New York rappresenta certamente l'ambiente ideale per le startup, ovvero l'apertura di nuove aziende e forme di business. L'attività imprenditoriale è il centro economico della Grande Mela, ed è stato scritto molto sulle opportunità e sul potenziale che si presentano nella scena delle startup tecnologiche newyorchesi. Ma cosa accade se raffrontiamo la situazione con l'Italia? Perchè, nel Bel Paese è ancora così difficile avviare una qualunque attività imprenditoriale e trovare persone che vogliano investire in idee vincenti, meglio se nell'ambito della tecnologia?
Di questo si è parlato lo scorso giovedì, 27 giugno, presso la sede dell'Istituto Italiano di Cultura di New York, nel corso della serata Silicon Alley: alcune soluzioni per l'Italia.
Dell'argomento, hanno discusso introdotti dal Console Generale Natalia Quintavalle e dal Presidente dell'IIC Riccardo Viale, Maria Teresa Cometto e Alessandro Piol, autori di Tech and the City. Startup a New York. Un modello per l'Italia, Maurizio Arienzo, presidente e amministratore delegato di Nova Ware, Craig Gotsman, direttore del Technion-Cornell Innovation Institute, e Carlton Vann, Director of Division for International Business, NYC Mayor's Office for International Affairs. A moderare l'incontro c'era Vito Racanelli, Staff Writer e Senior Editor di Barron's.
"Ho iniziato a pensare a Silicon Alley quando sono venuta a conoscenza del fatto che due nostri concittadini, Maria Teresa Cometto ed Alessandro Piol hanno deciso di scrivere questo libro interessantissimo. Piano piano è diventato letteralmente la mia bibbia, è utile per capire cosa sta accadendo qui intorno a noi a New York" ha dichiarato il console generale Quintavalle in apertura della serata all'IIC, "è interessante perchè gli argomenti sono descritti da due italiani con i loro punti di vista, cosa che aiuta a comprendere se ci sono opportunità di collaborazione tra i due paesi e questo è esattamente il mio lavoro".
L'incontro si è incentrato nel comprendere come gli USA e l'Italia investono in nuove idee di business e nella loro evoluzione cercando anche di delineare quali siano le difficoltà vissute dall'Europa e dall'Italia nella formazione professionale di potenziali imprenditori. Perchè come si è evidenziato durante il dibattito di giovedì, il problema principale è che spesso mancano le basi per creare un ambiente che renda il business vincente. La discussione comunque, si è incentrata soprattutto sul libro scritto da Maria Teresa Cometto e Alessandro Piol. Gli autori descrivono New York come un centro crescente per le startup tecnologiche, sempre in aumento. Cometto spiega all'audience in sala anche com'è nato il titolo: "Le startup sono sexy, soprattutto a New York. Molte delle startup teconologiche si trovano proprio a Meetpacking district dove sono state girate alcune scene di Sex and the City".
"Il problema principale è trovare capitale, investimenti. Incoraggiare le persone ad investire. Perchè i soldi sono lì" ha detto invece Alessandro Piol parlando delle difficoltà di investimento nelle startup in Italia. I due autori offrono nel loro libro una completa descrizione della comunità tecnologica newyorchese mettendo insieme le storie personali dei pionieri della cosiddetta Silicon Alley. Interessante nella serata di ieri è stato però vedere le differenze di approccio che italiani ed americani hanno rispetto al business. Tra gli italiani c'è sempre un senso di rassegnazione, per via delle difficoltà che il governo, regolamentazioni troppo rigide e, problemi nell'allocazione dei capitali provocano ancora alle startup, frenando chiunque abbia una idea vincente. Gli americani invece, sono sempre ottimisti e soprattutto vogliosi di dare fiducia al prossimo. Carlton Vann, Director of Division for International Business, NYC Mayor's Office for International Affairs ieri ad esempio, ha illustrato le politiche effettuate da Bloomberg a New York City per avvantaggiare giovani imprenditori e startup. In più occasioni Vann ha ripetuto la frase "bisogna creare l'ambiente giusto per far si che i business abbiano successo" mentre Craig Gotsman, direttore del Technion-Cornell Innovation Institute, ha parlato di come l'America investa profondamente nei giovani che hanno le qualità giuste e fin dall'università.
Tornando agli italiani invece, le problematiche sono sempre le stesse e sembra quasi impossibile che possano essere superate. Maurizio Arienzo ha illustrato proprio queste differenze tra USA e Italia che non permettono al nostro paese di decollare. Arienzo, avendo esperienza lavorativa sia in Italia che all'estero, ha potuto dire con franchezza che "in Europa la situazione è molto complicata," e parlando della diversa collaborazione tra aziende ed Università in Italia ed in America, ha continuato affermando: "Quello che dovremmo fare è creare opportunità per i giovani nelle università, per avere di conseguenza anche la possibilità di creare nuove industrie. Non una collaborazione tra un'industria già stabilita e le Università, ma stimolare dal principio gli studenti con idee, che poi potrebbero portarli a creare delle startup e nuove forme di business". Ma a quel punto è intervenuta Cometto che ha sottolineato come nelle università italiane, si ancora diffusa l'opinione che il contatto tra ricerca e imprenditoria sia dannoso alla "libera espressione" dei ricercatori accademici. Una mentalità ideologica e da anni della contestazione del '68, che ovviamente deve essere cambiata se si vorranno dare più possibilità di crescita all'Italia anche nel campo delle imprese create dai giovani.
Purtroppo, sono ancora molti i dati scoraggianti che riguardano l'Italia e la possibilità di avviare nuove forme di business. In primo luogo quello che rende difficile lo sviluppo delle startup -e che il moderatore Vito Racanelli ha simpaticamente ma con un pizzico di amarezza definito "l'elefante gigante che sta in questa stanza ma che tutti ignorano"- è il governo, che con le sue leggi limita la flessibilità del mercato del lavoro in Italia, e crea difficoltà nel trovare capitali ed applicarli a delle idee vincenti.
Al termine del dibattito, c'è sempre però, quel filo di speranza legato alle grandi qualità e potenzialità che gli italiani hanno nel business. Giovedì ad esempio, si è parlato del caso di Federico Marchetti, fautore di YOOX Group S.p.A., azienda italiana specializzata nell'e-commerce al dettaglio di abbigliamento di alta moda e accessori, che ha ricevuto encomi da molte testate giornalistiche americane, tra cui The New Yorker. Mentre stranamente sono state veramente poche le testate italiane ad elogiare il giovane imprenditore. Oltre alla mancata attenzione dei media italiani verso l'imprenditoria innovativa, la serata di giovedì ci ha lasciato soprattutto con un grande dubbio e cioè, che fine farà il nostro paese se i talenti italiani continueranno ad andare via per realizzare i loro sogni?