A New York lo si era già visto nei panni di un Marinetti provocatore e affabulatore. Ora torna con un Leonardo da Vinci che, in lingua rinascimentale, si fa intervistare da artisti e scienziati. Il milanese Massimiliano Finazzer Flory, regista, attore e drammaturgo sembra avere una passione per quelle intersezioni tra arte, scienza, tecnica e industria di cui da Vinci è stato il pioniere e che il Futurismo portò all’estremo.
Lo spettacolo si intitola Being Leonardo e, con Finazzer Flory nei panni del genio toscano, porta in scena per la prima volta le parole originali di da Vinci, frutto di lunghi studi e di una meticolosa ricostruzione. E se di Leonardo si è detto e scritto di tutto e di più, il legame con l’oggi rendere universale il suo pensiero, capace non soltanto di parlare all’uomo contemporaneo, ma anche di ricordare all’Italia cosa c’era all’origine della grandezza della nostra cultura, oggi diventata “provinciale”, come ci dice il regista.
Scritto, diretto e interpretato da Finazzer Flory, lo spettacolo, con il supporto di Acqua di Parma e GTECH, è in questi giorni negli USA dove ha esordito il 24 marzo a Providence per poi spostarsi a Chicago (30 marzo), dove ha fatto il tutto esaurito, e a Washington (2 aprile) e finalmente arrivare a New York, dove sarà in scena alla Morgan Library il 21 aprile. Da maggio a ottobre, poi, Essere Leonardo sarà a Milano, all’interno del programma cultura dell’Expo. Dopo Milano, infine, un’altra tappa americana, il 13 ottobre, a Houston, Texas.
In attesa di vederlo nei panni del genio rinascimentale alla Morgan Library, abbiamo incontrato Finazzer Flory in una libreria di New York, dove era di passaggio tra una tappa e l’altra del tour. Era già nel personaggio e ci ha dato un assaggio del pensiero e delle parole di da Vinci.

Finazzer Flory nei panni del futurista Marinetti
Prima uno spettacolo sul Futurismo, poi Leonardo: cos’hanno in comune?
C’è una connessione: l’estetica delle macchine e la passione di Leonardo per il volo. Insieme al fatto che amava il progresso. E mai genio fu più veloce di lui nel dare forma alle sue invenzioni. Lo si potrebbe definire un proto-futurista. Il suo tenere insieme l’arte e la scienza ci dice molto. Arte per Leonardo significa saper fare; scienza significa avere coscienza del bisogno di conoscenza. La scienza è ricerca. L’arte è saper fare. Noi conosciamo i capolavori di Leonardo ma conosciamo poco il Leonardo scienziato. Tuttavia non avremmo il pittore senza lo scienziato e non avremmo lo scienziato senza l’inventore. Nella sua opera la mano è del pittore, il pensiero è dello scienziato.
Il Futurismo è stato un movimento che ha portato grande innovazione nel linguaggio artistico. E Leonardo è stato l’innovatore per eccellenza. Qual era il suo pensiero su arte e innovazione?
Nelle parole di Leonardo, nessuna cosa si può amare né odiare se non si ha una grande cognizione di questa. Secondo punto: Leonardo si definisce inventore e interprete della natura e degli uomini. Terzo: per Leonardo la pittura ha il primato sulle altre arti. Perché più universale l’arte è, più richiama la nostra attenzione. E la pittura è un linguaggio universale ancora più della musica perché, secondo Leonardo, il senso della vista è più importante dell’udito perché ci soddisfa di più, perché con l’occhio possiamo abbracciare le bellezze del mondo.
Di Leonardo si è detto e scritto di tutto. Oggi come oggi, ha ancora senso parlare di lui? Cosa c’è di nuovo da dire?
Leonardo è oggi quanto mai attuale, innanzitutto per la difesa della natura che per Leonardo è il segreto della vita. E ci guida. Il rispetto per la natura ha in Leonardo il più grande interprete e testimone. Il tema è decisamente attuale: Leonardo è un eco designer, è un designer della natura che progetta insieme alla natura e non contro di essa. Il secondo aspetto di attualità è che mai come oggi ci approssimiamo a convivere con androidi e robot, macchine che devono relazionarsi con gli umani. Una cosa che l’opera di Leonardo ha anticipato. Quindi Leonardo tiene insieme l’una e l’altra dimensione: quella della natura e quella della macchina.
