Quel giorno di maggio, una domenica di sole, Palermo morì. Settant’anni fa, giusto oggi, le bombe sganciate da americani e inglesi distrussero il centro storico e provocarono oltre 1500 morti. Una tragedia immane che lo scrittore e autore Davide Enia fa raccontare a Gioacchino, che attraversa con il feroce candore dei suoi 12 anni, le macerie da allora mai più rimosse. Un bambino e la corte dei miracoli della sua famiglia, «u Zu’ Cesare», «Umbertino», che cercano di beffare la fame raccontando le vicende di una città livida e ferita. È un moderno cuntu, una tragedia popolare, uno spettacolo di successo «Maggio ’43» giunto a 500 repliche, il cui testo è stato adesso pubblicato da Sellerio, con una introduzione di Emma Dante. I due si conoscono dai tempi delle prove temerarie nelle stanze dell’ex carcere occupato, edificio fatiscente nel cuore del centro storico, fucina negli anni opachi della Palermo «città più cool d’Italia», di teatro di ricerca (ma ad entrambi il termine non piace) e letteratura.
Emma Dante e Davide Enia
Il volumetto di Sellerio si legge di un fiato, l’autore ha volutamente tralasciato le indicazioni sui movimenti del protagonista attore, per fare parlare solo le parole. È il testo che ci introduce in un mondo fantastico e reale, crudele ed emozionate, come a volte solo i bambini possono immaginarlo. La sensazione alla fine è che le bombe, grande metafora della disperazione metropolitana, non siano mai finite.
«Si, possiamo vederle come una grande metafora, come il destino di una città che non ha mai finito di fare i conti con se stessa – afferma Enia -. Quel 9 maggio 1943 in fondo segna un punto di non ritorno per Palermo. Da quel giorno la città ha voltato le spalle al mare, l’ha cancellato ed ha cambiato il suo destino. È stato l’atto fondativo della Palermo moderna. Poi verranno la speculazione edilizia, il centro storico abbandonato e devastato, le bombe di mafia. Sempre sulle spalle di questa città che si è accollata tutto. È una storia di rassegnazione».
Settanta anni fa c’era tanta vita tra quelle macerie, racconta Enia, i bambini almeno volevano vivere, giocare, costruire un mondo sepolto dalla miseria e dall’odio degli adulti. «A quell’età è ancora possibile scorgere la bellezza nell’atrocità, i bambini hanno ancora quella condizione che è l’innocenza – dice ancora Enia -, poi subentrano i calcoli, è difficile cogliere l’innocenza nello sguardo di un adulto. L’unica possibilità di salvezza del mondo la vedo solo nei ragazzini».
Ma c’e davvero una possibilità di salvezza per questa città, sotto un continuo bombardamento da settant’anni a questa parte?
«Io credo di no. C’ è semmai la necessità di un intervento strutturale. Di azzerare tutto e ricominciare da capo. Lo zero non è la negazione. Ma questa città nega i suoi talenti, li fa espatriare, e consente a un manipolo di pochi di impossessarsi di tutto, mettendo a ferro e fuoco. Siamo una città che da anni si accolla la munnizza e che non ha nemmeno ai propri vertici il polso necessario per operazioni fortemente impopolari ma necessarie per riqualificare il territorio».
Enia ha scelto lo scorso anno di lasciare Palermo, vive e cucina a Roma, come lui tiene a precisare. Il suo libro «Così in terra» edito da Delai, è stato un successo e sarà pubblicato in una quindicina di paesi. Tra cui anche gli Stati Uniti, il prossimo ottobre. Anche questo un testo che racconta il ventre di Palermo e affonda le sue radici in un recente passato, in una tragedia non ancora dimenticata. «È stata la merda degli anni Ottanta – dice testuale – a produrre una forma di rigetto e di reazione non solo in me, ma anche in tanti altri autori palermitani della mia generazione. Negli anni Ottanta, Palermo era militarizzata, sembrava Beirut, ci siamo opposti a questa prospettiva con il teatro. Senza soldi, occupando gli spazi, ma reagendo. Le istituzioni a lungo ci hanno ignorati, per anni abbiamo lavorato all’estero, vincendo premi in giro per l’Europa, ma qui sembravano tutti sordi».
E adesso le cose come stanno? Il nuovo corso di Orlando convince l’autore che racconta il calvario di una città che proprio non ce la fa a riscattarsi?
«Mi aspettavo un intervento forte che non guardasse in faccia nessuno. Penso al problema devastante dei precari, all’immondizia per strada, alle politiche culturali, di sostanza e non di facciata, fatte di annunci. Invece Orlando è un sindaco in eterna seduzione, con l’eterno terrore di apparire impopolare».