Se ne è andato alle dodici e quarantacinque dell’undici giugno 1984, aveva sessantadue anni, quattro giorni prima, a Padova, si era sentito male, durante un comizio in piazza della Frutta, dal palco non riusciva più ad articolare le parole. Era un discorso, quello che stava facendo, di grande impatto emotivo, tutti avrebbero ricordato quell’invito, rivolto ai militanti, a non interrompere la lotta, ad andare di casa in casa, per sostenere la causa degli operai, dei cassaintegrati, per veicolare l’impegno del partito comunista a cambiare le regole del gioco, rilanciando il valore incrollabile della democrazia, della tutela dei diritti.
Enrico Berlinguer parla ancora al suo popolo, vederlo andare via non è stato come per tutti coloro che lo hanno pre- ceduto o che gli succedettero, segretari pur capaci, che riscuotevano ampi consensi dalla base, lui era uno statista ancor prima di essere il segretario del più grande partito della sinistra italiana, un leader di statura internazionale, rispettato in eguale misura dagli avversari politici, dai compagni che ne condividevano visione del mondo e prospettive future, da quei capi di governo internazionali che ne apprezzarono la capacità d’ascolto, la lungimiranza, la rettitudine, qualità non propriamente diffuse nella classe politica italiana.
Una mostra fotografica, inaugurata lo scorso novembre e conclusasi domenica otto gennaio, allestita in una scuola romana di Centocelle, popolare quartiere periferico della capitale, organizzata dall’Associazione Culturale "La Farandola” ha inteso ripercorrere vita e politica del leader comunista, dalla nascita a Sassari il venticinque maggio 1922, alle immagini adolescenziali a Stintino, il villaggio di pescatori dove si arrivava solo con la barca, alla chiamata a Roma una prima volta nel ’45, alla direzione della segreteria nazionale comunista del Fronte della Gioventù, poi all’inizio dell’anno successivo, quando Palmiro Togliatti, eletto segretario del PCI al V congresso, svoltosi dopo vent’anni di clandestinità, lo chiama ancora a lavorare nella città tornata ad essere cuore delle istituzioni democratiche, finalmente libere dal giogo fascista.
Berlinguer si era iscritto al partito comunista a metà agosto del ’43, Mussolini era caduto, ma il fascismo in Sardegna, come nel resto del Paese, operava ancora in una continuità preoccupante, i comunisti a Sassari erano meno di trenta, si incontravano di nascosto, anche dopo il venticinque luglio la segretezza era condizione indispensabile per organizzare il lavoro politico. Egli non fu partigiano, l’isola ebbe un ruolo del tutto marginale nella Resistenza, ma nel gennaio del ’44 fu tratto in arresto a Sassari, rimanendo in carcere cento giorni, con l’accusa di avere istigato i moti per la rivolta del pane, che videro il popolo affamato assaltare i forni.
Ha scritto Roberto Mastrantonio, presidente del VII municipio di Roma, nell’ambito del cui territorio la mostra è stata allestita, che "il contributo dato da Berlinguer al radicamento del senso dello Stato e delle Istituzioni alla base dell’Unità Nazionale è stato fondamentale”, per questo è importante ricordarlo, celebrandone la memoria, all’interno delle manifestazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, come dire, non è puro arbitrio, ma un atto appropriato, quasi dovuto, guadagnato sul campo dal grande innovatore comunista in oltre quarant’anni di impegno politico, di cui sedici da parlamentare, a favore delle classi più deboli, nel quale riversò tutta la sua determinazione, l’essere un uomo del popolo per il popolo. Il suo modo d’intendere la politica come servizio può davvero contribuire oggi a far recuperare alla politica il ruolo che le compete e che da tempo pare avere smarrito.
La storia di questa mostra affonda le sue radici nell’89, l’anno della caduta del Muro di Berlino, della cessazione della Guerra Fredda tra Est ed Occidente del mondo, tra i Paesi che si riconoscevano nel Patto Atlantico e quelli che appoggiavano il Patto di Varsavia; oggi questa suddivisione non ha più alcun senso, con la realtà imperante del Bric, dettata, oltre che dalla Russia, dalle tre super potenze economiche emergenti, Brasile, India e Cina, ma a lungo detentrice delle sorti del mondo. Fu all’epoca il dirigente della Cgil di Pescara Piero Leo a curare nell’anno fatidico tale mostra, realizzata con la collaborazione anche della direzione nazionale del PCI, del quotidiano l’Unità e della famiglia Berlinguer. Nel 2009 prese avvio una nuova riproposizione della stessa mostra nella sua struttura originaria, itinerante in diverse regioni d’Italia, guadagnando l’adesione del Presidente della Repubblica, che premiò l’iniziativa con una targa, a riprova del vuoto lasciato dalla sua perdita, un vuoto che pesa ancora molto, non solo affettivo, di familiari e amici, militanti e compagni di partito, ma etico, dettato dalla necessità di recuperare, in qualche modo, il rigore morale e intellettuale alla base dell’agire del politico sardo.
Lo stesso rimpianto si avverte scorrendo le immagini apposte lungo le pareti, mostranti il giovane Enrico il 2 aprile del Cinquanta, eletto segretario nazionale della FGCI, foto lontane nel tempo che lo ritraggono nel ’68 alla prima elezione in Parlamento, poi con Giancarlo Pajetta, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, uomini che hanno fatto la storia del partito comunista. Immagini che raccontano in modo emblematico l’Italia della difficile ricostruzione postbellica, così come della ripresa industriale nelle fabbriche del Nord e la crescita della capacità operaia di contrattazione nei tempi e nella qualità del lavoro.
Ritroviamo nelle storie in bianco e nero i nodi cruciali di quegli anni Settanta: l’elezione a segretario del partito, succedendo a Longo che contestualmente divenne presidente del PC, era il ’72, la linea programmatica del compromesso storico di lì a un anno sarebbe stata enunciata nei tre articoli, divenuti famosi, pubblicati sul settimanale Rinascita, nei quali Berlinguer illustrava la situazione cilena, che, dopo il golpe militare dell’undici settembre del ’73, aveva soppresso ogni libertà costituzionale, cancellando uomini e diritti con le armi e gli orrori, il sangue versato dagli oppositori della dittatura del generale Augusto Pinochet.
Per prevenire una simile evenienza, egli trovò le parole di un pensiero che apriva alle forze politiche moderate e conservatrici, promuovendo il partito comunista a guida del Paese, quale forza di governo, per un’azione di responsabilità condivisa. Ma non fu sufficiente per la promozione nemmeno la grande avanzata alle consultazioni politiche del venti giugno ’76, che portò il PC al 34,4% dei consensi: un governo monocolore democristiano vedeva per la seconda volta Andreotti presidente del Consiglio, Berlinguer e i suoi risposero con l’astensione. Infine molte sono le istantanee che mostrano il segretario con i grandi leader della Terra, da Breznev a Mitterand, da Fidel Castro ad Arafat, da Honecker a Willy Brandt, interlocutori che ne apprezzarono il prestigio e la concretezza.