Leonardo è un’icona della cultura italiana, ed è ampiamente usato per comunicare l’Italia all’estero. È ancora un buon rappresentante della cultura italiana e quale cultura veicola e quale invece lascia fuori?
Leonardo rappresenta la migliore Italia ma gli italiani non rappresentano Leonardo. Perché la sua cultura è oggi quanto mai universale mentre la nostra Italia è diventata provinciale. E non era così: il nostro Rinascimento non guardava il proprio ombelico ma allargava le braccia, proprio come l’Uomo di Vitruvio.
E allora attraverso Leonardo potremmo ripensare la cultura italiana nella contemporaneità?
Certamente Leonardo è un’icona per interrogare la nostra identità e per sollecitarci, spingerci a non avere paura della modernità. La bellezza non è nemica del nuovo.
Leonardo simbolo di modernità. Ma spesso nell’esportare la cultura italiana restiamo bloccati nel passato, mentre gli elementi di modernità vengono trascurati.
Leonardo dice chi poco pensa molto erra. ‘È triste quel discepolo che non supera il suo maestro’: Questa formula mi sembra sia estranea all’università italiana e alla classe dirigente del nostro paese. Leonardo – e questo vale anche per tanti degli artisti dopo di lui – aveva alle spalle dei mecenate, gli artisti erano cercati da una committenza illuminata o che comunque aveva bisogno di legittimazione culturale per la sua ideologia: questa relazione si è rotta. Perché oggi il potere non cerca di passare alla storia, ma preferisce conquistare il presente. Dunque gli artisti sono inutili se non addirittura nocivi.
Se si potesse cambiare qualcosa del modo in cui la cultura italiana si presenta all’estero cosa andrebbe cambiato, a suo avviso?
La questione è l’arte. Dovremmo far viaggiare le opere d’arte italiane. La nostra diplomazia dovrebbe avere nell’arte la migliore strategia. Nel senso che offrire delle icone della nostra arte attraverso un piano che si ponga in relazione con i più importanti musei del mondo e città del mondo condurrebbe la nostra immagine a un ruolo di leadership che non ha altrove. Non siamo una potenza economica o politica o militare. Siamo solo (in) potenza cultura. Il marketing del nostro paese dovrebbe passare attraverso la cultura.
Veniamo allo spettacolo. Come è strutturato e come si presenta Leonardo?
Lo spettacolo è strutturato in due tempi. Nel primo ho voluto mettere in scena il Leonardo regista delle feste di corte di Ludovico il Moro. Leonardo, ovvero Finazzer Flory, è seduto in scena insieme al suo intervistatore e accoglie un coppia di danzatori che, su musiche rinascimentali, offrono le loro danze citando opere di Leonardo e in particolare l’Uomo di Vitruvio, la Dama con l’ermellino e l’Ultima cena. Le danze sono ispirate ai quadri di Leonardo e alle scenografie da lui stesso realizzate al Castello sforzesco di Milano, riproposte in chiave contemporanea. La seconda parte è quella delle interviste impossibili in cui Leonardo risponde alle domande del suo intervistatore, per 60 minuti e 67 domande: una domanda per ogni anno della sua vita. Lo spettacolo è costruito come un orologio. La stessa luce dello spettacolo inizia a mezzogiorno e finisce nelle tenebre.
E chi è che avrà l’onore di intervistare Leonardo?
L’intervistatore cambia in ognuna delle città in cui presentiamo lo spettacolo. Il 2 aprile, a Washington, al Kennedy Center, uno dei più importanti centri di performing arts del mondo, la mia intervistatrice sarà Julia Kent, violoncellista americana.
E alla performance del 21 aprile a New York chi sarà?
È una sorpresa. Non posso ancora rivelarlo.
In base a quale criterio sono stati scelti gli intervistatori?
L’intervistatore è un musico o un giovane allievo di arte oppure uno scienziato. Ad esempio a Houston sarà Mauro Ferrari, grande scienziato che si occupa di nanotecnologie. In uno dei miei prossimi eventi negli USA ho coinvolto anche Carlo Ratti, uno dei più influenti e intelligenti designer del nostro tempo.
Gli intervistatori non devono essere per forza italiani…
No, anche perché per la prima volta metto in scena uno spettacolo in due lingue. L’intervistatore parla la lingua del paese ospitante, in questo caso l’inglese, mentre Leonardo risponde in italiano rinascimentale con sovratitoli in inglese contemporaneo.
È stato impegnativo, dal punto di vista della ricerca, scrivere questo spettacolo?
