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February 10, 2021
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L’America del dopo Trump riparte con lo spot di Bruce Springsteen

Nel Super Bowl è stato il più bel discorso che Joe Biden (non) abbia fatto. Suona perfetto nella bocca di Bruce, anche se è stato scritto per lui ma non è suo

Francesco TaddeuccibyFrancesco Taddeucci
Time: 4 mins read

Nel 2011, nel mezzo della piena crisi del mercato automobilistico americano e con una Detroit ormai fantasma malconcio della gloriosa Motor Town, la Chrysler celebrava il “meno atteso dei ritorni”: il suo. E lo faceva con un epico spot andato in onda durante il SuperBowl. In un video lungo due minuti, Eminem stuzzicava l’orgoglio di una città e di un’industria intera con le sue parole e la sua musica. La campagna finì per risvegliare l’orgoglio patriottico americano, rigenerando da zero il business Chrysler. Un mese dopo l’uscita dello spot (genialmente chiosato dal claim “Imported from Detroit”), le vendite erano più che triplicate.

Il gruppo e la persona dietro questa operazione erano gli stessi che, dieci anni dopo, avrebbero portato per la prima volta sullo schermo di una pubblicità uno dei più integri rappresentanti del sogno americano: Bruce Springsteen. Anche qui con un filmato lungo due minuti, anche qui naturalmente per un Superbowl, anche qui per ricucire o ricreare, qualcosa.

Chi ha seguito Springsteen dai suoi esordi sa bene che questa notizia sarebbe stata improponibile solo fino a qualche anno fa, forse addirittura qualche mese fa. Nonostante sia una delle icone più famose al mondo, l’uomo ha sempre conservato una sua riservatezza speciale. Considerate che nei primi anni della sua carriera si sapeva sempre molto poco di lui; a metà degli anni Settanta girava voce di concerti leggendari, ma era difficilissimo intervistarlo o trascinarlo in occasioni pubbliche. Lui è uno che ha costruito con molta attenzione il suo mito un pezzo alla volta, un concerto dopo l’altro, o meglio una messa (come le chiamiamo noi fan) dopo l’altra.

Poi le maglie si sono inevitabilmente allargate; già da molti anni Bruce rilascia interviste e si fa vedere in pubblico o in TV. Ora suona addirittura per i Presidenti. Ma nessuno si sarebbe aspettato che arrivasse a fare uno spot.

Bruce Springsteen in una immagine dello spot per Jeep

Invece eccolo con la sua Jeep CJ-5 personale che possiede dal 1980, e che in verità si vede molto poco nello spot. La sua voce da predicatore bianco di una America onesta e muscolare, energica ma rispettosa, di nuovo aperta al mondo ma così chiusa e divisa nelle sue lotte interne, risuona severa lungo i due minuti di video. Si parte dalla piccola cappella che si vuole che sia il centro esatto degli USA, e si analizza quanto questo “Middle” sia diventato scomodo, quasi inaccessibile, negli Stati Uniti di oggi. E si chiude celebrando i Re-United States of America, condizione auspicabile ma tutt’altro che raggiunta.

Per molti è stato il più bel discorso che Joe Biden (non) abbia fatto. Suona perfetto nella bocca di Bruce, anche se è stato scritto per lui, ma non è suo. Ancora una volta è un’automobile a prendere una posizione politica e sociale in America, cosa impensabile qui da noi in Italia.

Il CMO del gruppo FCA, Olivier Francois, lo stesso che aveva inseguito e raggiunto Eminem, inseguiva Bruce da un decennio almeno. I creativi italiani che hanno lavorato per lui in questi anni raccontano di una sua ostinata determinazione nel portare il boss a bordo di una delle sue auto così americane: venivano invitati a leggere la sua biografia per trovare agganci utili a scardinare le sue resistenze.

Dopo l’ennesimo rifiuto, i creativi della Doner di Detroit sembrano trovare una chiave per tornare all’assalto di Jon Landau, il suo storico manager: la storia di una chiesetta in mezzo all’America, simbolo di un luogo quasi inesistente, punto di ripartenza per un Paese intero. Il manager riceve lo script, risponde “non vi prometto niente, ma ci provo” e a sorpresa, pochi giorni dopo la fine dell’anno maledetto, ecco il segnale che il 2021 sarà un anno in cui succedono cose: lo spot si fa.

Mancano pochi, pochissimi giorni al Super Bowl, quindi tutto viene prodotto in fretta, ma il risultato è ottimo.

È possibile che la pandemia e i mancati introiti per il “brand-Springsteen” abbiano giocato un ruolo decisivo nel convincere Bruce a scendere a patti con la pubblicità. È anche possibile che il largo compenso (non rivelato) percepito dalla rockstar finirà per sovvenzionare parte dell’industria dei live show rimasta a terra durante la pandemia. Ma ancora più probabile ed evidente è il fatto che questo spot sembra quasi fatto da Jeep per Bruce, e non viceversa. Non scalfisce il mito, semmai lo accompagna. Segno che in comunicazione è tutto accettabile se si resta fedeli al proprio tono di voce e alla propria integrità. E ancora una volta l’America che deve ripartire, lo fa a bordo delle sue automobili.

AGGIORNAMENTO.

Questo articolo è stato scritto ben prima che uscisse la notizia, mercoledì 10 febbraio, che Bruce Springsteen è stato arrestato lo scorso novembre in New Jersey per essere stato trovato alla guida in stato di ubriachezza. Sicuramente una notizia finita sui giornali “a scoppio ritardato” e che ci fa ribadire come lo spot abbia sicuramente un peso politico in questa America ancora spaccata dal trumpismo. 

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Francesco Taddeucci

Francesco Taddeucci

Francesco Taddeucci, detto Ted. Cittadino onorario di New York dal 1981, ma lo so solo io. Mi occupo di pubblicità, e sono partner e direttore creativo di un’agenzia di comunicazione indipendente che si chiama SuperHumans. Ho scritto e condotto vari programmi per Radio2, e insegno Creative writing all'università Luiss. E naturalmente sono anche qui: a Roma, New York.

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