Era la notte tra il 17 e il 18 settembre 1961, quando l’aereo DC-6, sul quale viaggiava Dag Hammarskjöld, Segretario generale delle Nazioni Unite, si schiantò a terra a pochi chilometri dall’aeroporto di Ndola, nel territorio che ora appartiene all’attuale Zambia. Quindici persone a bordo, membri del suo staff e dell’equipaggio, morte nell’incidente. Unico sopravvissuto, un ufficiale della sicurezza americano di nome Harold Julien, che morì successivamente per le gravi ferite riportate.
A 60 anni dalla tragedia, la fine di Hammarskjöld è ancora una verità incompleta. Il diplomatico svedese voleva guarire una delle piaghe belliche dell’Africa. Era impegnato a trovare una via di pace tra il nuovo Congo indipendente (ex colonia belga) e i separatisti del Katanga sostenuti da imprenditori minerari e politici del Vecchio Continente.
All’indomani, le ricerche del relitto dell’aereo partirono con ben dieci ore di ritardo, mentre i registri della torre di controllo sparivano per non essere mai più ritrovati. Le prime indagini avevano attribuito le cause dello schianto a un errore del pilota, ma è ovvio che teorie sinistre si sono alimentate e moltiplicate nel corso degli anni.

È emersa una costellazione di depistaggi da parte delle intelligence straniere, che nella vecchia colonia del Congo avevano interessi propri. Nel 2017, il giurista Mohamed Chande Othman, ex capo della giustizia della Tanzania, ha scavato tra documenti e testimonianze, e in un rapporto di 95 pagine pubblicato sul sito dell’Onu ha tratto le sue conclusioni.
La vita di Hammarskjold non si sarebbe spezzata per una fatalità, ma il suo aereo è caduto perché doveva cadere. E quattro nazioni – Gran Bretagna, Belgio, Russia, Sud Africa e Stati Uniti – tratterrebbero ancora informazioni che potrebbero risolvere il puzzle. Una dimostrazione di come si voglia quel crimine sepolto nella storia.
Un personaggio lucido, analitico, di una grande spontaneità e umanità. Così viene ricordato oggi. Pioniere della diplomazia, guidò il Palazzo di Vetro attraverso una delle fasi più turbolente della Guerra Fredda. Nominato Segretario generale nel 1953, a soli 47 anni, è stato il più giovane a ricoprire questo ruolo. Unico ad essere stato insignito postumo del Premio Nobel per la Pace, il suo nome adorna edifici e piazze intorno all’Headquarters dell’Onu a New York.

Il ruolo delle Nazioni Unite nelle operazioni di pace è una funziona non definita dalla carta, ancora oggi in parte messa in discussione da molti internazionalisti nella sua individuazione specifica e che invece, Hammarskjold, non ha soltanto teorizzato, ma ha attuato in concreto lanciando le prime due grandi operazioni di pace: UNEF per il Sinai e UNOC per il Congo.
All’Assemblea Generale, durante l’evento commemorativo per celebrare il 60° anniversario della sua morte, l’attuale capo dell’Onu, António Guterres, ha descritto Hammarskjöld come “un uomo d’azione e abile diplomatico… di immensa cultura e intelletto brillante”, una fonte di “riferimento e ispirazione”.
Una passerella di discorsi pronunciati dagli ambasciatori degli Stati membri ha seguito l’intervento di Guterres, peccato che ancora, gli esponenti di quegli stessi paesi non facciano abbastanza per rendere giustizia a quell’uomo che definiscono “straordinario”.
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