La prima volta che ho sentito parlare di David Droga fu per questa campagna di Burger King. Era il 1998, io lavoravo in Saatchi& Saatchi, l’agenzia era ancora indipendente, e David ne era il Direttore Creativo più in voga. Se volevi fare uscire dei pezzi creativi un po’ sopra la media, ti conveniva lavorare da Singapore o nei mercati orientali in espansione.

Ma anche dopo la patatina-fiammifero, David Droga non ha più smesso di fare fuoco, cambiando genere, stile, segnandone per certi versi uno suo personale, creando un vero e proprio brand attraverso il lavoro per altri super-brand.
Ma da ieri c’è un po’ più di sconcerto del solito tra i creativi di mezzo mondo. La notizia è che Accenture Group, uno dei giganti della digital consultancy mondiale (dati) ha acquistato la sua Droga5, uno dei più invidiabili shop creativi del mondo (idee). Rispetto ad altre acquisizioni di questo tipo nella industry, questa fa più effetto proprio per la natura del boss creativo coinvolto, David appunto. Nato professionalmente quando ancora le agenzie pubblicitarie si mantenevano con spot, manifesti e annunci stampa, Droga ha attraversato e dominato il passaggio all’era digitale come pochi altri al mondo.
Curiosamente, per quanto alta sia la sua popolarità e incombente la sua mitologia, l’agenzia conta non più di 600 persone (non tantissime per una fama del genere), sparse in poche sedi, di cui la principalissima a New York. Nel 2018 le revenues sono state di 185 milioni di dollari; tanti, certo, ma pur sempre il 9.8% in meno dal 2017, prima flessione da quando Droga5 esiste. Chissà, forse anche per questo è avvenuto l’abbraccio. Il sito dell’agenzia è sobrio, e anche oggi troneggia un motto che sembra scritto da un diligente capo boy-scout: “We solve problems through creativity and collaboration”.
Ma quelle di Droga5 non sono mai state semplicemente delle campagne; sono spesso state delle case history che hanno fatto storia, specialmente negli USA. Come ad esempio il lancio di Bing “Decode Jay-Z”, o prima ancora — quasi agli esordi — i finti graffiti sull’aereo presidenziale americano, il mitico Air Force One. E poi Under Armour, Amazon Prime, Game of Thrones, o ancora oggi la splendida campagna “Truth” per il New York Times.
Una strada costellata di successi, riconoscimenti, mitologia. Tanto che Droga5 è diventato un po’ un nome-simbolo, un’icona del fare le cose in un certo modo, un idealizzato traguardo usato spesso come esempio (“mica lavori in Droga5” è un tipo di sarcasmo utilizzabile nelle agenzie di mezzo mondo).
Ma soprattutto David Droga è sempre stato un indipendente, fiero della sua solitudine. Un simbolo per tutti quei pubblicitari o comunicatori romantici che potevano sempre pensare “vedi, lui mica si fa comprare”, un po’ come Zola che rifiutò di tornare a fare il bagno nelle sterline della Premier League per rimanere nelle acque cristalline della sua Sardegna. Qualche anno fa un altro baluardo della creatività più pura, l’agenzia BBH, era stata acquistata da Publicis, ma in quel caso si era trattato di una fusione apparentemente più organica, avvenuta in un campo di gioco comune. Altri colossi delle “ideas-first” come Weiden+Kennedy hanno mantenuto fieramente la propria indipendenza, e non sembrano volerci rinunciare.
Ma oggi è accaduto l’imponderabile. Che poi ad analizzarla bene è un’operazione molto ben ponderata: ci guadagna prima di tutto David Droga, che intasca alcuni milioni di dollari restando al suo posto, col suo staff, a fare (probabilmente) il suo lavoro di sempre; forse la sua case history più riuscita. Ci guadagna Accenture, che compra uno dei top creativi e una delle top agenzie mondiali, infilandosi al sesto posto dei grandi gruppi della comunicazione (dopo WPP, Omincom, Publicis, Interpublic, Dentsu) e certamente guadagnando punti in credibilità, e investendo in quel carburante ecologico e sempre utile che sono le idee.
Ci guadagnano probabilmente i clienti di Accenture che oggi possono avere una consulenza un po’ più completa di prima. Il suo CEO ha già dichiarato che da domani la sua società potrà diventare più umana (“improving the full human experience with brands”), denunciando un commovente passo indietro della matematica a favore dei sentimenti. La cosa certa è che ora in molti saranno alla finestra a vedere chi dei due giganti avrà la meglio, e se l’unione farà davvero la forza. Difficilmente ci saranno clamorose rotture, non sembra più questo il tempo. Ci perde forse l’idea romantica di un mestiere che si è evoluto fino a perdere la sua purezza; un modello che ha resistito strenuamente per tanti anni, e poi ha dovuto necessariamente trasformarsi.
Del resto che i dati e le idee viaggino a braccetto è una scoperta che risale ai tempi della sesta o settima stagione di MadMen: acqua calda. E si sa che gli uni aiutano le altre, non potrebbe essere diversamente. Così come è del tutto inutile interrogarsi sui benefici effetti della tecnologia nell’industria creativa.
Il mondo – per quanto dicono sia piatto – continua a girare spinto dai motori che il suo tempo gli offre: possono essere numeri o macchine, dati o alleanze, ma saranno sempre le idee a fare la parte del sole e del vento.
Motivo per cui mi compro David Droga.