Sembra quasi uno scherzo del destino quello che ha portato via Robert Hollander, il decano dei dantisti americani, proprio nel settimo centenario della morte del grande poeta fiorentino.
Aveva 87 anni e almeno 50 di questi li ha passati a scrivere, studiare e tradurre le opere di Dante, pubblicando quattro monografie, un centinaio di articoli e una storica traduzione inglese della Commedia portata avanti insieme alla moglie Jean.
La sua passione per la letteratura, materia che ha insegnato a Princeton prima come professore e poi come direttore di dipartimento, gli è valsa il riconoscimento del Fiorino d’Oro nel 2008 da parte della città di Firenze, un premio destinato a cittadini italiani o stranieri che, attraverso la loro opera, abbiano dato lustro alla città e reso un servizio alla comunità internazionale.
Era quel tipo di professore che agli studenti, per comprendere fino in fondo ogni grande libro, consigliava anni di rilettura e riflessioni. Esattamente ciò che ha fatto lui nello studio del Sommo poeta, al quale negli anni ’80 ha anche applicato, primo su tutti, la tecnologia informatica, digitalizzando i commentari della Divina Commedia con apparecchi che all’epoca avevano la dimensione di un frigorifero.
Ma il Professor Hollander non è stato soltanto un intellettuale illuminato profondamento innamorato della sua materia. Per molti ha avuto il ruolo di guida, una figura capace di ispirare generazioni di studenti trattati con la stessa serietà con cui venivano approcciati i classici. Dal 1977, tra gli ex alunni era diventata ormai una tradizione annuale tornare sul sito delle lezioni di Hollander e leggere Dante tutti insieme.
Nato a Manhattan nell’estate del 1933, suo padre, Robert Sr., era un finanziere con un seggio alla Borsa di New York, mentre sua madre, Laurene McGookey, un’infermiera divenuta casalinga. Laureato a Princeton nel 1955, proprio lì, nel campus che lo ha accompagnato per tutta la vita, ha conosciuto Jean, con cui è convolato a nozze nel 1964. È stata proprio lei, nel febbraio 1997, a far scoccare la scintilla per iniziare il progetto di traduzione dell’opera dantesca. Un lavoro enorme, nato per caso dalla lettura di un’altra traduzione dell’opera tra gli scaffali di una biblioteca.
Spesso ospite in Italia, per anni è rimasto in contatto con chi della recitazione delle cantiche ha fatto un cavallo di battaglia: Roberto Benigni. “È un accademico per natura – aveva detto al New York Times il professore in occasione della presentazione della tournee TuttoDante di Benigni – a volte mi telefona solo per il piacere di discutere la possibile interpretazione di un brano della Divina Commedia“. Fu proprio l’attore toscano, nel 2011, a proporre in Italia “La Commedia di Dante Alighieri”, uno scritto di Hollander che diventò così il primo commento di uno studioso americano a entrare nei confini nazionali in lingua italiana.
“Ha lavorato così duramente per raggiungere i suoi obiettivi – ha ricordato Albert Sonnenfeld, ex alunno di Hollander diventato poi suoi collega a Princeton – e ha raggiunto traguardi al di là di ogni immaginazione”. Non è un caso che il suo corso su Dante fosse affettuosamente chiamato “la chimica organica delle humanities”. Il nome giusto per chi, nella letteratura, ha immerso tutto se stesso.