Il cinema di Marco Bellocchio non è un cinema per maestri. E’ soprattutto un cinema di sorelle, di fratelli, di pugni freddi, obiettivi, spietati. Forse per questo, come recita Sergio Toffetti nel bellissimo volume Morality and Beauty, curato in occasione della retrospettiva al MoMA, “Marco Bellocchio, lungo tutta la sua carriera, ha sempre dimostrato grande fedeltà ai suoi temi d’ispirazione. In primo luogo al tema dei rapporti familiari”.
I diciotto film (restaurati in 35mm) che compongono il ricco omaggio al regista de I pugni in tasca e Nel nome del padre, Leone d’Oro alla Carriera a Venezia nel 2011, ne rivendicano la morale autonoma, rilanciando ai giovani filmmakers, in Italia e nel mondo, l’appello seminale dell’autore: “Credo che la libertà sia la cosa più preziosa per un artista. Non parlo delle libertà civili, ma di quella libertà di immaginazione che mi obbliga a rifiutare lo scrupolo morale che è mortale per l’artista e paralizza la fantasia”.
Incontrare Bellocchio in concomitanza con la retrospettiva che gli dedica il MoMA (dal 16 aprile al 7 maggio) significa guardare una parte di mondo (assieme a lui) su cui si appuntano ossessioni ben precise. Dalla ribellione giovanile alla volontà (tipica della Nouvelle Vague) di rendere ogni cineasta libero e personale. La rassegna è presentata dal Museum of Modern Art di New York, in collaborazione con Cinecittà Luce, Roma, e organizzata da Jytte Jensen, Camilla Cormanni e Paola Ruggiero, insieme a Dave Kehr. Il film di apertuta, Il Regista di matrimoni, con Sergio Castellitto e Donatella Finocchiaro, ha ottenuto il plauso del pubblico americano.
Qui sotto le due parti dell'intervista in video con Bellocchio.
Prima parte:
Da 0.00 a 3.48 – L’infanzia e oltre
Da 3.49 a 5.54 – Il senso di ribellione
Seconda parte:
Da 0.00 a 2.07 – Il coraggio di essere artisti
Da 2.08 a 5.00 – Il concetto di educazione
Da 5.01 a 7.21 – Nouvelle Vague e cinema personale
Da 7.22 a 11.08 – La famiglia in crisi
Bellocchio ci dice che vorrebbe fermarsi a New York e trascorrere più tempo in città, ma non in qualche albergo anonimo, visitando piuttosto le case degli altri, mischiando, se serve, il proprio DNA artistico con quello degli autoctoni. La sua prima volta a Manhattan risale agli anni Settanta, anni in cui anche la mentalità italiana era differente. Oggi, la factory familiare – uno degli archetipi del suo cinema – è in crisi. “Io vengo da una tradizione direi quasi da ‘famiglia ottocentesca’ – ci racconta Bellocchio – Ne ho un poco accennato in Sorelle Mai. Non ho dato voce, in senso politico, alle mie sorelle. Mi piaceva l’ipotesi di renderle visibili in questo film. Io mi limito a guardare, per il momento. Anche tutta l’economia familiare è completamente mutata, quello che è l’intervento dello Stato… Io, appunto, ho due sorelle che non percepiscono alcuna pensione, perché si pensava che mio padre in qualche modo costituisse un piccolo patrimonio e permettesse loro di vivere serenamente per tutta la vita. Con la crisi, i patrimoni italiani sono molto a rischio. All’epoca non c’era una concezione delle tasse, di quanto costasse possedere un capitale. Era tutta un’altra cosa. Oggi, ci si salva solo lavorando. Sperando di conservare una buona salute”.
Sul coraggio di essere lavoratori, e artisti, Bellocchio sente di aver cercato a lungo delle direzioni, accettando anche principi e valori a cui aderire: “Poi però quando scatta il conflitto tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, la tua immaginazione viene bloccata e ridotta; invece la libertà, che per il nostro mestiere è comunque contenuta e limitata, va salvaguardata. L’ideale sarebbe riconoscersi in una libertà dove il conflitto sia il meno potente possibile”.
Per Bellocchio è vitale inoltre il concetto di educazione, “forse perché sono nato in una famiglia allargata, ed essendo io l’ultimo, già sembrava di stare in una specie di microsocietà, e poi sono arrivati la parrocchia, la scuola, il Centro Sperimentale, che era una sorta di college… La crisi dell’identità borghese ha spinto la mia generazione ad andare oltre quella cultura su sui ci eravamo formati. Ad esempio, il partecipare ad un movimento di estrema sinistra, di ispirazione maoista, ci faceva sentire in grado di cambiare la società. Il movimento collettivo era una sorta di cura dall’interno, una comunità libera alla quale uno fa riferimento in senso globale, per poi ritrovare la propria strada. Non ora ma in passato avevamo questo senso di libera comunità”. Perché lo stesso non può accadere ora? “Adesso non c’è – conclude Bellocchio – E’ una libertà che parte da te. Te la devi difendere da solo”.
Il calendario di Marco Bellocchio: A Retrospective:
Da Il Regista di matrimoni a Enrico IV;
Da Buongiorno notte a La condanna.