Una domenica mattina, il cavallo col carretto era pronto, mio padre mi guarda e capisce la mia intenzione: mi solleva facendomi sedere sul carretto accanto a lui. Partiamo alla volta di Villabate, vicino Palermo. Superiamo la piazza del paese e ci fermiamo davanti a una carnezzeria, ove c’era un uomo seduto su uno sedia: capii in seguito che era il proprietario. Mio padre mi prende per mano e appena giunto al cospetto di quell’uomo, che nel frattempo s’era alzato in piedi, si toglie la coppola e chinandosi gli prende la mano baciandola, dicendo “servo suo sono!”. L’uomo -pago del gesto di mio padre- mi guarda e m’accarezza i capelli: “beddu stu picciriddu!”.
Dopo una breve conversazione, mio padre lo saluta con lo stesso rituale di prima, “Patruni Nino, sabbenerica!”, aggiunse mio padre. Ma prima di salire sul carretto, mio padre si avvede della presenza di un altro signore che abitava di fronte la carnezzeria e lo va a salutare: questa volta niente baciamano.
Entrambe le scene sono nettamente nitide nei miei ricordi: era la fine degli anni 40 in Sicilia, avevo 5/6 anni e quegli uomini erano Antonio (Nino) Cottone, “ U Patri nostru”, uomo di primissimo piano di Cosa Nostra, amico di Giuseppe (Joe) Profaci, nonché suocero di Salvatore Greco il “senatore” e Giovanni Di Peri, anche lui di Cosa Nostra. Furono i primi due uomini d’onore che conobbi e non avrei mai immaginato, che poi da poliziotto in servizio alla Squadra mobile di Palermo, mi sarei occupato della morte di Giovanni Di Peri, ucciso nella cosiddetta strage di Natale del 1981.
Ho voluto fare un cenno alla mia infanzia, per meglio far comprendere in quale contesto umano e sociale fui obbligato ad esercitare la mia professione di poliziotto. A dire il vero le reminiscenze giovanili, mi aiutarono tantissimo nell’espletamento di alcune investigazioni riguardanti le famiglie mafiose da me conosciute sin dall’infanzia. E confesso che Nino Cottone e Giovanni Di Peri, non furono i soli mafiosi conosciuti prima di diventare sbirro: l’elenco è lungo. Infatti, conobbi mafiosi di Bagheria, Bolognetta, Marineo, Brancaccio, e Croceverde-Giardina.
Il motivo di questo ricordo è proprio per ricordare una situazione surreale che accadde a Ciaculli, all’inizio degli anni ottanta, ove un’intera borgata risultava essere sottomessa e prigioniera di un solo uomo, Giuseppe Pino Greco detto “scarpuzzedda” potente e spietato killer di Cosa nostra. Ma ancor prima di addentrarmi nello specifico, occorra che faccia capire per chi non è palermitano, che Ciaculli e Croceverde-Giardina sono due quartieri di una stessa borgata di Palermo. Per anni, ahimè i due quartieri, furono espressione del potere di Cosa nostra: per anni le famiglie Greco di Croceverde-Giardina e i Greco di Ciaculli (lontani parenti tra loro), si fecero la guerra, lasciando sul terreno numerosi cadaveri. Conobbi personalmente soltanto i Greco di Croceverde, a cominciare da Giuseppe Greco, detto “Piddu u Tenente”, e i suoi figli Michele “Papa” e Salvatore “senatore”. Invero, non incontrai mai Salvatore Greco, “Cicchiteddu” e Salvatore Greco “l’ingegnere” entrambi di Ciaculli. Quindi, nel corso della cruenta guerra di mafia dei primi anni ottanta, voluta da Totò Riina, sia io che il commissario di Polizia Beppe Montana, accertammo che il territorio di Ciaculli/Croceverde era completamente in “ mano” alla consorteria mafiosa del posto. Nessun ambulante, che non avesse le credenziali, poteva esercitare l’attività in loco. Una serie di “vedette” monitoravano le strade di accesso al quartiere. Siffatte misure protettive s’erano rese necessarie per evitare, che gli uomini d’onore non allineatesi allo strapotere dei corleonesi, potessero compiere attentati contro Giuseppe Pino Greco, “scarpuzzedda” e la sua famiglia mafiosa. In particolare temevano la risposta armata di Totuccio Contorno, che pochi giorni prima era scampato ad un agguato teso da Pino Greco e Mario Prestifilippo a colpi di kalashnikov. Ma non temevano solo Contorno, anche gli altri killer cosiddetti “scappati”, che alla pari di Contorno erano rimasti fedeli al principe di Villagrazia Stefano Bontade, assassinato su ordine di Totò Riina.
Man mano che le investigazioni andavano avanti, ci accorgemmo che a “scarpuzzedda” non bastavano le precauzione prese a difesa della sua vita e ricorse al sistematico uso d’incendiare le abitazioni di coloro che non nutrivano la sua totale fiducia. Egli, prima di dar corso agli incendi invitava le famiglie ad allontanarsi da Ciaculli e chi non obbediva, incendiava loro la casa. Ricordo che in un caso, lo stesso Scarpuzzedda incendiò una casa con gli occupanti dentro e dopo che questi si erano rifiutati di andar via da Ciaculli (ho ancora vivo il nome e cognome del proprietario). Un altro episodio significativo del modo violento di Scarpuzzedda, fu quando per paura che un capannone situato nel tragitto per raggiungere il suo nascondiglio, costituisse un valido luogo per occultare i killer, decise di abbatterlo senza chiedere il permesso al proprietario. Un giorno si presentò con una ruspa e lo rase letteralmente al suolo. Il proprietario fu costretto ad “emigrare” a Villabate, dove io e Montana rintracciammo per interrogarlo. Ne rintracciammo altri, ma nessuno volle collaborare con noi.
Ad un certo punto Beppe Montana seppe che Scarpuzzedda poteva aver trovato rifugio in una villa situata nel bel mezzo dell’agrumeto di Ciaculli e una una mattina all’alba, facemmo l’irruzione: il latitante Pino Greco scarpuzzedda non c’era. Tuttavia, localizzammo una grotta nascosta da una vistosa macchia mediterrenea -distante pochi metri dalla villa- con all’interno indumenti, bottiglie di whisky e un giaciglio. Nel 1989, Cosa Nostra uccise a raffiche di mitra il Barone Antonio D’Onufriu di 39 anni e firmò l’omicidio con un colpo sparato in bocca. Il nobiluomo era amico di Beppe Montana e qui mi fermo.
Croceverde Giardina, ancora oggi per me rappresenta le origini della mia sicilianità: addentrarmi tra gli alberi di mandarini era come percorrere un eden paradisiaco. I mandarini erano e sono migliori di tutta la Sicilia. Ma bisogna entrarci prima dell’alba e con religioso silenzio sostare per apprezzare il particolare profumo erbaceo proveniente dalla terra. Insomma è un luogo dove la Conca d’Oro rappresenta la massima espressione della bellezza di Palermo.
Concludo con l’amara riflessione. Gli uomini non seppero distinguere la bellezza dall’orrore e per dimostrare tutta la loro cattiveria, fecero persino scoppiare a Ciaculli un’autobomba uccidendo sette appartenenti allo Stato, tra militari, carabinieri e poliziotti. E pur tuttavia anche lo Stato commise dei grandi errori. Permise, che pochi uomini si impadronissero del territorio, facendo applicare di fatto la legge della violenza. La legge del più forte. Gli onesti abitanti di Ciaculli e Croceverde-Giardina subirono e non fidandosi dello Stato, rimasero in silenzio. Io da palermitano, li capivo!