Un lavoro di tre anni: ricerca di fonti autentiche e poi l’acquisizione di una lingua rinascimentale. È la prima volta che si sentono a teatro le parole originali di Leonardo. A teatro una cosa del genere non è mai stata fatta.
È comprensibile?
È impegnativo. Ma io credo che la cultura sia per tutti ma non di tutti. L’immagine è quella della fontana. C’è una fonte che naturalmente è ristretta ma poi l’acqua, incanalata, si diffonde e va a irrorare il terreno circostante. La cultura inizia sempre da un lungo lavoro che è di pochi ma poi sfocia in intuizione che a sua volta, poi, prosegue diffondendosi in più direzioni. L’origine non è collettiva. Il genio collettivo è una contraddizione in termini. Esiste un genio, seguono dei discepoli, conseguono degli allievi e ci saranno poi visitatori e spettatori che con la conoscenza acquisita si riconnetteranno al genio offrendoci un percorso circolare: il ciclo della cultura, come quello dell’acqua. Ed è sempre un mistero capire dov’è l’origine.
Lo spettacolo esordisce in America o è stato già altrove?
Ho fatto cinque spettacoli in Giappone, nelle cinque città più importanti, ma l’opera si è definita qui negli Stati Uniti dove abbiamo debuttato a Providence, poi ci sarà Chicago, poi Washington e New York.
Ed è cambiato nel frattempo?
Io sono un performer quindi continuo sempre a lavorare sullo spettacolo. Ora ho trovato un assetto definitivo. Con questo assetto torneremo in Italia dove saremo in scena da maggio a ottobre, tutti i sabati, quindi 26 sabati, al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano.
Portarlo qui negli USA ha un valore particolare per lei?
Leonardo negli USA è di casa, soprattuto a New York dove al Metropolitan è esposto un suo bellissimo disegno nella permanente e alla Morgan Library (dove nel 2013 sono state esposte diverse opere del da Vinci, compreso il Codice sul Volo degli Uccelli, in una mostra in collaborazione con la Biblioteca Reale di Torino, nda) è conservato il codice Huygens di Leonardo. E poi molti scienziati americani usano le ricerche di Leonardo e le citano nei loro studi. La stessa Public Library di New York ha dei testi preziosi. E poi anche a Washington la National Gallery ha due opere straordinarie: la Madonna con bambino e il Ritratto di Ginevra de’ Benci.
Cosa avrebbe detto Leonardo di New York? Gli sarebbe piaciuta?
Avrebbe detto che è la città dell’esperienza. ‘Solo l’esperienza non falla’ dice Leonardo, nel senso che tutto è esperienza. Quando sbagliamo l’esperienza ci insegna l’errore e quando siamo dalla parte della verità l’esperienza lo conferma. L’esperienza di New York è qualcosa che ci cambia dentro. Penso che nella mia vita sia la città che più mi ha cambiato, mi sento profondamente New Yorker.
In che modo?
Perché, intanto, ci abito quando posso e poi perché, come direbbe Leonardo, io sto dalla parte della vita e dell’energia e dell’amore e trovo che New York sia tutto questo.
Magari avrebbe sistemato qualcosa di New York, sarebbe riuscito a renderla più efficiente?
Certamente. Leonardo a New York porrebbe la stessa sfida che voleva porre a Milano sotto gli Sforza: avrebbe lavorato sulle vie d’acqua per la comunicazione e avrebbe portato l’acqua dell’Hudson in nuovi canali e con nuovi ponti.
Come con i Navigli?
Eh sì, è lui che lavora sulla costruzione del Naviglio Grande. Nel mio spettacolo torna ben tre volte sul tema dell’acqua. I temi su cui torna sono esperienza, acqua, volo e i suoi saperi uno dietro l’altro.
Come avrebbe concluso Leonardo questa intervista?
Con una battuta: come una giornata ben spesa dà lieto dormire, una vita ben spesa dà lieto morire. Leonardo era un innamorato della vita – e così sono io. Io la vita la stimo – Per questo molte delle sue opere sono incomplete, perché lasciava spazio alle nuove suggestioni e, da innamorato, inseguiva ed era inseguito. Abbracciava una cosa e poi la lasciava per seguirne un’altra. Dava vita alle cose ma poi non ne doveva necessariamente seguire lo sviluppo. Un’opera finita è ferma, un’opera in evoluzione è viva. Direi che per Leonardo la madre è la Terra e il padre è il Volo e questi due concetti, diversi e complementari, riassumono il suo rapporto con la vita.