I tre giorni della famiglia Cardillo raccoglie l’entusiasmano di pubblico e critica. Il nuovo libro di Flavio Pagano, scrittore e giornalista napoletano, è già alto in classifica. Pagano ha la capacità di passare da un argomento all’atro, da Perdutamente, storia quasi autobiografica sull’Alzheimer ai I tre giorni della famiglia Cardillo, un pulp edito da Piemme. Una storia che parte dall’America, da Detroit da cui i Cardillo, famiglia connessa alla mafia americana, partono verso il Cilento, in Campania, per partecipare a un matrimonio. Ed è lì che si ambienta la vicenda che li vede protagonisti (e vittime) di un incubo con tanto di serial killer.
Pagano, come nasce questo libro?
Volevo che fosse una storia d’azione, all’americana. Volevo un tema forte, e pensavo a uno schema di base da film horror: la famiglia che si perde, grandi spazi, uno scenario naturale a tinte forti, un incontro fatale, e quindi una brutale escalation di follia. Insomma, avrebbe dovuto essere un thriller. Ma “the unexpected always happens”, diceva Conrad, e infatti, mettendo insieme tutti gli ingredienti, è venuta fuori una commedia, anche se nera, anzi nera che più nera non si può… Anche se non appartiene alla letteratura “di genere”. Ne I tre giorni della Famiglia Cardillo si toccano tanti registri letterari, e c’è uno sfondo polidialettale, se mi passi il termine, che mi ha affascinato moltissimo, perché ai personaggi (romani, milanesi, o “terroni” che siano) do voce lasciandogli le loro inflessioni: è stato il mio modo di rendere omaggio alla meravigliosa polifonia della lingua italiana. È un libro tutto da scoprire.
I tre giorni della famiglia Cardillo è un romanzo che lei definisce “mafiaba”. Cosa intende?
Mafiaba perché contiene alcuni stilemi ispirati, anche se ovviamente in forma un po' caricaturale, alla fiaba classica. Qui però poi è tutto rovesciato, specie il concetto di lieto fine e… la “morale”.
Un romanzo che ben si adatta al cinema
Grazie di questa sua osservazione. Sì, l'idea è proprio quella di coinvolgere il lettore in una narrazione “visionaria”, nel senso di una successione emozionalmente rapida e incalzante di situazioni, personaggi, contesti e scenari, e di tenere sempre alto il ritmo. Il libro del resto nacque come un thriller vero e proprio e, anche se dopo ho deciso di farne una commedia nera, la struttura è rimasta quella.
Da Perdutamente ai Cardillo, lei ha grandi capacità di raccontare usando generi diversi
Riccardo Muti disse che “un buon direttore d'orchestra deve saper dirigere tutto”. Perché uno scrittore no? In Italia non si ama molto cambiare genere, la gente ha paura, sia gli autori che temono di non essere capiti, sia i lettori che temono di rimanere delusi. E questo è un guaio, perché il “mestiere” dello scrivere, che non può prescindere da un certo eclettismo, finisce per scomparire. Non dobbiamo diventare tutti autori di genere. Sarebbe letale. Viva la varietà, fondamento di ogni sistema naturale in buona salute!
Come sta la nostra editoria?
Male, anche per quello che le dicevo prima. Importiamo molto, esportiamo ancora poco. Siamo un po' provinciali, da questo punto di vista.
Un libro dedicato alla sua città, Napoli, è nei suoi progetti?
Ha detto bene, la mia Napoli: infatti sono un po' superstizioso… Sto lavorando a due progetti, uno sarà pronto in primavera, l'altro, più impegnativo, sarà pronto l'anno prossimo. Staremo a vedere…