immigrati, non sono necessariamente rivolte sono a queste: l’istruzione in doppia presenta vantaggi per chiunque e non solo per gli studenti stessi. Come hanno spiegato nel primo panel i genitori coinvolti nella creazione di dual program nelle scuole pubbliche di New York, tra i vantaggi dei programmi bilingue, c’è il maggiore coinvolgimento delle famiglie nelle attività della scuola, oltre che un miglioramento complessivo dei servizi e del rating della scuola stessa.

Il secondo panel è stato strutturato intorno agli interventi di educatori e amministratori scolastici impegnati nella creazione di programmi bilingue. Fabrice Jaumont, responsabile istruzione dell’ambasciata francese a New York, è da tempo impegnato in prima persona per la creazione di classi inglesi-francesi nelle scuole pubbliche newyorchesi. In questo percorso appena intrapreso dalla comunità italiana newyorchese, è stata proprio l’esperienza francese ad essere presa ad esempio. “Abbiamo iniziato la nostra rivoluzione francese sette anni fa da Carroll Gardens – ha detto Fabrice Jaumont – Quello che sta facendo la città di New York con i programmi bilingue è davvero speciale e ha un alto valore, soprattutto perché si tratta della scuola pubblica. Tanto che il nostro prossimo passo potrebbe essere quello di riportare questa esperienza in Francia, dove non ci sono programmi del genere”.

Claudia Aguirre, CEO dell’Office of English Language all’interno del Department of Education, ha spiegato che la creazione di programmi bilingue è un lavoro di comunità, che parte dal basso e che esistono molte possibilità e strutture cui fare riferimento durante il percorso per arrivare ai dual program. “In città abbiamo circa 400 programmi bilingue già attivati. La maggior parte è in spagnolo e cinese, ma esistono anche altre realtà in altre lingue. L’importante è che la comunità e le famiglie sappiano che il loro impegno deve rimanere costante per tutta la durata del ciclo di studi”.

Robin Sundick, preside del PS 84 dell’Upper West Side, dove è stato da tempo avviato un programma in spagnolo, ha raccontato la sua positiva esperienza e così ha fatto Anna Cano-Amato preside de PS 110 di Broooklyn ricordando che, da parte dei genitori, è fondamentale che ci siano passione, organizzazione e impegno. Delicato il passaggio per individuare gli insegnanti giusti: “Bisogna assicurarsi che siano davvero bilingue – ha detto Anna Cano-Amato – e non che semplicemente conoscano bene la lingua e che abbiano esperienza nell’insegnamento in doppia lingua. Inoltre devono essere in possesso della certificazione per l’insegnamento nella città di New York”.

Infine il terzo panel ha visto la partecipazione di Jack Spatola, preside del PS 172 di Brooklyn e presidente della FIAO, Federation of Italian-American Organizations, oltre che dei tre genitori che hanno per primi manifestato interesse verso la creazione di programmi di italiano e che hanno contattato Ilaria Costa dello IACE per avviare questo percorso. Piera Bonabera, Martina Ferrari e Marcello Lucchetta hanno spiegato i presenti quali sono i passaggi da fare per trasformare in realtà le classi in italiano e inglese nelle scuole newyorchesi. I tre genitori hanno creato un blog attraverso il quale stanno raccogliendo manifestazioni di interesse e dati per individuare le zone con maggiori richieste e le scuole più adatte. Il 20 aprile il gruppo di genitori pubblicherà i risultati della raccolta dati per poi procedere all’individuazione della (o delle) scuola dove avviare le pratiche per la richiesta di creazione del programma. “Voglio che i miei figli crescano in una comunità con altri bambini italiani” ha detto Marcello Lucchetta, uno dei tre genitori, ricordandoci che parlare una lingua non è soltanto parlare una lingua, ma far parte di una cultura, di una comunità, di un mondo.

 

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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