Si chiude un anno terribile per le Nazioni Unite, che entrano nel loro ottantesimo anno di vita più “disrupate”: diventa sempre più difficile poter compiere la missione per cui erano state create a San Francisco alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1945, quando 50 paesi compirono il “miracolo” firmando la Carta dell’ONU, mezzo mondo uscito vincitore dal catastrofico conflitto scommetteva ancora su una istituzione multilaterale (dopo il fallimento della Società delle Nazioni dopo la Prima guerra mondiale). Tre gli obiettivi fissati, le cosiddette colonne portanti su cui tutta l’ONU si reggeva: assicurare pace e sicurezza, allargare lo sviluppo e proteggere diritti umani.
Con alti e bassi, le Nazioni Unite sono riuscite ad attraversare la seconda metà del Novecento riuscendo a tenere salde le tre colonne che hanno retto finora la struttura. Certamente, si sono susseguite in questi anni le guerre, come subito in Corea combattendo sotto la bandiera dell’ONU, o con altre approvate dal Consiglio di Sicurezza o continuate nonostante i suoi veti. Ma l’ONU creata a San Francisco nacque con l’obiettivo principale di evitare “La guerra”, cioè quel terzo conflitto mondiale che avrebbe disintegrato la civiltà umana nel pianeta. Per 80 anni, è grazie soprattutto all’ONU che le grandi potenze nucleari sono state frenate dalla tentazione di usare le loro armi.

Nello sviluppo come nella difesa dei diritti, pur con il passo incerto del pachiderma che va piano ma va lontano, l’ONU ha spinto in avanti il progresso dell’umanità ovunque. Basta notare i dati sulla mortalità infantile o sulla pena di morte dal 1945 a oggi, per misurare l’incredibile accelerazione che gli aiuti umanitari e le risoluzioni del Palazzo di Vetro hanno avuto sulle sorti dell’umanità.
Già in passato l’ONU ha avuto decelerazioni e ingolfamenti, ogni volta determinate dall’atteggiamento ostruzionistico dei P5, quei membri fondatori e permanenti del Consiglio di Sicurezza perché vincitori dell’ultimo conflitto mondiale. Sono gli USA, la Russia (già USSR), l’UK, la Francia e la Cina (per quasi trenta anni il seggio appartenne alla piccola Taiwan, fino a che vollero così gli USA), che stanno all’ONU come stati membri “più uguali degli altri”, ma è proprio questo loro privilegio di “annullare” ogni consenso della maggioranza, che ha retto l’equilibrio mondiale evitando lo scontro finale. Può durare ancora così com’è strutturato? E’ questo il dilemma che assilla mentre l’ONU compie ottant’anni.
Tra alti e bassi, questo confronto multilateralista ai problemi mondiali specchiato nell’ONU ha guidato le nazioni piccole e grandi a trovare soluzioni concordate. Ma dall’inizio del ventunesimo secolo, l’ONU pur essendo più indispensabile che mai, è stata via via messa ai margini dalle soluzioni. La responsabilità è sempre dei maggiori azionisti e fondatori dell’impresa: Stati Uniti e Russia (con la Cina finora interessata a restare più onuniana). Prima con l’avventura vendicativa di Bush W. in Iraq (con 5 anni prima l’avvisaglia dell’attacco NATO alla Serbia “non autorizzato” dall’ONU) e poi con le mire imperialiste di Putin in Ucraina (iniziate non con l’invasione del febbraio 2022 ma già nel 2014 con l’annessione della Crimea): ecco che la Carta “miracolata” di San Francisco viene trasformata in uno straccio per cancellare il diritto internazionale.
Persino l’amministrazione di Joe Biden, che si era presentata al Palazzo di Vetro, dopo gli anni “bui” di Trump, facendo proclamare alla sua ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield che “America is back”, ha umiliato quella Carta. Quando le distruzioni inflitte da Israele ai civili palestinesi di Gaza sono andate ben oltre ogni giustificazione alla ritorsione dopo il terribile attacco terroristico del 7 ottobre di Hamas, gli USA hanno continuato a porre veti su risoluzioni del Consiglio di Sicurezza per il cessate il fuoco. Quando si sono astenuti, hanno sostenuto che la risoluzione approvata persino dall’alleato UK, non fosse “binding”, vincolante (secondo la missione USA perché non rientrante nel capitolo VII della Carta, quello che autorizza l’intervento militare).

