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May 14, 2015
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Metti uno start upper italiano a New York ed ecco Authorea

Liliana RosanobyLiliana Rosano
Time: 4 mins read

Un cervello in viaggio e non in fuga, un curriculum importante con nomi prestigiosi: University College of London per la laurea in astrofisica e scienze dell’informazione,  UCLA (University of California Los Angeles) per il dottorato e infine Harvard per il post doc. In mezzo esperienze con istituzioni altrettanto celebri come il CERN di Ginevra e il Cineca di Bologna, la borsa Marie Curie e la Nasa.

Per Alberto Pepe, trentacinquenne di Manduria, la ricerca  e la scoperta scientifica sono state sempre una passione. Già da ragazzino sentiva che a spingerlo era la curiosità, la voglia di scoperta e l'amore per le invenzioni. Astrofisico e ingegnere informatico in carriera, si “converte” all’imprenditoria seguendo il modello americano delle start up.

Un anno fa, Alberto decide di dare una svolta alla sua vita con  con una decisione che richiede coraggio e voglia di sfida: lascia la carriera accademica  ad Harvard per fondare Authorea, una start up che rappresenta una piattaforma per le pubblicazioni scientifiche.

Dopo un iniziale finanziamento di 650.000 dollari, Authorea si proietta in un nuovo futuro con prossimi finanziamenti alle porte.  

Alberto oggi vive a New York ma pensa sempre alla sua Puglia. Nelle terre dove si produce uno dei vini più apprezzati, il Primitivo di Manduria, vorrebbe ritornare un giorno a coltivare le viti così come fa suo padre e come faceva il nonno.

“Mi preparo ad un prossimo ritorno, racconta Alberto a La VOCE. Voglio portare  un contributo alla mia terra frutto di quanto  ho appreso all’estero in questi anni”.

vCervello in fuga o in viaggio?

Mai in fuga dalla mia terra.  La curiosità e la voglia di imparare mi hanno portato fuori volutamente, ma anche per una serie di casualità. Ho avuto delle bellissime esperienze quando lavoravo al Cineca di Bologna, una realtà molto interessante.

Dal post doc di Havard alla fondazione di Authorea, la start up che oggi vanta un milione di utenti.  Cos'è Authorea?  

Una  piattaforma pensata per le pubblicazioni scientifiche che si avvale del criterio dell’open science e della collaborazione. Una specie di Google Docs dei documenti scientifici. L’obiettivo è quello di diventare la più grande banca dati di studi accademici al mondo. 

Perché è innovativa?

Nell’idea della condivisione e nella scrittura. Il classico metodo di pubblicazione dei documenti scientifici è sempre stato il pdf, un format chiuso su cui è difficile intervenire. Noi non usiamo il pdf e permettiamo di poter intervenire sui documenti.

Hai lasciato Harvard per fondare una start up. La sicurezza contro il rischio. Pensi che in Italia sarebbe stato possibile?

In Italia il collegamento tra il mondo accademico ed imprenditoriale c’è sempre stato. Manca l’elemento del rischio che invece caratterizza gli imprenditori americani. Nonostante non fossi un business man, i miei investitori hanno visto un potenziale nella mia idea e scommesso su di me.

Anche in Italia oggi le start up rappresentano un’idea imprenditoriale che sta prendendo sempre più piede. Ma quanto ci separa ancora dall’America?

Seguo molto la realtà italiana che trovo interessante. Come dicevo prima, a parte grossi nomi che finanziano start up, negli imprenditori manca il concetto del rischio e la velocità, il tempismo con cui si interviene.

Il modello californiano della Silicon Valley vs quello newyorchese della Silicon Alley…

In California contano più i numeri, nel senso di utenza che quel progetto riesce a portare. A New York invece si parla di obiettivi a lungo raggio. Quello della Grande Mela è un modello più difficile ma che può dare risultati concreti e duraturi.

Nel mare magnum delle start up, quali sono i fattori che portano al successo?

Idee nuove, obiettivi concreti e risultati a lungo termine.

oIl profilo dello start upper italiano in America?

Formazione accademica di spessore, esperienze internazionali che non guastano. La maggior parte degli start upper hanno studiato economia oppure ingegneria informatica. Ci accomunano due cose: grande dose di coraggio e rischio.

Tu vieni dalla Puglia, da una regione del Sud che molti tuoi coetanei lasciano. Che rapporto hai con la tua terra?

Bellissimo. Torno spesso perché lì vive tutta la mia famiglia. Ogni volta che torno mi dedico a coltivare le terre che furono di mio nonno e oggi di mio padre. Imparo sempre di più e mi affascina questo rapporto con la natura.

Domanda di rito: se l’Italia dovesse chiamare i suoi “cervelli all’estero”, cosa risponderebbe Alberto?

Tornerei in Italia volentieri anche se sono consapevole che é difficilissimo lavorare in una struttura accademica dove dominano ancora certe logiche. Tornerei però nella mia Puglia, portandomi dietro le conoscenze che l’esperienza all’estero mi ha regalato.

 

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Liliana Rosano

Liliana Rosano

Sono nata a Catania, dove sono sempre tornata dalle mie peregrinazioni che mi hanno portato prima in Grecia, poi a Parigi. Con la mia laurea in Scienze Politiche, sognavo di lavorare nella cooperazione internazionale, ma sono finita a fare la giornalista, prima nella redazione di Telecolor poi del Quotidiano di Sicilia. ll mio ponte con l’America è iniziato grazie a un tirocinio per le Nazioni Unite a New York. Sono una freelance e collaboro con diverse testate e magazine nazionali. Vivo a Fairfield, nelle praterie sperdute dell’Iowa, in una comunità alternativa ed eco friendly e sono sempre alla ricerca di storie di italiani all’estero da raccontare.

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