Imparare una lingua attraverso l’arte, la cultura, la cucina, il vivere la quotidianità. Il sogno di un centro dove tutto questo fosse possibile, da più di dieci anni è una realtà consolidata a New York. Katia Moltisanti, siciliana di Ragusa, viene da una famiglia di artisti. Globetrotter per passione e vocazione, nel 2002, dopo la laurea in lingue all’Università di Catania, si trasferisce a New York dove studia Marketing alla Fordham University. Una vita a collezionare viaggi, esperienze all’estero e l’amore per l’arte e per la pittura. Poi, l’idea di aprire un centro culturale per diffondere la lingua e la cultura italiane, accogliere i bambini e le famiglie, portarli in Italia, farli sentire a casa.
Nel 2004, nasce Centro Raccontami oggi nella nuova sede di Chelsea. Non un centro linguistico, ma un centro culturale che insegna l’italianità, il modo di essere italiano, imparando ad apprezzare e conoscere la nostra cultura, il nostro cibo.
Katia, si sente cittadina del mondo, ma è molto legata alla sua Sicilia dove ritorna ogni anno insieme al marito (siciliano anche lui) e dove porta in viaggio alcune delle famiglie che decidono di conoscere l’Italia. Ha deciso di vivere a New York perché in questa città ha scoperto una parte bellissima della sua personalità, che meglio si esprimeva proprio nella Grande Mela.
Katia, perché hai deciso di fondare il Centro Raccontami a New York e non presentarlo come una scuola di lingue?

Un momento didattico al Centro Raccontami
Perché mi sono resa conto, nel 2002, quando sono arrivata a New York, che mancava una realtà dove la lingua italiana fosse veicolata attraverso la cultura e l’arte. Noi non siamo un centro linguistico, ma un centro culturale. Abbiamo programmi sia per bambini che per adulti e la nostra didattica non segue il classico percorso tradizionale, ma offre una full immersion a 360 gradi nella cultura italiana, attraverso il cibo e la cucina, la musica, l’arte, le mostre, il cinema, la danza. Un progetto ambizioso che ho realizzato anche grazie al supporto di mia sorella Oriana, oggi la vice presidente del Centro, e di uno staff di grandi professionisti.
In cosa il Centro si distingue dalle altre realtà?
Lavoriamo con i bambini utilizzando il Reggio Approach, il rapporto e il coinvolgimento delle famiglie è fondamentale. L’apprendimento della lingua avviene attraverso l’esplorazione, l’osservazione, la curiosità, l’ambiente, l’arte, gli incontri al museo, i corsi di cucina. Noi offriamo continuità didattica, seguiamo i nostri studenti. Siamo un pezzo d’Italia nel cuore di Manhattan. Ricreiamo l’ambiente familiare, e se vogliono, gli studenti e le famiglie hanno la possibilità di venire con noi in Italia.
A proposito dei tour in Sicilia. Come si svolgono?
Non sono dei classici tour turistici. Le famiglie vivono a stretto contatto con la realtà delle famiglie siciliane, esplorano la quotidianità. I bambini siciliani giocano con i bambini americani, vanno a scuola di cucina. Abbiamo un approccio slow che non si limita a visitare i monumenti, ma ad entrare nel profondo di una cultura.
Qual è il profilo tipo di chi frequenta la vostra scuola?
Bambini figli di famiglie miste, italo-americani, franco americani, ma anche moltissimi italofili che amano il nostro paese senza avere un’origine italiana. Il momento più bello è quando i genitori vengono a prendere i figli e ognuno comunica nella propria lingua.
Il feedback più bello che hai ricevuto dagli studenti?

Una famiglia americana in tour in Sicilia
Una famiglia americana che dopo la vacanza in Sicilia voleva comprare casa a Ragusa perché ha visto i figli giocare e integrarsi con i bimbi siciliani, la loro commozione di fronte alle bellezze architettoniche, il fatto che i bambini qui si sentono a casa.
Cosa significa per gli studenti studiare italiano? Che cosa li attrae di più?
La bellezza di una lingua, l’arte, ma soprattutto il cibo.
Quali sono secondo te le differenze nell’apprendimento e nella cultura tra un bambino americano e italiano?
I bambini americani hanno molti più stimoli, pensano subito all’azione per arrivare alla soluzione del problema, sono veloci nella risposta. Gli italiani sono molto curiosi, grandi osservatori, molto più affettuosi e fisici rispetto agli americani.
Come ha vissuto il Centro Raccontami la crisi del 2008 che ha portato anche alla chiusura di altre realtà linguistiche?
La crisi mi ha fatto molto riflettere sullo spirito e il senso della comunità a New York e in America. Le famiglie ci sono state vicine e ci hanno supportato molto continuando ad iscrivere i figli alla scuola, anzi moltiplicando le ore di frequenza. Mi hanno fatto capire come la comunità sociale sia molto forte in questo paese.
Cosa amano gli americani della Sicilia quando li porti nella tua terra?
La bellezza, la storia e la cultura. Il senso della famiglia e dello stare insieme, l’affetto.
Perché hai lasciato la Sicilia e come la ritrovi quando torni?
Amo la mia terra, ma amo moltissimo viaggiare. Mi sono sempre sentita cittadina del mondo. Una terra meravigliosa che mi affascina sempre, che continua a stupirmi ed emozionarmi anche attraverso gli occhi degli altri che la visitano per la prima volta. Non sono scappata, ma nei miei giri per il mondo ho visto che il mio lato creativo, quello che amo di più, si esprimeva meglio a New York. Mi dispiace il pessimismo siciliano. Consiglio ai miei conterranei di non lasciare per forza la propria terra, ma di vivere all’estero per un periodo. Si vede la vita da prospettive diverse.