
Sconfiggere un tumore una volta non è semplice. Sconfiggerlo tre volte, e in sei anni, è il segno che la vita ha in serbo per te qualcosa di speciale. Raccontare la storia di Daniel Fiorelli, 32 anni oggi, nato a Monfalcone (Gorizia) e con alle spalle tre lunghe battaglie contro il Linfoma di Hodgkin, un raro tumore al sistema linfatico, è come ricostruire la trama di un film a lieto fine. Quelle pellicole di fantasia dove accadono cose che nella vita reale non sarebbero mai potute succedere.
Il suo amore per il basket e per la musica rock, le sue passioni mai abbandonate nonostante le difficoltà, le chemioterapie, gli interventi chirurgici. Una travagliata ma coinvolgente storia d’amore, poi finita, con una ragazza di Praga. E, infine, la stesura di un libro, il suo: “Infine la luce”. Un racconto per condividere con il mondo quello che lui stesso definisce “un miracolo”: la guarigione, una seconda opportunità, una quarta vita. “Scoprii di avere questo tumore, la prima volta, quasi per caso: era la primavera del 2010 e in quei giorni, tra aprile e maggio, accusai ogni giorno un fortissimo prurito alle gambe. Pensai fosse allergia, in un primo momento, nemmeno mi venne in mente qualcosa di diverso”. Poi la scoperta: “Il 21 giugno, lo ricordo ancora: stavo facendo la doccia una sera quando vidi un bernoccolo, una sporgenza sulla clavicola. Era ‘lui’. Feci la TAC la mattina dopo e quando scoprii la presenza del Linfoma di Hodgkin ricordo che rimasi paralizzato dalla paura. Durò un paio di giorni, forse tre, quella paura profonda, agghiacciante. Poi mi dissi che avrei dovuto reagire e decisi che fosse il momento di ripartire”.
Al telefono su Skype, da Gorizia, Daniel racconta i suoi ultimi sette travagliati anni di vita, ripercorsi nel libro, con una semplicità e una consapevolezza impressionanti. Ma ciò che racconta non è semplice. Il Linfoma di Hodgkin, ci spiega, è un tumore che ha ottime percentuali di guarigione, circa l’85%. Ma lui, i sintomi tipici (febbre, perdita di peso, forte sudorazione), non li ha mai avuti. Solo quell’insopportabile prurito. E il “bernoccolo”, che riemerge dopo un anno e mezzo nel novembre del 2011, nella prima recidiva: “Durante le terapie, per le quali rimasi 24 giorni in isolamento nei primi mesi del 2012, conobbi una delle due persone di cui parlo nel libro, una signora di una profondità incredibile, con cui condivisi una parte del mio percorso di recupero”. Poi, nel luglio 2014, la seconda recidiva e la terza malattia: “Iniziai una radioterapia nel dicembre del 2014, poi nel 2015 il trapianto di midollo osseo da una persona sconosciuta. In questa terza battaglia conobbi un secondo ragazzo, di cui parlo nel racconto. Lui e questa signora, che oggi non ci sono più, sono le due persone a cui ho deciso di dedicare il mio romanzo”.
Dopo il trapianto, Daniel vive l’esperienza che gli cambierà la vita. Un’esperienza dove fede, coraggio, speranza, per lui vanno nella stessa direzione: “Sono sempre stato una persona di fede cattolica, ma spesso non praticamente. Dopo il trapianto stavo male, vomitavo ogni giorno, non riuscivo a mangiare. Decisi di fare la novena per Santa Teresa del Gesù Bambino, a cui ora sono devoto: al nono giorno iniziai a sentire un benessere interno che mi sorprese. Le contrazioni sparirono, i sintomi più terribili si assopirono. Non so a cosa sia dovuto, né se fosse il normale corso di recupero. Sono ancora oggi io incredulo, ma mi sono sentito un miracolato, davvero”.
Da allora, dopo il trapianto di midollo, Daniel ha ricominciato a vivere. E il libro “Infine la luce” è il resoconto personale e intimo, timido e coraggioso, di un percorso incredibile: “Un ruolo fondamentale l’ha avuto la rosa che si vede in copertina: ma non voglio svelare nulla a chi deciderà di leggerlo. Posso dire, però, che è stato il simbolo che mi ha fatto capire, finalmente, che la luce in fondo al tunnel di questa storia che ho vissuto stava arrivando”. La storia di un ragazzo di 25 anni che tra ospedali, viaggi in Repubblica Ceca per amore ed allenamenti di basket terminati e ripresi, si è rivelato, a 32, più forte di un male più grande di lui. “Un ruolo nella mia guarigione lo ha avuto l’Associazione Italiana contro le Leucemie, linfomi e mieloma – AIL, nelle sue sedi di Trieste e Udine – spiega. Mi sono sempre stati vicini, mi hanno sempre dato conforto. Ho deciso per questo che devolverò una parte degli incassi del libro a loro”. Non solo: “Un’altra associazione a cui devo il mio grazie è l’ADMO – Associazione Donatori di Midollo Osseo della Sezione Gorizia. Sono venuto in contatto con loro dopo il mio trapianto e sto continuando, nel mio piccolo e nei momenti liberi che ho tra lavoro, presentazione del libro e il basket, a sostenerli”. E domani, Daniel, come si vede? “Come un ragazzo normale. Non chiedo di più. Ho avuto tanti momenti di sconforto, di difficoltà, di disperazione. Proprio nel 2014, alla seconda ricaduta, mi sono detto: ‘È l’ultima possibilità, Daniel’. È andata bene e ora voglio vivere la mia normalità”.
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