“Non riusciamo a credere di aver raggiunto Roma dopo tanti problemi e difficoltà. Non pensavamo di farcela. Abbiamo pianto, abbiamo impiegato due giorni per raggiungere Kabul, dove siamo rimaste quattro giorni prima di riuscire a partire. Nella ressa dell’aeroporto avevamo paura di essere calpestate. Ogni giorno tornavamo al gate per cercare di entrare. Abbiamo provato più volte prima di riuscirci” queste le dichiarazioni raccolte dall’ANSA il 28 agosto all’aeroporto di Fiumicino da parte di due sorelle giornaliste Arezu e Ghazal.
Il loro racconto procede descrivendo le difficoltà del viaggio affrontato da Herat, loro città natale, fino a Kabul, più di 600 km in linea d’aria e le insormontabili prove affrontate nell’area antistante l’aeroporto una volta giunte nella capitale afghana.
All’indomani della presa del potere da parte dei talebani hanno dovuto iniziare a cambiare casa per non essere individuate e catturate in quanto giornaliste, che per i vincitori equivale ad essere condannati a morte in quanto donne e, soprattutto, giornaliste.

Nonostante tutto, si ritengono molto fortunate e ringraziano particolarmente il Female Engagement Team italiano, con cui sono riuscite a mettersi in contatto. Poi c’è stata l’enorme difficoltà per farsi riconoscere fuori all’aeroporto, a causa dell’enorme ressa che vi era accalcata e anche qui si ritengono, ancora una volta, molto fortunate, perché il loro riconoscimento e la loro individuazione sono avvenuti solo poche ore prima che si realizzasse l’attentato all’aeroporto di Kabul.
Un solo grande rammarico: in Afghanistan hanno lasciato un padre e un fratello che, con altre migliaia di collaboratori, sono rimasti là in quella terra abbandonata in modo incivile, improvviso e rapido dagli occidentali.
La condanna morale, oltreché storica, se la porteranno per sempre gli Stati Uniti e il loro comandante in capo, non tanto per la decisione di ritirarsi, bensì per il modo disordinato messo in atto in così poco tempo. Comunque non va dimenticato il “solito” modo di decidere e di non comunicare e far partecipare quelli che, eufemisticamente, alla Casa Bianca ed al Dipartimento di Stato chiamano “gli alleati”: Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna e Spagna che in questo, come in altri casi, più che da alleati vengono trattati e si fanno trattare da vassalli.