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November 26, 2015
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Cate Blanchett racconta Carol

Adriano ErcolanibyAdriano Ercolani
Time: 4 mins read

Possiamo definirla la più grande attrice del nostro tempo? Di sicuro la domanda non è inappropriata, perché a livello di talento, carisma e abilità istrionica Cate Blanchett oggi non ha rivali. O quasi: ci sarebbe comunque una certa Kate Winslet… Sei candidature all’Oscar, due statuette conquistate – l’ultima delle quali per Blue Jasmine di Woody Allen in una performance degna della migliore Gena Rowlands – l’attrice australiana torna a collaborare, in Carol, con quel Todd Haynes che le ha regalato uno dei ruoli più iconici della sua carriera, quello di Jude Quinn nel biopic dedicato a Bob Dylan, I’m Not there (Io non sono qui, 2007). 

Questa volta però il progetto è totalmente diverso: il nuovo film, uscito al cinema in tiratura limitatissima lo scorso 20 novembre, racconta della storia d’amore tra la protagonista che regala il titolo al film e la giovane Therese, nello scenario della New York perbenista dei primi anni ’50. Ecco cosa ci ha raccontato la Blanchett del ruolo che potrebbe regalarle (almeno) un’altra nomination all’Oscar. 

Come è entrata in un personaggio così enigmatico e multidimensionale?

poster“Fin dall’inizio ho immaginato Carol come una donna molto privata, che soffre del fatto di non riuscire a esprimere pienamente se stessa. La sua sessualità per lei non è affatto ambigua, non ha avuto la possibilità di esprimerla. Questo non significa che non sia una donna che non apprezza ciò che ha, e sa di essere amata da suo marito. Semplicemente non è più felice nel mondo che le è stato costruito intorno. Quando incontra Therese si inoltra in un mondo inesplorato per lei, quello di un sentimento veramente coinvolgente e sente di perdere quell’equilibrio che si è costruita con così tanta fatica. È talmente coinvolta dal suo amore per l’altra che a un certo punto è disposta a mettere a rischio anche ciò a cui tiene di più al mondo, sua figlia”. 

È stato difficile lavorare sulla fisicità e sul linguaggio del corpo di una donna degli anni ’50?

“Più che cercare di riprodurre un periodo storico attraverso la mimica ho cercato di rappresentare la vita interiore di Carol, i suoi desideri. Ad esempio il modo in cui tiene la sigaretta e fuma per me è diventato un modo di esprimere il suo desiderio e la sua sensualità. Il tutto doveva essere ovviamente suggerito, trattenuto, non ostentato. Lavorare in sottrazione dopo un paio di interpretazioni come Blue Jasmine e Truth in cui invece dovevo lavorare maggiormente sopra le righe. Non è stato facile trovare la postura giusta per esplicitare l’anima di Carol, ricordo che in una scena in cui Rooney Mara suona il piano dovevo stare seduta per terra con un atteggiamento elegante, ci ho messo ore per capire come renderlo credibile e fisicamente è stato faticosissimo”.

Non ha temuto che il suo dedicarsi completamente al suo rapporto con Therese a un certo punto la facesse diventare Carol, una cattiva madre agli occhi del pubblico?

“Mi fa piacere questa domanda perché mi permette di esprimere un’idea che ho da tempo e cioè che essere una donna ed essere una madre non sono la stessa cosa. Spesso al cinema la rappresentazione di una madre è troppo stereotipata, cerca troppo l’approvazione del pubblico. Molti personaggi femminili finiscono per perdere la loro identità primaria e diventare madri prima di tutto, il che indebolisce la loro profondità psicologica. Con il regista Todd Haynes non abbiamo mai parlato di questo aspetto di Carol, e ho apprezzato moltissimo che non cercasse di rappresentare questa donna nel modo vagamente ricattatorio in cui avrebbe potuto”. 

Come ha lavorato con Rooney Mara per trovare l’equilibrio tra due personaggi sotto molti aspetti diversi tra loro?

“Ci siamo subito trovate d’accordo nel voler sottolineare le differenze invece di appiattirle dentro una storia d’amore. Therese è più giovane e fresca, possiede ancora una sua ingenuità, mentre Carol ha un’identità più formata, sia a livello sociale che di esperienza, riesce a prevedere in qualche modo le conseguenze delle sue azioni. Sia la sceneggiatura che il lavoro di Patricia Highsmith, da cui è tratta, regalano a Carol dei dialoghi magnifici, in cui lascia intendere di essere pienamente consapevole dei rischi che sta correndo. È magnifico per un’attrice pronunciare delle frasi che dietro hanno un mondo completo, che possono lasciar intendere molto altro oltre il semplice significato delle parole”. 

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