Il ritorno dell’amministrazione di Donald Trump intensificherà quello che comunque è sempre stata una prerogativa degli USA all’ONU: l’interesse nazionale anteposto alla salute multilaterale dell’istituzione onuniana. Con Trump, che invierà al Palazzo di Vetro la combattiva deputata MAGA di New York Elise Stefanik, questo atteggiamento sarà accentuato, ma almeno meno ipocrita. Trump, come ha già da presidente ripetuto nei suoi interventi in Assemblea Generale, proclama la sua “America First” senza rimorsi, e quindi almeno ci risparmierà le scelte a la carte viste in quattro anni di Biden che pretendeva di condannare la Russia di Putin senza contrapporre una coerente e credibile difesa dei principi della Carta.
Gli USA continueranno con slancio trumpiano a far concorrenza alla Russia di Putin, lasciando così alla Cina (nonostante sui diritti umani continui a peccare) il ruolo di “garante” del diritto internazionale. Per quanto riguarda Francia e UK, sono da tempo coscienti di non avere più il peso geopolitico che quel veto assegna, infatti entrambe non lo usano dal 1989!
Prepariamoci al peggio? Per chi ritiene che l’ONU sia nata per rendere oggi 193 paesi tutti uguali difronte alla legge internazionale, allora il suo fallimento sarebbe già avvenuto alla nascita. Per chi spera ancora che, pur con gli scossoni causati dai privilegi dei “più uguali”, l’ONU possa continuare ad avere il ruolo non solo di stanza di compensazione dei conflitti, ma anche di forum privilegiato per la ricerca di possibili soluzioni per tenere in vita l’esperimento della civiltà umana – come riassunte nei 17 UN SDGs, gli obiettivi di sviluppo sostenibile, poi riaffermati nel “Patto per il futuro” approvato a settembre), allora diventa un dovere continuare a sperare che l’ONU se la cavi.
Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, nel suo messaggio per il nuovo anno, ha parlato del 2025 come “un nuovo inizio”. Riferendosi ai 10 anni più caldi mai registrati nel pianeta, Guterres ha parlato di “crollo climatico – in tempo reale. Dobbiamo uscire da questa strada che porta alla rovina e non abbiamo tempo da perdere”.

Ma Guterres, nel bel mezzo del suo secondo mandato, ha già diversi e gravi errori da farsi perdonare che non hanno aiutato la credibilità dell’ONU (come quando è andato a inchinarsi da un Putin ricercato dalla Corte Penale Internazionale). Ma il successo o il fallimento del Segretario Generale, pur essendo la figura più in vista dell’organizzazione, non ha mai determinato il futuro delle Nazioni Unite. Quando gli UNSG sono stati “fatti fuori” (letteralmente come nel caso di Dag Hammarskjold o semplicemente licenziati come nel caso di Boutros Boutros Ghali) l’ONU ha trovato nuovi leader per riprendere la sua missione (Javier Perez de Cuellar e Kofi Annan tra i più efficaci). Toccherà per la prima volta ad una donna rilanciare la missione multilateralista dell’ONU? Magari tra due anni la novità aiuterebbe nel creare più attenzione da parte dell’opinione pubblica nei confronti delle vicende onuniane, ma non basterebbe per il rilancio dell’istituzione.
Nel 2025 l’ONU dovrà, nonostante il ritorno di Trump in aggiunta al bullismo di Putin, riuscire con la guida che ha a ritrovare abbastanza consenso multilaterale per convogliare sufficienti risorse per alleviare le sofferenze umane a Gaza come in Ucraina, in Sudan come ad Haiti, in Afghanistan come in Birmania, e ovunque il rispetto dei diritti umani continua ad essere calpestato.
Guterres ha affermato che anche nei giorni più bui ha “visto un cambiamento nel potere della speranza” rendendo omaggio agli attivisti di tutte le età, “eroi umanitari che superano enormi ostacoli per sostenere le persone più vulnerabili”. Affermando che non ci sono garanzie per ciò che ci aspetta nel 2025, Guterres ha concluso dicendo che “insieme possiamo fare del 2025 un nuovo inizio. Non come un mondo diviso. Ma come nazioni unite”.
La speranza nelle capacità dell’ONU può essere realista? Richard Falk e Hans Von Sponeck, nel loro ultimo saggio intitolato Liberating the United Nations. Realism with Hope, pur analizzando tutte le carenze dell’ottantenne istituzione, ci credono ancora. Sia il professor di diritto internazionale di Princeton che l’ex diplomatico tedesco, hanno avuto entrambi significative esperienze al servizio dell’ONU per dare al loro studio una valida ricostruzione storica e soprattutto fornire anche una autorevole proposta per riuscire in una riforma necessaria.
Fino a quando resteranno le nazioni lo strumento per guidare il progresso – o regresso – dell’umanità, la speranza di contenerne la pericolosità resta nell’organizzazione inventata a San Francisco 80 anni fa. Fare gli auguri all’ONU per il nuovo anno, significa farli a tutti coloro che tifano per la pace contro la guerra, per il diritto alla salute contro le malattie e le epidemie, per lo sviluppo contro la povertà e le carestie, soprattutto che il diritto prevalga contro la sopraffazione. Gli auguri all’ONU affinché se la cavi anche nel 2025, non si fanno quindi per speranza, ma per realismo.